Ogni volta che affronto una tematica squisitamente palermitana mi rendo conto di non essere assolutamente forbita in questo campo. Me la guardo da estranea, la città, ad esempio mi colpisce molto l’appellativo cucì. Cucì, qui, non è il passato remoto del verbo cucire, ma l’abbreviazione di cugino. Non vanta una variante al femminile. “Cucì – si dice al passante -, cucì ma ddiri ca ora è? Cucì, ma fari passarmi, cucì?”. Ogni tanto lo senti dire per esteso, “cugino”, ma quasi sempre non esiste nessun vincolo di sangue tra te e il cucì, nessun rapporto di agnizione (si dice così?) è un appellativo che con un cugino vero ti guarderesti bene da usare. Il cucì echeggia tanto quanto il cumpà (che ha la variante femminile, commare) che è l’abbreviazione di cumpare, ma si tratta di due definizioni lontanissime tra loro. Il vocabolario Zingarelli recita che si definisce compare chi battezza il tuo figliolo o ti compra l’anello per la cerimonia nuziale (il cosiddetto compare d’anello), fra i sinonimi che snocciola il thesaurus del computer si trovano connivente e favoreggiatore anche se non manca la semplice parola “amico”. Sono compari il gatto e la volpe, e il comparato viene rispolverato, spesso, nei rapporti delinquenziali, ma non è di questo che voglio parlare, quanto, piuttosto del rapporto amicale. Per individuare quando il cucì si affianca o sostituisce il compà, basta essere un tantino curiosi, domandare in giro, informarsi. Il compà è il tuo amico fraterno, te lo ritrovi sempre, è quello che presenti pieno di orgoglio e dici “questo è mio compare”, allora, mi spiegano, ti verrebbe in mente di apostrofare col compà uno sconosciuto qualsiasi e domandargli: “compà, mi fai addumare?”, quello si potrebbe offendere, “cumpà a cui?”. Come affibbiare tanta fiducia al primo che passa?. Il cucì però glielo puoi anche dare, per questo il “cucì” può essere il prologo di una sciarra “cuci, chi fa? Ti levi ri ‘n menzu i peri?”. Il cucì, tanto per fare sociologia, è un modo per ripetersi “io appartengo a questa gente”. Forse la differenza col compare sta qui: “tu sei mio complice – sembra riassumere -, anche se non sei necessariamente, come me”, e forse per questo di apprezzo di più. O non lo so, boh, voi che dite?
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