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martedì 19 nov
  • Purtroppamente (n.2)

    Purtroppamente ci sono volte che non funzionano manco i proverbi. Quando uno dice un proverbio è perché pensa che quattro parole spesso sono meglio di un discorso. Ma i proverbi spesso servono per trovare una scusa, un “ma però”, servono a giustificare, pattiare, traccheggiare. Uno ha esagerato in una reazione? “Per un cornuto, un cornuto e mezzo”. Uno zio troppo invadente con la cuginetta di 17 anni? “Cazzo (chiedo scusa) arrittato non conosce parentato”. In ogni caso i proverbi arrivano diretti dal mondo che abbiamo attorno e non c’è situazione che non ci offra il conforto di una pillola di saggezza altamente flessibile: chi va piano, va sano e va lontano? O chi dorme non piglia pesci? Dipende…
    Ma i costumi cambiano più velocemente dell’affermarsi di un proverbio. Non ne troverete infatti che si possano adattare a quanto è successo sabato 9 settembre in un paesino della Valtellina. Ora ve lo racconto.
    Era un giorno di malotempo di contarcelo al medico ma per una bella siciliana di anni 28, era il giorno più bello perché si era presentata davanti al parrino con l’amore suo, un polentone di anni 32 con il quale già aveva casa insieme dalle parti di Cantù. E forse quando giocavano lei ci diceva a lui: io vengo da Cantù, fammi quello che vuoi tu. Ragazzi appassionati, dunque, che stavano coronando il loro sogno d’amore. Lei in abito bianco, seguita da un centinaio di parenti venuti in carovana dalla Sicilia, lui con la giacca a sei bottoni e la camicia col collettino a pizzo, la macchinona affittata, i fiori in chiesa, viole, violini e violoncelli per la musica, gli anelli infilati nel dito sbagliato perché i due piccioni si guardavano negli occhi, mica nelle dita. E tra i banchi l’allagamento delle lacrime di mamme e suocere, il casino dei ragazzini rompipalle che nei matrimoni sono obbligatori come gli articoli del codice civile che il parrino deve leggere agli sposi.
    Ma che bella festa, ma quanti invitati, ma che benne “mise”: la signora Rosaria col cappellino con la veletta e le scarpine a punta che per camminare la devono tenere, lo zio Calogero con la cintura sfibbiata perché ultimamente ci ha un’aria, ma un’aria…E il cugino Santo che sorride con la faccia da figlio di puttana e fa capire a tutti che quando la sposina era ragazza e veniva in vacanza in Sicilia, qualche tramonto bello “appitanzato” ce lo ha fatto vedere.
    Dopo la cerimonia, riso sulle labbra e riso negli occhi, quello tirato dai ragazzini terribili che non sbagliano una pupilla. Mentre piove e, si sa, sposa bagnata, sposa fortunata. Ma è sicuro che stava piovendo? Può essere che proprio quando la sposa è uscita, il cielo si è allargato improvvisamente e la sposa non si è bagnata proprio?
    E sì, perché di fortuna proprio non possiamo parlare. Come infatti gli sposini e gli invitati finalmente muovono fino alla sala del trattenimento, un bel locale grande in Valtellina dove sono abituati che quando arrostiscono mettono sulla carbonella un vitello intero. Insomma, gente di tradizione.
    Lo sbutro è di qualità. Ore a mangiare, il gruppo chiamato ad allietare la festa comincia già a boccheggiare causa esaurimento di repertorio. Ci prova lo zio Angelo che suona ciuri ciuri con la fisarmonica che si è portata direttamente dall’Isola. Sotto i tavoli succede di tutto o quasi. Le signore che ormai sognano le tappine comode, hanno levato i piedi dalle scarpe impossibili, le cinture sono tutte sfibbiate perché le panze non sono più quelle di una volta, quattro ore prima quando erano vacanti.
    Insomma tutto procede bene e i gestori della sala sono tutti contenti perché vedono solo gente felice. Gli sposi, ah gli sposi….Si tengono per mano, si guardano negli occhi, si saziano di sorrisi e quasi non toccano cibo perché di altro pane si nutrono: quello dell’amore. Prima della torta gli sposi fanno il giro dei confetti e danno le bomboniere agli invitati speciali. Poi lui chiede permesso e si allontana per un bisogno inserendosi nel discreto traffico che si svolge sulla via dei gabinetti. I soliti gabinetti: una porta con la sagoma del signore col cilindro (nel senso del cappello) e una porta con la sagoma della damina con l’ombrellino. Tanto per non sbagliare
    Anche la sposa, a un certo punto avverte la necessità di cambiare l’acqua alla passerina, per così dire, e di darsi una rinfrescata. E anche lei varca la porta del bagno. Si guarda allo specchio, prende atto della fine inevitabile dell’acconciatura tutta ricciolina e piena di nastrini che pare un Rasta. Ma mentre controlla le borse sotto gli occhi le sue orecchie registrano un ansimare chiaro, un affanno che non le è del tutto sconosciuto. Sente qualche parola, qualche espressione di passione che ritiene di riconoscere. In fondo con quel ragazzo vive insieme da tre anni….
    Lo specchio le segnala il progressivo sbiancarsi del viso, come una brocca di vino rosso con un buco sotto, le mani tremano incontrollate, la mente lavora a pieno ritmo e già passa in rassegna la galleria dei ritratti delle possibili prede del suo già traditore marito: sarà Tiziana, quella troia con le minne grosse? Sarà Marika, quella pulletta che scambia la gonna con le mutande? Sarà la signora Elvira che non ha mai nascosto il suo sguardo concupiscente verso il baricentro erogeno del suo uomo? La furia monta, la rabbia mette il motore alle sue gambe, irrompe nel bagno dei signori pronta alla sua prima scenata da moglie, gli occhi già pieni di lacrime. Il mondo le è caduto addosso ma quando mette a fuoco la scena, il mondo non basta più e addosso le crolla la galassia intera.
    Il suo uomo, il suo ragazzo, il suo amante, la bellezza fatta persona con quei capelli riccioli neri e ribelli, quegli occhi cerulei e adoranti, quell’uomo è avvinghiato a un amante. Senza apostrofo. Un amante uomo.
    Non sappiamo a che punto fossero, sappiamo invece che solo in quel momento la ragazza capisce perché il suo appena marito avesse gratificato l’altro del titolo di “migliore amico”. Certo è che non si tratta di un abbraccio fraterno anche perché tra amici ci si stringe la mano e non altro.
    Lei impazzisce, torna nella sala, attraversa i tavoli come uno tsunami, fa volare suppellettili, rimasugli, tris fumé e tortellini, costolette e patatine. Obiettivo la torta nuziale che troneggia nel tavolo centrale come una Basilica in attesa del taglio. La fa volare via, altro che torte in faccia.
    Il gelo della sala si trasforma in agitazione, tutti vogliono sapere, le domande si accavallano come le formiche rosse che passano l’una sull’altra per arrivare chissà dove. Lei balbetta. “Lui….. lui….. lui…. con lui!”. “Con lui? e che viene a dire?” “Viene a dire che è un gran porco e garruso”. Parola magica che spiega e arma la truppa. C’è un guardarsi d’intesa tra i maschi del clan dei siciliani e in pochi minuti viene organizzata la caccia all’uomo. Ma i gestori del locale hanno già fatto uscire i due piccioni maschi dalle cucine. Non si sa se perché mossi a pietà per la loro sorte oppure se per salvare il locale nel caso si volesse organizzare proprio lì un’impiccagione western alla trave più alta magari dopo una rituale evirazione.
    Le cronache non ci svelano il mistero delle ore successive. Ma per tutto il week end non vengono segnalati cadaveri in zona. Forse lo sposino è giù ad Amsterdam col nuovo fidanzato oppure no. Non sappiamo. Non sapremo. Nell’attesa, qualcuno è in grado di proporre un proverbio che contenga questa storia? Io, purtroppamente, non ne ho trovati.

    Purtroppamente
  • 10 commenti a “Purtroppamente (n.2)”

    1. Intanto: bentornato (che è la cosa più importante!).
      Quanto al proverbio…ci penserò su. Mi viente in mente solo un banalissimo “al peggio non c’è fine”, ma questo potrebbe andar bene solo se conoscessimo gli sviluppi successivi della storia.
      O forse sarebbe meglio non conoscerli? 🙂

    2. “purtroppamente” non mi è venuto in mente niente se non un “adattamento”, qualcosa che potrebbe suonare pressapoco così:Cù lu sticchiu subisci di minkia perisci !!!
      ps
      geronimo è lo pseudonimo che utilizza cirino pomicino da giornalista e questo, ahimè, lo ignoravo. me lo ha svelato il buon claudio fava da “itaca news” il quale dovendo rispondere al geronimo avrà provato, diciamo, una certa forma di fastidio. bene, non sono pomicino il mio nome è gianni e “geronimo” lo sono dentro.

    3. Il proverbio potrebbe essere “ogni lassata è pirduta”

    4. Forse ‘Chi garruso é, garruso resta’.
      Direi che alla sposina é andata bene, averlo capito per tempo. A questo punto.

    5. Forse pecco di poca originalità, ma a questo punto dedicherei alla sposina un solenne: “Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere”.
      p.s. Ben tornato 🙂

    6. Mizzica che “tranvata” poverina!!!!
      Io per commentare il tutto mi rifarei alla mitica frase di “Forrest Gump”: La vita è come una scatola di cioccolatini non sai mai quello che ti capita….purtroppamente???
      Ciao a tutti e…buona domenica 🙂

    7. Il proverbio?
      ovvio…. “Ogni buco è pirtuso”

    8. E che ne pensate di : “NON SI PIGLIA CU NUN SASSUMIGGHIA”

    9. proporrei la variante “ogni pirtuso è galleria” ma… questo succede a tempo di carestia… non si è mai visto uno sposino “a pane e alivi” -.-

    10. Meglio un uomo subito che la gallina stasera.
      Questa l’avrà pensata lo sposo:-))

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