Mi piace iniziare dalla fine, comincio a leggere i giornali dalle ultime pagine, ho iniziato rapporti d’amore e d’amicizia da litigate allucinanti, cha avrebbero diviso chiunque. È un po’ palermitano, forse, me l’hanno detto: “sei una litigante professionista”, mi hanno mandata in avanscoperta in discussioni e riappacificazioni, perché, quella del confronto concitato, pare sia una modalità sicula. La polemica, prima di diventare una categoria d’intrattenimento, mi divertiva un sacco.
Palermo, si vocifera, “ha una sua vivacità intellettuale”, io non sono vivace, né tantomeno intellettuale. Si dice spesso, però, “un intellettuale curioso” o un “fine intellettuale” anche se mi piace meno l’aggettivo “fine” di raffinato, “fine” è una parola che fa una vita molto più ricca, pur avendo un riferimento troppo immediato allo spessore e ricordandomi le sottilette. A Palermo quando diciamo fine pensiamo subito a qualcuno che beve l’aperitivo tenendo alzato il mignolo. In realtà la “tipa fine”, o “il tipo fine,” è una tipologia palermitana che io conosco bene e frequento, è colui/lei che possiede quel minimo di soldi e conoscenze che le permettono di darsi delle arie e di muoversi con levità fra luoghi comuni e conoscenze.
Due giorni fa girovagavo per un centro commerciale e nel mentre ho risposto al telefonino e il mio animo tragico mi ha portata a esclamare a voce alta «è la fine!», a quel punto una signora accanto a me ha rimarcato, «sì, è molto fine», riferendosi a un foulard imitazione di Hermès. Noi palermitani alla parola “fine” affianchiamo il sinonimo raffinatezza, più che l’idea del termine delle cose. Poi magari strilliamo e facciamo “a capelli” se qualcuno ci taglia la strada. Comunque Rosalio, ha un nome assurdo, ed è chiaro che non vuole passare inosservato, ma è un tipo molto fine.
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