Una questione di accento
Sì, una questione di accento, e non parlo di grammatica, ma di altra norma ferrea, difficile da sovvertire per i tradizionalisti e che regola, ahinoi, le nostre vite: l’inflessione, la cadenza, quelle vocali pronunciate aperte, quel parlare tuo e solo tuo. Quello che ti rende riconoscibile e fa chiedere: sei del Sud?, si sente, siciliana?, e di dove?. Non bisogna nemmeno allontanarsi tanto, un mio amico catanese mi diceva sempre: adoro la tua pronuncia palermitana. Esiste tutta un’offerta formativa che promette la perdita dell’accento, li chiamano corsi di dizione, li frequenta chi parla in pubblico, presentatori, attori, e qui è giusto segnalare un’inversione di tendenza, perché teatranti di spessore come Davide Enia o Emma Dante, ci hanno liberato dalla tirannia dell’accento pulito e hanno recuperato il legame tra arte e identità e parlano così come hanno imparato (oltre l’Isola? Un nome su tutti: Marco Paolini). Ma l’accento dipende in parte dall’identità e viceversa, oppure è solo una questione d’ambiente?, perché non bisogna certo essere di puro sangue siciliano per acquisire un’intonazione credibile se frequenti a lungo dei veri siciliani. O no? Il sociologo Pierre Bourdieu – che nella sua scientificità non era “indifferente ai sentimenti” – diceva, più o meno, “ci sono delle pronunce legittime e tacitamente riconosciute…e delle pronunce dominate. Uno degli indizi del riconoscimento della dominazione…è il fatto che si tenda a correggere il proprio accento”. E, parlando di un ipotetico personaggio che emendi – per usare termine giuridico – dagli errori di pronuncia il suo discorso in una situazione pubblica, diceva ancora: “…il che rischia però di svalutarlo ancora di più, perché una volta scomparso il tratto pittoresco del suo accento iniziale, si troverà allora nella situazione piccolo-borghese della ricerca della distinzione, in una situazione di pretenziosità…”. Quasi come se riconoscesse la propria inferiorità anche suo malgrado. Come se fosse lui per primo a credere nell’esistenza di un accento più degno degli altri.
Maa peerchèè…quaandoo paarlo si seentee chee soonoo di Paaleermoo? 🙂
Bordieu ha ragione. Se E. Dante e Enia ci hanno liberato, come dici tu, dai complessi che riguardano l’accento, Andrea Camilleri ha probabilmente sdoganato l’uso del dialetto siciliano, promuovendone un nuovo ed imitato utilizzo. Certo però che sentire i mmmiii… di qua e i mmmiii.. di là che si sprecano al nord fa un po’ strano.
ma chi sta ricieeennuu? a mia un mi’ parunu vieri sti cuoisi..
ehm, forse ho “dittongato” un pò troppo 😉
Fiuuuuu! meno male che non ho mai imparato a parlare tischi toschi. Certo, ogni tanto, a pigghiatina po’ cu*o si, ma mai il mio accento a subìto modifiche puranco avendo vissuto fuori dalla sicilia. Invece certi miei amici che emigrano cominciano a parlare tischi toschi dopo una simanata abbondante di permanenza in polentonia, ad esempio.
Io sto a milano da poco,che sono siciliana e di Palermo lo dichiaro orgogliosa,porto addirittura una medaglietta a forma di Sicilia al collo.pero’,certe volte mi accorgo di camuffare l’accento,consapevolmente o no.Perche’? Perche’ certe volte essere siciliana e’ una cosa solo tua da tenere preziosa…da proteggere…perdersi nell’anonimita’ a volte e’ rassicurante.
Comunque devo dire che non ho incontrato nessuna forma di razzismo nei confronti, anzi a volte si scusano della pochezza della loro storie e arte rispetto alle nostre radici normanne.Dimenticando per fortuna nostra ,il male che certi siciliani arrecano a loro stessi e al mondo.Ciao
mah! secondo me non è una questione di accento.
Noi siciliani abbiamo dei costrutti frastici decisamente unici e coloriti:
cala la pasta, tra un po’ avvicino a casa tua, mi sono dato diritto costituzionale, diritto comparato e psicologia, non si ci capisce niente.
E’ inutile, anche se cambieresti l’accento e parleresti così il bauscia ti sgama.
nè?
Permettimi di non essere completamente daccordo con quanto da te scritto.
Sono palermitano, orgoglioso di esserlo e di parlare “ca masticùagna”…ma…sono un attore e devo purtroppo invitarti a ravvederti su ciò che la dizione italiana è per questo “mestiere”…
Hai provato ad immaginarti seduto in una poltrona al Teatro Eliseo a Roma ed assistere ad una rappresentazione di “Chi ha paura di Virginia Woolf” oppure ad una commedia brillante di Noel Coward, con gli attori che danno le loro “inglesissime” battute in siciliano, o veneziano, o romano o chi più ne ha più ne metta?
Non parliamo poi del doppiaggio…sarebbe fantastico sentire al posto del mitico “ti spiezzo in due” di Ivan Drago (RockY IV), un più “libero dai dogmi del Teatro)…”ti rrump’i cùajnna)…non trovi?
Ci sono regole (quelle dell’Arte (quella Vera…che è in via d’estinzione), che possono essere discusse, analizzate, magari approfondite…ma non stravolte!
Per Totò: Diritto costituzionale, comparato e psicologia, ma se CAMBIASSI i tempi verbali ne trarresti giovamento tu, chi ti ascolta (e ti giudica) e anche la nostra cara, vecchia e bistrattata lingua italiana…e così il baùscia…unn’avissi…(in questo caso la lingua palermitana trasforma il condizionale in una forma “continuativa” del congiuntivo)…chi ddiri…
Non è difficile…
In dialetto come si dice?
Si putissi…
si canciassi…
s’avissi…
si fussi…ecc…ecc…ecc…
Un c’è nìanti…pigghiamunn’u café!
Nn’hamu vistu!
P. S.: Chiedo scusa per le parentesi un po…”disordinate” del post precedente…la foga nello scrivere a volte fa questi scherzi…chiedo venia…
Talècuccè hai ragione.
Aspetta che riformulo meglio il periodo. Allora:
è inutile, anche se cambieresti l’accento e parleresti così il bauscia ti sgamassi.
Così va meglio, decisamente meglio.
Finalmente noto un barlume di senso dell’umorismo. Evvai!
coniugatemi al futuro,in siciliano,un verbo qualsiasi…….
Si, Bookends, la tua “provocazione” è davvero pertinente giacchè, in siciliano, tutti i verbi si coniugano esclusivamente al presente o al passato. E l’assenza del futuro spiegherebbe proprio le variabili fenomenologiche della dimensione dell’insicurezza: il pessimismo e la resistenza al cambiamento. Chiaro che la dimensione soggettiva dell’insicurezza affonda su complessi processi di ordine cognitivo e su dinamiche sia emotive che relazionali.
Pirandello docet…
Già è vero.
Non esiste in siciliano alcuna forma di coniugazione verbale del futuro…o meglio, ne esiste una che ha come riferimento il verbo “dovere” e che ha delle similitudini con una variante del condizionale inglese di “must” (ought), che è “I have to do!”…letteralmente “Ho da fare!”.
“Quest’estate andrò al mare!” diventa quindi “St’ajstàti m’he gghìr’a ffar’i bbagni!”.
“Domenica andrò allo stadio!” sarà (inevitabilmente…) “Rumìnica he gghìr’a bbìrir’u Palìajmmu!”.
“Domani andrò a lavorare!” = “Ruman’he gghìr’a ttravagghiari”.
Quindi (forse), c’è il profilarsi di un’ipotesi, che ha come oggetto un siciliano che affronta il futuro (con i suoi annessi e connessi), con “senso del dovere” oppure…molto meno nobilmente, come qualcosa che…”gli tocca fare”…ma ripeto, è solo un’ipotesi.
esiste la forma del dovere, talecuccè, ma usa il verbo avere.
Avvia a fari’, mi tocca fari.
Nel tocca fare, forse il linguaggio risente piùin modo molto direttio verso la responsabilità personale. E’ meno astratto, il dovere, e più preciso.
Come ho letto in un articolo sul giornale di Sicilia di uno scrittore Napoletano con cui forse concordo, noi siciliani, come i Napoletani, siamo autorefernziali, pensiamo da sempre di essere unici, non entriamo in competizione con nessuno, perché non vediamo la competizione.
Il tempo futuro non è coniugabile in siciliano perché al siciliano del futuro non gli importa. Non si pone neanche il problema del futuro il siciliano.
Il siciliano vive al presente perché per lui il presente è il futuro (dumani mi nni vaju a mari. Fra cinc’ anni tu dicu io: arrè ci votu pi chissu!) Il siciliano si proietta al futuro che è già presente. Poi però se lo scorda ( o se lo scorderà)
Cara Daniela,
si stanno sdoganando troppe cose della palermitanità facile. La parlata, la pigrizia, le scorciatoie, il qualunquismo, l’incultura, l’autoreferenzialità (a buon mercato), il “sono fatto così e non se ne parli che mi metta in discussione”. E altro ancora.
Noi parliamo come mangiamo. Fuor di metafora, ci meritiamo la parlata palermiana che franmcamente non è niente di che. Capisco l’estetica e la sensualità dell’accento in bocca ad una donna bella e affascinante. Che ne dici della sguaiata estetica (sic!) dei personaggi “teatrali” che non fanno teatro e che sono una tragedia? Per non dire di certi (troppi) politici che ammorbano l’aria…
Ciao (con le vocali chiuse dove occorre chiuderle)
L’Italia televisiva parla in romanesco. Chi ha una cadenza lombarda non avrebbe semplicemente scritto un post come il mio: è un problema che non si pone. A scriverne si corre il rischio di divenire complici di un luogo comune della rappresentazione, di cui siamo consapevoli.
Anche Cammilleri propaganda un siciliano rivisto para-letteral-divulgativo,tanto da essere reso comprensibile a chi non lo é, ma tale anche da tradire il pensiero più profondo dei siciliani, trasformando la cultura in macchietta, in aforismi di facile consumo.
Onestamente, dopo i primi due libri di Cammilleri che ho letto, la noia mi subbissò, e mi subbissò anche per la ripetitività dei ruoli, delle interpretazioni, e del linguaggio. Da siciliana snob continuo a preferire Tomasi di Lampedusa e Pirandello.
Diciamoci la verità: al di là di tutto l’accento palermitano fa stracacare!
La verità dilla ai tuoi amici ‘finuliddi’, Michele…
concordo pienamente con la citazione fatta dall’autrice del post: volenti o nolenti, consapevoli o no, noi siciliani subiamo, per quanto riguarda la lingua e la pronuncia, una sorta di dittatura culturale. in questo senso credo che la colpa maggiore l’abbia la tv italiana, dove nel 99% dei casi si sente parlare o con accenti del nord o con l’accento romano, e assai meno con l’accento napoletano. di contro il siciliano(nelle sue varie eccezioni) lo si sente purtroppo solo nelle fiction che parlano di mafia. questa è una terribile violenza che(almeno a me) fa molto male, e che oggettivamente crea degli stereotipi assai nocivi per noi tutti. detto questo ci tengo a fare 2 precisazioni: 1. l’italiano, con la giusta dizione e con sintassi e grammatica perfetta, nella realtà non viene parlato da nessuno; lo si ascolta solo raramente nei tg in tv o nei teatri classici, per non dire d’accademia. 2.la lingua siciliana è antecedente all’italiano, essendo nata alla corte palermitana di federico II, ed essendo questa la lingua che ha fortemente ispirato dante nella scrittura della sua divina commedia. ciò per affermare con ancora di più, che dobbiamo essere fieri della nostra pronuncia, del nostro accento, dei nostri dialetti, e perché no, “puru râ nostra lingua”!
studiatevi il cinese
e troverete lavoro
Daniela, posso minare tranquillamente una tua certezza, dandoti nel contempo una buona notizia: l’amico catanese ADORAVA TE non l’inflessione.
Seriamente penso che sia da “dominati ” cercare di assumere l’inflessione del posto in cui si va a vivere, mentre parlare in italiano il più possibile privo di inflessioni è operazione diversa e non disprezzabile, anzi corretta, non certo da colonizzati, perchè prima di tutto noi saremmo italiani.
P.S.: infatti non mi risulta che la Carmen di Emma (Olio) Dante dica puoitta e cuoinna…
lo ribadisco, perché è una realtà che ai molti potrebbe non essere chiara, l’italiano corretto nella realtà non è parlato da nessuno: casi rari sono alcuni presentatori in tv e nei tg, e in alcuni spettacoli teatrali, per lo più di cattiva fattura.
quoto orazio.
@ elena: vero.giusto, giustissimo…
Resta il fatto che il palermitano o parla come se esistessero tre vocali: a, i, u (“ma fammi la cartasìa”) o peggio ancora è il fighettissimo che dice “prantu?” quando risponde al telefono, tutto impegnato a chiudere l’ultima vocale ma incurante della prima, nella quale inconsapevolemnte denuncia tutta la sua inguaribile natura palermi-tascia…
a proposito di accenti, ma vi immaginate i commenti che potrebbero venire fuori se Bersani, che con Crozza è diventato uno “simpatico” da potere prendere anche un po’ in giro per l’accento, fosse palermitano?
…’ra pisantizza!
SOLO i palermitani hanno questi complessi di inferiorità.
Napoletani, romani, fiorentini, veneziani, bolognesi, etc. non nascondono le loro inflessioni; ne sono fieri.
Chi ha detto siamo italiani? L’italia non esiste, né riguardo a questo tema, né per quelli socio-economici e anche politici.
Non è il momento adatto per andare a ricercare i motivi di questi complessi di inferiorità, si deve andare troppo lontani nel tempo, troppi fattori intervengono…
Il colmo: per nascondere l’inflessione le nuove generazioni di palermitani – i tochi, i fighetti, i tischi toschi, tutti tasci ognuno a modo loro – si sono inventati una “parlata” tischi toschi, ridicola, che è una via di mezzo tra “parlata” di bambini “ritardati” (beati loro!) e gente un po’ tarata; in questo modo diventano riconoscibilissimi, quindi non hanno nascosto niente, se prima si notavano per l’inflessione palermitana ora si notano per il palermitano scimunito. Paléeermo, ma che miinchiaa disci! quella cooosa! Pertanto, anche gli speaker, tv e radio, dicono lo stesso Siscilia. AH AH. str…zi!
Il culmine si verifica a tgs: quasi tutti i neo-reclutati, giovani lettori di notizie (ditelo a tgs e telegiornale) presentano la caratteristica della “parlata” tischi toschi spinta al livello massimo.
Ma se non parlano scimunito non li assumono? Ce n’è uno che è comicissimo: un misto tra il bambino “ritardato” come detto, e un giovane ragazzo un po’ frocetto. Diirettoore! (con la I dolcissima, tipo froscio!) Provateci.
Conclusione: palermitani ridicoli.
La mia inflessione qui a Parigi (il mio francese unico per inflessione) mi è servita – favorevolmente – in molte circostanze, sempre, sia in situazioni pubbliche che private ( 😀 ).
N.B. ovviamente “palermitani ridicoli” è riferito solo ai tischi toschi complessati.
@michele. infatti, da quello che ho potuto studiare, è proprio la questione delle vocali che, se non affrontata in ambito scolastico, crea un bel po’ di confusione.. nell’italiano standard in realtà non esistono 5 vocali, ma bensì 7, perché le “e” e le “o” sono entrambe di due tipi, vale a dire “aperte” e “chiuse”. tengo a precisare che il problema è diffuso in tutta la penisola: la maggior parte delle “e” chiuse dei lombardi o dei piemontesi (o le terribili “s” sibilanti di quest’ultimi) sono altrettanto sbagliate. solo che a loro, a forza di sentirli in tv, non ci si fa più caso, mentre noi subiamo una “violenza” del tutto culturale. in questo contesto non è semplice trovare il giusto equilibrio, e arrivati a questo punto, visto che nessuno si applica in questo senso, non capisco perché dovremmo farlo noi. per quanto mi riguarda, vale l’antico detto siculo: “parra comu manci”.
Elena, esiste pure chi parla in italiano e che, a parte le vocali più o meno aperte, evita di cadenzare il proprio parlare in modo esibito.
Gigi
a proposito del parlare palermitano segnalo a te e a tutti l’interessante articolo di Giovanni Puglisi oggi su Livesicilia http://www.livesicilia.it/2011/12/04/la-mafia-un-giorno-finira/ parla appunto del modo di parlare di Palermo, ed è per questo forse che certi palermitani non sono ridicoli come dici tu ma semplicemente si vergognano del contesto e del parlare che si fa in quel contesto. Riflettiamoci magari… a prescindere dagli atteggiamenti ridicoli a cui tu fai riferimento.
Orazio, sei passato da un estremo all’altro.
Sicuramente io non mi riferivo a quello parlato dall’immondizia umana (i mafiosi), a quelle caricature immonde.
Che non c’entra niente con l’inflessione palermitana, e siciliana, alla quale mi riferivo io che, secondo me, ha i suoi aspetti interessanti per la musicalità e per metafore, sottintesi, immagini, etc., che si possono esprimere servendosi del palermitano (parole e suoni), o siciliano, naturali e che hanno radici e risultanze nel pensiero, mentre il tischi toschi è solo una min…hiata che non vuol dire niente e non somiglia a niente. Senza storia né significati il tischi toschi.
Sciascia non si nascondeva come non si nasconde Camilleri. Comunque c’è l’inflessione meno marcata, appena percettibile, naturalmente. Le nuove generazioni non parlavano come i mafiosi quando hanno inventato il palermitano tischi toschi ridicolo e scimunito. Leggero’ il post di Puglisi, preferibilmente quello di Roberto Puglisi, perhé Giovanni Puglisi non lo conosco 😀 ti avverto che è molto fiero e ti sgriderà per avergli cambiato il nome.
Orazio, ho letto.
“Ma sentite come parlano. E’ un mix tra il Padrino e una forma di odio che ancora sorprende.
intrisi di un codice animalesco con relativo linguaggio. Ripensi alle voci intercettate. Un altro brivido. E’ l’accento di Palermo”.
Io direi: di una certa Palermo.
Che non è l’inflessione che conoscevo io nell’infanzia, nell’adolescenza, e che sento e parlo anche ora quando ne ho voglia – mischiandolo all’italiano – se sono a Palermo. Evidentemente io non conosco mafiosi 😀 ed i palermitani che frequento ed il palermitano che parlo io, che è anche teatrale secondo me, e del quale non mi vergogno anzi ne vado fiero, non ha nulla a che vedere con quelle caricature odiose, dal tono odioso pure,
vabbé, allora orazio, secondo te, io mi dovrei vergognare di parlare col mio accento( o nna me lingua) perché quattro mafiosi parlano in siciliano??! e allora facciamo pure che i tedeschi si devono vergognare di parlare in tedesco perché in tedesco ci parlava hitler? oppure aboliamo l’italiano, visto che è stata la lingua con la quale si esprimeva mussolini, chi nni pìenzi? potremmo fare così, per esempio.. in siciliano in senso largo(sintassi, lingua, modi di dire) a parte i più conosciuti hanno scritto(e lo hanno anche parlato) gente come federico II, pirandello, verga, buttitta, giovanni meli, non scherziamo…
Appunto, lasciamoci condizionare da quelle (…) e lasciamogli pure la nostra lingua, con tutti i suoi elementi che ho scritto sopra: metafore, teatralità, musicalità, etimologia… parliamo tutti tischi toschi senza identità.
Gigi, parlare tischi toschi è da cretini, sono d’accordo, lo sottintendevo pure prima, parlare italiano, o almeno senza inflessione, è cosa ben diversa.
Io ricordo, alle medie, ero l’unico che parlasse in italiano in mezzo ad un mare di dialetto. Non me ne vergognavo, nè disprezzavo. Oggi invece il dialetto non lo parla quasi nessuno, però al posto del dialetto adesso la maggioranza strascica parlate fatte di vocaboli d’italiano misti a vocaboli (pochi) siciliani, con la costruzione per lo più in siciliano.
Mi sembrano due strade fatte male. La prima quella di aver abbandonato il dialetto, la seconda quella di non esser riusciti a parlare italiano.
E’ la mia opinione, ed a scanso di equivoci, parlo in dialetto quasi perfetto, se voglio, ed in italiano il più possibile privo d’inflessioni e strascichi (a prescindere dalle “e” e dalle “o” che restano quelle che madre natura m’ha dato 🙂 ) laddove si deve parlare italiano, lasciando perdere il “sicilianese”.
Viva il dialetto quindi.
P.S.: Camilleri lasciamolo perdere, mi sta simpatico come ogni vecchio truffaldino che sbanca a 60 anni e a 80 è ricco, ma con il siciliano c’entra come i cavoli a merenda.
studiatevi il cinese e sarete ricchi.