That’s Sicily!
Per anni ho schivato la mia sicilianità.
I primi racconti e scarabocchi parlavano del dottor Sgollek (il nome dei cereali al contrario) che era stato radiato dall’albo degli scienziati perché aveva cercato di costruirsi un figlio con pezzi di romanzi. Avevo letto e riletto Frankenstein e i gialli di mia madre, mi sembrava logico che tutti i miei personaggi spuntassero sotto i tasti della lettera 22 con un cognome americano e finissero a schivar pallottole vaganti nei tuguri del bronx.
Poi l’epifania con Camilleri e Montalbano. Mi piaceva leggere di personaggi “russi di pilu e di pinsiero” e che “taliavano” gli orologi. Cominciai a sentirmi monco. Avevo scritto con mezza testa e mezzo cuore lasciando l’eredità della mia terra triangolare fuori dalla pagina. Iniziai infilandoci parole siciliane che non riuscivo a rendere in italiano.
Pruvulazzo. Cannavazzu, Filietto ru fangu, taliare e ritaliare… E poi ho continuato. Perché si scrive solo di ciò che si conosce. Ecco perché la stragrande maggioranza dei dicotomici personaggi ha 22 anni e il pisello. Mi viene naturale parlare del mio mondo. Scrivere mi serve a questo, ripeto: a salvare i miei kairoi, i miei eventi.
Bagheria è il mio sfondo ideale, prima o poi troverò un nome per una città che sia solo mia. Sarà lei, la piccola Bagheria trasfigurata. Come la Vigata di Montalbano o il villaggio di Macondo. Mia, solo mia. E ci sarà la vecchia strada fatta di curve e bestemmie e sgracchiate dei vecchi che fanno avanti e indietro sulla piazza principale. Ci sarà Pippo, l’edicolante che conosce i gusti letterari di tutti e riesce a far lievitare il conto dai 90 centesimi del quotidiano a più di 20 e rotti euro. Ci sarà il fruttivendolo che inneggia al ciavuru della cucuzza cantando i vecchi stornelli dei carrettieri… Oh bedda ca ti vitti allu culleggiu e mi facisti veniri u curaggiu, acchianu carricatu e scinnu leggiu… E poi continua, cambiando ritmo, ripescando i canti di Rosa Balistreri: l’acciduzzu ri me cumpari senza pinne e senza ali si pusò supra a scagghiola, a testa rintra e l’ali ri fora…
13 anni fa hanno cancellato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Io avevo 10 anni e un solo ricordo. Le rare volte che ci arrischiavamo ad attardarci nella bella sera di Palermo, mia madre diceva a mio padre di accelerare. Era l’ora dell’implicito coprifuoco. Perché qua è andata così, allo Stato assente si è preferito una rete di favori e nepotismi tra vecchie coppole e gerani.
Ho sempre pensato una cosa: nei negozietti di souvenir c’è sempre “a mafiusa” con le zizze di terracotta di fuori e la lupara sotto la sottana. A questa matrioska siciliana aggiungono dei cartelli con una certa filosofia di vita. “Il serpente che muzzicò mia suocera morì avvelenato”, e poi il classico: “si tutti i curnuti purtassero un lampione in testa, minchia che illuminazione!”.
Chissà perché io ho sempre meditato su quest’ultimo, trasponendolo: se ci fosse un lumino, un mozzicone di candela acceso in ogni luogo in cui hanno ammazzato qualcuno negli anni della grande guerra di mafia, minchia che illuminazione! Invece si è preferito rimuovere. La memoria pesa. Meglio ingoiare la pace del papavero e tirare avanti. Ci sarà sempre un nonno che insegnerà al nipote come si sbuccia un fico d’india senza spinarsi le mani, tanto basta. E poi, semplicemente, ci sarà un 22enne che studia filosofia e si fa portare a passaggio dalla sua cagnolona: Prima delle benefica arrifriscata nessuno s’arrischia a mettere fuori l’alluce, solo lui che si fa portare a passeggio dalla sua cagnolona. Gli scolano i sudori, le ascelle piangono ma lui continua, passo dopo passo con i bermuda inzuppati e i sandali appiccicosi. L’asfalto alita e all’orizzonte le auto vibrano nell’aria del pomeriggio con le case che sono chiuse a tenuta stagna, non deve uscire nemmeno un pò dell’aria scoreggiata dai condizionatori. Camus scriveva che basta poco per conoscere una città: “cercare come vi si lavora, come vi si ama e come vi si muore”. A Bagheria le cose sono ancora più facili, si fa tutto allo stesso modo: con calma, senza premura. Si sa già che il ponte se lo terranno tra i progetti da
snocciolare a ogni campagna elettorale, va così dai tempi di Federico II, quello sì che aveva capito tutto della Sicilia. La Scuola Siciliana era il migliore contributo che le tre punte dell’isola potessero regalare al mondo: dateci soltanto sole, mare e spunti per continuare a poetare. Continua a camminare e suda, attaccato al guinzaglio, ripensa a quanto è bella Palermo la sera, tra i binari arrugginiti ad aspettare il treno che è ancora, per fortuna, lontano. Le saracinesche sono tutte calate con i cartelli che ricordano che ad agosto si pratica l’orario unico, dalle 9 alle 13, senza eccezioni. Restano solo le macchinette dei tabaccai a sputare le assassine bianche e arancioni. Il ragazzo cammina con i suoi dubbi arancioni in testa, livellando i marciapiedi.
Il Corso Principale lo porta sotto i salici di Piazza Garibaldi tra i bagheresi che ricordano degli americani le barrette di cioccolata e le camel, quelle buone, senza filtro in quell’estate del ’43. Loro passano così i pomeriggi, seduti sui muretti grigi e sbrecciati delle aiuole comunali. Appoggiano le chiappe sui giornali passati o su pezzi di cartone, i più attrezzati si portano dietro un cuscino infilato in una busta della SMA. Parlano, ridono con in bocca dentiere che finiranno di pagare tra 4 anni. Arriva pure il reduce che si è perso le gambe su una mina inesplosa, non lo ammetterà mai ma inneggia ancora alla Buon’Anima e rimpiange la colonia estiva dove spediva i troppi figli che la moglie continuava a sfornare. Cammina il ragazzo, cammina dietro il cane, cammina attaccato al guinzaglio come se fosse un bambino che tiene la coda di un aquilone, qui si chiamano draghi volanti e si sono estinti, si vedono volare solo quelli dei cinesi nelle mattinate di vento lungo il bagnasciuga del Foro Umberto I nella bella Palermo. Nessun bambino se lo costruisce più facendo croci di bambù. Dicono che prima si passeggiasse sino alle prime ore dell’alba ora già alle 8 e mezza di sera nessuno più si arrischia a scendere in strada, sembra una città fantasma ma è un’impressione falsa come una banconota da tre euro. C’è troppo rispetto per i fantasmi e per le lumìe, questo è il vero motivo. I vivi dividono la città con i loro morti e lo fanno con equità: appena scende la notte tocca ai defunti passeggiare tra le ville del Settecento che tanto piacquero a Goethe. Sono morti tutti in una delle tante guerre di mafia, si sono beccati il loro colpo di livella e ora passeggiano vicino assassini e assassinati, nessun vivo si arrischia a uscire nell’ora dei morti, brucia ancora il ricordo di tutti quei colpi di beretta e quel gesto diventato troppo presto un’abitudine: al primo sparo toccava alla madre calare piano piano la serranda, accostare le tende e alzare il volume della radio e del televisore.
Cammina ancora il ragazzo, si passa un fazzoletto sulla fronte e pensa con quanta facilità si cambi bandiera sotto il sole di Sicilia, sì, ci si abitua a tutto qui, si cambia presto l’adesivo sull’auto a tempo d’elezioni come nell’URSS ci si spicciava a sostituire le facce sui muri a seconda delle decisioni del Politburo. Passeggia il ragazzo, passeggia sulla voglia di lavoro, sui posteggiatori abusivi che giurano che t’hanno taliato e ritaliato la macchina come se fosse “cosa loro”. I cani ci somigliano: dormono e mangiano senza pensare alla maledetta e amatissima Sicilia. Qui impari a sbucciare i fichi d’india a sei anni e subito dopo impari pure che devi accettare quello che il cielo ti regala, senza romperti la testa perché, si sa, domani andrà meglio. Lì quegli onorevoli cornuti si ricorderanno anche di noi e alle prossime elezioni è cosa sicurissima sale pure un mio cugino di quarto grado è cosa arcisicura mi sistemo pure io. Te lo dicono e ci credono con la puzza di gerani che ci tiene compagnia e scaccia, dicono, gli scavagghi.
Cammina il ragazzo e pensa: “Sono venuti gli arabi e i normanni, gli svevi e gli aragonesi, i tedeschi e gli americani e siamo ancora qui a ricordare quanto ci piace questa terra dove nessuno compra i limoni e il sale. Basta poco, anche qualche caddozzo di sasizza alla Festa dell’unità e qualche litro di vino per ritrovare quella bella sensazione dei tuoi sette anni. Sì, quando giri un secchiello di sabbia bagnata e diventi re e imperatore di una terra che vedi solo tu”.
insostenibile.
Favoloso!!! chi se ne fotte di Nielsen non era manco siciliano.
Brigitte?
“Ci sarà sempre un nonno che insegnerà al nipote come si sbuccia un fico d’india senza spinarsi le mani…”. Questa mi rimane!
Il post mi conferma l’utilità di introdurre un bel pulsante “Stampa”.
eh sì ale, hai proprio ragione! quest’articolo più che leggerlo sul freddo monitor di un pc sarebbe meglio avercelo stampato su carta, in modo da poterlo leggere a letto nell’eventualità di rompersi una gamba rotta e di rimanere immobilizzati per 60 giorni (salvo complicazioni)
Complimenti, hai acceso nella mia mente colori e odori della Sicilianita’ 😉
Letto tutto d’un fiato… Non aggiungo altro!
grazie a tutti.
di cuore.
ho solo cercato di condividere quello che la nostra isola triangolare ci ditta dentro.
stupendo!
bravo tonino!!
Uhm…
bellissimo, sicuramente.
ma suona tonino dall’inizio alla fine. Chi ti legge da tanto tempo, pur invidiando un po’ quella tua matita che tratteggia leggera immagini, non pò che pensare: “di nuovo?”
in ogni caso (non è che è un tuo vecchio post rimodellato per l’occasione, il che spiegherebbe questa mia sensazione) il pezzo ha la sua classe.
però cacchio.. tonì, ma perchè non fai un pezzo su Aspra? almeno cambiamo un po’….
(ovviamente scherzo)
bye
Bello.
Mi piace Bagheria, credo che possa regalare i natali di un personaggio da romanzo. Condivido. Mi piace molto anche la citazione di Camus, mi sembra che sia molto adatta alla nostra città.
Volevo dirtelo.
C.
grazie.
un approfondimento sul tema è questo racconto qui.
e segnalo a tutti quelli che m’hanno letto l’imminente uscita del nuovo numero di BombaSicilia. un’anteprima qui.
[…] Di tutte queste parole, di questo serpentone di periodi più o meno rimpolpati della necessaria speranza c’è una cosa a cui tengo davvero, una passeggiata lungo le strade di Bagheria. Pubblicata più volte in vari luoghi (due su tutti: Rosalio e su vibrisse) ha dato avvio al Girò d’Italia con vibrisse, che ha semplicemente rispolverato una proposta fatta da Bartolomeo Di Monaco in occasione dell’anniversario di vibrisse in formato blog. […]
[…] VOTANTI: 34 su 48 RISULTATI: Antonio SPADARO: 32 voti Andrea MONDA: 30 voti Cristiano GASTON: 23 voti Stas GAWRONSKI: 22 voti Saverio SIMONELLI: 15 voti Michela CARPI: 15 voti Domenico DI TULLIO: 14 voti Cecilia PANDOLFI: 14 voti Tonino PINTACUDA: 8 voti Marco Marincola: 7 voti Angelo Leva: 6 voti Massimiliano Pietroni: 2 voti […]
[…] Su rosalio.it ci sono pure io con tutta la mia sicilianità e pure qui La storia di Rosalio Nel bel mezzo di un pomeriggio piovoso del luglio del 2004 Tony Siino si trovava a Bruxelles e pensava alla sua città: Palermo. Improvvisamente gli apparve Rosalio! Che cos’è Rosalio Rosalio è un multiblog locale che parla di Palermo e della palermitanità. Gli otto autori principali di Rosalio, scelti per le loro caratteristiche che li riconducono a un preciso profilo, costruiscono con i loro post dieci modi di guardare la città, incrociando esperienze e vite diverse tutte possibili nella città e nelle città di ognuno di voi. Gli autori raccontano così la loro Palermo, caotica e complicata ma anche allegra e generosa, città speciale di sicuro, proprio come specialissime sono, ve ne accorgerete leggendo Rosalio, le persone che l’attraversano quotidianamente. Agli otto autori che fanno parte del nucleo centrale si aggiungono, a rotazione, altri autori legati a Palermo. Il prossimo potresti essere tu che leggi. Qualche nota Rosalio si pronuncia Rosalìo, con l’accento sulla i. […]
da un pò di tempo a questa parte riesco solo ad indignarmi per la madre che abbassa piano piano la serranda ed alza il volume del televisore. assassina pure lei. inizio a pensare che tutta la storia e l’ammalliante fascino di questa terra puzzino troppo di sangue e servitù.