Mario Bardi. Opere 1975 – 1998
Un omaggio per l’artista palermitano, un corpus di quaranta opere circa che parte da testimonianze degli anni Settanta, del suo primo approccio alla pittura e continua snodandosi intorno a nuclei tematici ognuno dei quali segna una tappa importante e indicativa dell’intera produzione di Mario Bardi. Dalla figurazione trasognata, eppure capace in maniera lucida di narrare, emerge una condizione esistenziale, le motivazioni e le scelte che hanno fatto dell’uomo un artista.
A partire dall’indagine del corpo disfatto e pulsante (Nudo, 1973), grazie al quale l’artista si misura col mezzo coloristico che non cesserà mai di essere la chiave di volta per comprendere la forza del suo sguardo concettuale e creativo nei confronti del reale, si comincerà a definire l’elaborazione del colore. È con il possesso delle cromie accese, dei rossi, dei fuxia, dei porpora che Mario Bardi costruirà il suo mondo, la trasfigurazione del reale visto e pensato.
Proprio alla fine degli anni Settanta appartiene una gouache in mostra, il Prelato (1975-76), in cui le forme stentano a coagularsi, la composizione del pezzo ruota tutta intorno alla mano appena abbozzata del prelato che rappresenta l’epicentro di un sistema di forze centripeto. Nell’instabile equilibrio del moto ruotano macchie di colore e libertà di segno e campiture, una composizione forzosa, in cui la capacità espressiva del soggetto parla nonostante il rigore dello sguardo autoriale. Il prelato narra una condizione non soggettiva ma estesa, non personale ma comune, la condizione della Sicilia vista dagli occhi di un artista, di un uomo attento, vista dall’esterno e contemplata malinconicamente così per com’è.
La serie dei Cardinali, masse porporine senza volto, sono la riprova dell’impalcatura che regge, del sistema che si riproduce, della storia che si ripete nelle lucide e accese cromie lisce e senza sbalzi di materia, senza incertezze gestuali. I Cardinali senza espressione e senza personalità sono la perfetta metafora delle montagne del golfo di Palermo e delle loro pose immobili, quasi la rappresentazione degli ingranaggi da cui lo stesso artista rifugge pur contro la sua volontà.
La storia personale di Mario Bardi si intreccia con la storia degli artisti siciliani mortificati dal non poter rimanere in Sicilia, si lega alla storia della Sicilia e quasi a far da contraltare formale e concettuale alle strutture porporine delle vesti dei Cardinali si ricongiunge ad un altro nucleo di opere: le città barocche.
I Paesi di Mario Bardi rappresentano un’altra immagine della Sicilia, un susseguirsi di piani, quasi come se fossero piani di lettura, sono piani intelligibili che riescono a suggerire appena l’allucinata complessità del reale, l’acume e la sensibilità dello sguardo dell’artista che tenta di spiegarsi con l’elaborazione delle forme delle case e la loro sistemica distribuzione sulla tela il senso delle cose. Isole barocche su fondi rossi, città senza fondamenta, balconi e cupole, chiese e qualche manciata di casette gettate su montagne o fondi scuri da una mano distratta e perfetta del cui senso, ci rimane solo l’ombra, la traslucida percezione della loro esistenza.
Gli anni Ottanta sono ancora percorsi attraverso la serie dei giardini, delle nature morte, puntellati dai cesti di frutta solidi e immobili, superbi nella loro fattura, nella loro estraneità ai fatti. Questi ultimi appaiono come vessilli, statue di tempi indecifrabili e ciclicamente presenti e dichiarano la loro appartenenza all’insieme di immagini che suggeriscono possibili letture e metafore per la comprensione del mondo dell’artista, dei suoi ricordi della Sicilia lontana.
In Natura morta con giornali (1980) è un cielo plumbeo a fare da sfondo alla brocca barocca e al piatto di limoni, sotto al quale un paio di giornali stropicciati curiosamente parlano di futurismo, di tempi andati, accartocciati sotto i simboli eterni, enormi, incontrastabili.
Anna Maria Ruta, che ha curato la mostra, opportunamente sottolinea in catalogo l’importanza della presenza dello Studio per Santa Rosalia (1985) realizzato in occasione della preparazione della grande Pala d’altare per una delle quattro cappelle della Chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani di via del Tritone di Roma. Bardi dedicò la Pala alla patrona di Palermo elaborando citazioni raffaellesche e tempo presente, in una combinazione formale solida, statuaria eppure viva e pulsante: “un mondo tutto laico, umano di interpretare il sacro”.
Anche grazie a quest’altro importante tassello la mostra prova a restituire ai visitatori la storia di un artista attraverso la declinazione del suo sguardo attento e sensibile, le vicende di un uomo lontano dalla sua terra eppure profondamente attaccato ad essa, le multiformi e capaci voluttà compositive che tracciano il segno del suo sguardo, delle sue indagini trasognate e composte, solide e accese come i colori che usava, quasi fossero sottolineature, esclamazioni, strizzatine d’occhio rispetto all’esasperazioni cui siamo assuefatti inevitabilmente dalla nostra Isola lenta e baroccamente immobile.
INFO: Mario Bardi. Opere 1975 – 1998. A cura di Anna Maria Ruta
Provincia Regionale di Palermo – Associazione culturale ARIES
Galleria 61 Palermo 23 giugno – 22 luglio 2006
quando c’è, c’è. sempre brava, chiara e precisa.