Il “luglio nero” a Palermo
Diciannove anni fa (era luglio), nello Sri Lanka, il governo cingalese, tramite degli sgherri, massacrò migliaia di cittadini Tamil; una sorta di pulizia etnica. In molti fuggirono e tanti presero la via dell’Europa, ma, per qualche ragione che mi è oscura, la maggioranza di questi venne a finire a Palermo.
Questi i fatti pregressi. Oggi a Palermo ci sono circa cinquemila Tamil; è una comunità numerosa, pacifica e laboriosa. Le sedi centrali delle loro associazioni nazionali si trovano qui. Famosa è la loro devozione a Santa Rosalia. Ormai a fare la classica “acchianata” settembrina a “piedi nudi” in cima al sacro monte sono rimasti soltanto in due gruppi etnici: i palermitani dei quattro mandamenti, contratti dal dolore e con quattro strati di calzette ai piedi, e i Tamil, che per sì per no se la fanno in ginocchio, e con il sorriso in volto. Tuttavia mentre i primi si assottigliano rapidamente, i secondi fanno quattro figli a coppia, tutti belli.
Oggi (ieri n.d.R.) la comunità Tamil era riunita a Piazza Politeama per commemorare il loro “luglio nero” di 19 anni fa. Dovevo andare a una pièce di Kals’art, ma ho preferito fermarmi lì. Nelle commemorazioni delle nostre stragi siamo abituati a riunirci spesso attorno a dei politici che parlano. Loro invece hanno ri-rappresento la strage in maniera semplice e tuttavia violenta. Con dei microfoni attaccati al collo dei giovani col volto coperto impersonificavano i cingalesi, altri, ragazzi e ragazze vestiti a festa, i tamil. Quelli col volto coperto picchiavano, strattonavano e colpivano quelli vestiti a festa i quali, inermi, gridavano. Il suono di sottofondo era il fragore delle mitragliatrici. Un cavetto staccato per sbaglio forniva anche un feedback distorto che aumentava l’angoscia.
Non c’era nulla di artistico in tutto ciò. Non vi era una coerografia e gli “attori” ripetevano frasi di una semplicità sconcertante, simili a delle suppliche, simili alle frasi che si dicono quando stanno ammazzando tutta la tua famiglia. Quello che si vedeva non era “bello”, non era sicuramente neanche abbastanza “vero”, ma era tremendamente efficace per reiterare la memoria di quello che era successo. Vedendolo un brivido mi è corso sulla pelle e pensavo all’effetto sui molti bambini presenti.
Un fatto è significativo: i protagonisti della rappresentazione erano tutti giovani con non più di vent’anni, proprio coloro che non hanno una memoria vissuta dei fatti. Ma è proprio a loro che la rappresentazione era rivolta. La memoria del “luglio nero” è il collante di una comunità in cui la seconda generazione si esprime di preferenza in italiano. Sulla scena “cingalesi” e “tamil” si esprimevano in un italiano con una forte cadenza siciliana, eppure il 99% degli spettatori era tamil. La memoria di un evento intimamente connesso all’identità di un popolo si trasforma e diviene strumento per forgiare l’identità di un “nuovo” popolo, quello creolo che venera i simboli indù e la “santuzza”, che sforna le arancine col basmati e il curry (a Piazza Lolli, buonissime) e che usa il luogo pubblico più rappresentativo della città per mettere in scena il proprio passato.
Bello.
(crosspostato su mannotpixel.com)
Anche oggi è un “luglio nero”;per quanti arrivano alle nostre coste e ci rimangono altri si fermano a metà strada!