Arrivi e partenze: l’aeroporto di Palermo
Marc Augè include tra i “non-luoghi”, quegli spazi della postmodernità “che non creano identità, non costruiscono relazioni, non si integrano con il passato”. Tra essi, oltre agli gli ipermercati alle autostrade e a Disneyland, vi include anche gli aeroporti: luoghi di passaggio, di comportamenti codificati, sempre uguali a se stessi.
Ieri sera, mentre aspettavo alla sezione “arrivi” dell’aeroporto internazionale di Palermo mi veniva da pensare che il famoso antropologo francese, che è stato più volte a Palermo, dovrebbe ripassarci di questi tempi. La sua teoria entrerebbe in crisi.
Sono le 21.00 e agli “arrivi” si aspettano i voli da Roma, Pantelleria, Milano. La sala è affollata e la gente è ciarlera. Tutti i posti a sedere sono occupati da parenti in attesa, molto spesso anziani. Al bar qualcuno sorseggia flemmaticamente un caffè freddo. Sotto le griglie di uscita dell’area condizionata, insufficiente, si formano cappannelli di uomini che più soffrono il caldo, discuto di ritardi aerei e di sport. C’è ressa sulla barriera che ostacola l’accesso alla sala del ritiro bagagli, delle donne con bambini sono ai primi posti (i bambini seduti sulla barriera o in braccio), mentre da dietro dei colli si allungano per vedere chi è arrivato. Non è la scena che di solito si vede agli aereporti internazionali, dove fuori dalla soglia della dogana stanno ad aspettare autisti di taxi con le facce annoiate e un cartello nella mano con la scritta del cliente da aspettare, di cui non si conoscono i connotati. Qui invece tutti conoscono le facce di quelli che aspettano. “Guarda quello è Francesco – fa una signora a suo marito – mi sembra dimagrito”. Francesco viene da una settimana a Pantelleria (con la Palermo bene?). Continua »
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