Purtroppamente (n.4)
Una volta, tanti anni fa, anche a Palermo furono disegnate le corsie preferenziali. E quando si parla di “preferenza” il palermitano attisa le orecchie. Le attisa per tanti motivi ma soprattutto per uno: il tentativo immediato di rientrare nella categoria dei “preferiti” o quello di sfruttare, a preferenza appunto, cose altrimenti interdette ai più. Quelle corsie partivano da Polietama e arrivavano sino alla Statua lungo tutta via Libertà, cotromano. Erano state disegnate per fare andare più veloci gli autobus. Non vi dico. C’era gente che avrebbe pagato oro per poterci circolare, anche senza alcuna necessità. Giusto per affarmare la “preferenza”. Un mio collega che aveva una bella Fiat 131 tutta blù che pareva quella dell’assessore all’annona, giocava sull’infallibile mecanismo dell’apparenza e, verso l’una e mezzo, mentre la città impazziva, si faceva tutta la via Libertà come un qualsiasi autista del municipio che ha appena lasciato l’assesore a casa. Nessuno gli disse mai qualcosa. Eppure quelle corsie erano controllatissime, specialmente durante le prime settimane.
E proprio una pattuglia della polizia, un giorno vide una 127 verde vomito di bambino imboccare contro senso la via Libertà contro senso dopo la “girata” di via Turati. Paletta. A bordo un palermitano cinquantino, secco come una stanga, barba di due giorni, pantaloni sciddicati, scarpe scompagnate, giacchino che gemeva “Ho visto giorni migliori”, camicia abbottonata fino al collo, capelli “alla mascagna”. Sull’auto, corno rosso regolamentare sotto lo specchietto retrovisore, calamita con foto di una seina di saittuni e la scritta “Papà non correre, pensa a noi” (ma niente foto della moglie che se no quello andava a 180…) e dietro, ciliegina sulla torta, il cane pastore di plastica accucciato con la testa che dondola. Insomma, un palermitano doc.
“Scusi – chiesero gli agenti – ma lei che ci fa qui? Non lo sa che queste sono le corsie per gli autobus?”. Il tipo guardò gli sbirri con sincero stupore e rispose: “Ma io lavoro all’Amat…”
Racconto questa storia per immischiarmi, nel mio piccolo, nel dibattito sulla redimibilità (o irredimibilità) di Palermo. Perchè la vicenda dell’operaio dell’Amat che si considera abitante legittimo della corsia preferenziale riservata agli autobus, si presta a fare da sostegno, con uguale potenza si direbbe paradigmatica, sia all’una che all’altra posizione. Quel pover’uomo dunque, diventa il campione di chi sostiene che Palermo è irredimibile ma anche quello di chi sostiene il contrario. Ora vengo e mi spiego.
1) Palermo è irredimibile.
Franco, chiamiamolo così per comodità, è il classico prodotto di una città gaglioffa dove impera il diritto all’abuso, per usare una bella espressione del mio collega Giancarlo Macaluso che su I Love Sicilia tiene una bella rubrica sui “pirandellismi”. Franco riteneva che l’Amat fosse una specie di loggia massonica l’appartenza alla quale gli conferiva di per sè un privilegio. Come la tessera del supermercato che dà diritto agli sconti. Perché il problema a Palermo è sempre quello di guardarsi attorno e di cercare subito le “aree protette”, di iscriversi – in un modo o nell’altro – a una struttura in grado di offrire una sorta di protettivo privilegio da sfruttare soggettivamente con l’unico, basico, obiettivo di campare alla meglio la famiglia. Non c’è adesione ideologica ma solo la ricerca del soddisfacimento di un istinto primario, quello della sopravvivenza dell’unica Società che conta, la famiglia di sangue, appunto. E se tanto mi da tanto, tra l’Amat e cosa nostra non c’è poi tutta questa differenza e pazienza se la prima trasporta persone da un posto all’altro e la seconda trasporta droga, pizzo, omicidi e lupare bianche. A un palmo dal mio culo… Su questo venne sviluppato un concetto che assunse perfino forme di rilevanza giuridica: quello della “contiguità”. Per essere “contiguo” era sufficiente non chiedersi per chi si stava lavorando, quali cunicoli illeciti passassero sotto la strada apparentemente lecita che si stava percorrendo. Mi chiamano per progettare un palazzo? E che ne so io se il costruttore è mafioso? Io l’ingegnere faccio… Tutto questo ha prodotto un “animus” cittadino sostanzialmente “freddo” sotto il profilo etico, un “animus” che ha provocato distacco dalle vicende più torbide di cosa nostra che, per mettersi la coscienza a posto, bastava considerare cosa nostra come…cosa loro (ma a me che mi interessa?) e questo valeva sia quando “si ammazzavano tra di loro”, sia quando cominciarono ad allargare il giro, per così dire, e sui marciapiedi si stinnicchiò pure gente che non c’entrava niente e poteva succedere che ti ammazzavano solo perché eri antipatico (sono simpaticissimo come infatti sono ancora qui). Quando la scorta di Borsellino ebbe un incidente alle Croci e una delle auto finì sul marciapiedi uccidendo una studentessa (ironia della sorte figlia di un funzionario di Polizia), apriti cielo. Ma questi magistrati a rischio non li possono chiudere in una caserma magari costruita a Bellolampo dove assai assai può saltare in aria una vacca? Ma noi che c’entriamo cone le loro cose. E poi tutte queste sirene mentre mi prendo un aperitivo all’Extrabar…. Ma che siamo a Beirut? E la targa commemorativa all’ingresso del nuovo commissariato di Brancaccio? Riunione del condominio: la targa si deve levare perché attira attentati. Anzi se se ne vanno pure gli sbirri è meglio. Pagine, paginazze, inviati, interrogazioni, solco d’aratro tra i palermitani onesti (pochi) e la “palude” fatta di palermitani “distratti” e sostanzialmente contigui, appunto. Tema del dibattito: ma questa città si può cambiare? Si può, appunto, “redimere”. Risposta: no. E tanti saluti.
2) Palermo redimibile
Franco non sapeva niente. Nessuno gli spiegava mai qualcosa ma, dopo essersi beccato una bella contravvenzione, l’indomani prese da via Roma Nuova e nelle corsie preferenziali non ci passò più. Lui che ne sapeva? Franco il Sicilia non lo leggeva e non guardava i notiziari di Tgs e Trm. Sempre a lavorare perché, smontato dall’Amat, aveva una cavigghia con suo fratello che fa il tappezziere e che aiutava come “menzobraccio”. Va bene, la legge non ammette ignoranza. Tuttavia Franco era una brava persona, un palermitano piccolo piccolo a un milione e trecentomila lire al mese, moglie, tre figli, suocera e “ziana” da campare. Non si fotteva la luce con “l’aggancio”, non tappiava le rate della macchina, lavorava dalla mattina alla sera. Piccola rotella cui non si può chiedere conto e ragione del perché l’intero motore non funziona o funziona male. Lo chiedano a chi deve occuparsi di manutenzione. Anzi, lo chiedano a chi deve progettare motori nuovi.
Cominciò così. Dalla scuola per esempio. Quando ci andavo io sapevamo benissimo dov’era il Delta del Mekong (in Vietnam) ma se dovevo andare a Corleone mi ci dovevano portare. E c’era un cardinale che diceva: “La mafia è un’invenzione che serve solo per parlare male dei siciliani”. Poi ne venne un altro che disse “Mentre Sagunto viene espugnata, a Roma si discute” (la so pure in latino ma non è il caso…). Erano morti tanti altri palermitani, non meno palermitani di quelli che avevano ordinato la loro morte. E il loro sacrificio, come quello di Cristo, sapeva appunto di redenzione, nel senso di essere stato consumato per redimerci. Una redenzione “regalata”, dunque. Ma, a parte i primi attori, sul palcoscenico di questa tragedia, avevano cominciato a muoversi i grandi numeri della Gente. E tra questi magari pure i figli di Franco che cominciarono ad imparare che la mafia non solo esiste ma è anche “una cosa di male”, come la droga, come la guerra, come la pedofilia, come la disoccupazione, come la perdita della dignità. E quando cominci a capire queste cose è difficile non sapersi “redimere”. “Addio Pizzo” nasce dal basso. Il “comitato dei lenzuoli” nasce dal basso e le foto segnaletiche di Riina e Provenzano, con le loro espressioni truci e tetragone, diventano una sorta di “santina” al contrario, quella dei “santi dell’inferno” da opporre ai santi del paradiso. Quindi non solo Palermo è redimibile ma è già sulla via della redenzione.
Ora io penso che le teorie 1 e 2 non sono prive di fascino e contengono buoni argomenti. Ma ho l’impressione che, alla fatta dei conti, siano un po’ astratte. Palermo ha un milione di abitanti e i problemi di una metropoli. Io campo da oltre cinquant’anni in mezzo alla gente e ho infilato il becco dappertutto: dai salotti buoni ai catoi e vi assicuro che tra i primi e i secondi, a Palermo, c’è un sorprendente filo di continuità quantomeno nella struttura di certi ragionamenti. E se una cosa ho capito è che quando si parla di “città” in questi termini, si usa spesso una parola senza significato se ci si dimentica che la “città” non è un’entità omogenea dalla quale attendersi posizioni etiche circostanziate e “politicamente corrette”. Una città (senza virgolette) è uno sterminato contenitore di persone e delle loro singole storie e se la sociologia suggerisce di trovare Insiemi coerenti, il buon senso consiglia di farlo con prudenza e occhi aperti, senza perdere mai di vista l’Uomo. Perché sono tanti Uomini che fanno la Gente. Sotto questo profilo il dibattito su redimibilità-irredimibilità non mi appassiona perché il suo risultato, qualunque sia, non libera nessuno dai propri doveri. Né l’Uomo dal ragionare, nè la Comunità, sotto forma di Stato, Regione, Comune, dal fare il proprio dovere di governo ancorato a valori concreti come quelli che stanno scritti, tanto per dirne una, sulla Costituzione. Allora invece di chiedersi se una città è redimibile o no, cominciamo a togliere gli alibi a tutti, da chi dice “piove, governo ladro”, a chi si fa le leggi a proprio uso e consumo spacciandole per grandi successi della Democrazia e della Civiltà: i secondi non meno “irredimibili” dei primi. Scusate il tono serio ma ogni tanto, purtroppamente, ci vuole.
Clap, clap, clap, clap!
Un sincero applauso da parte mia!
Grande…veramente grande…
Eccezionale sig. Billiteri.
Secondo me ogni palermitano e ogni cittadino del mondo dovrebbe leggere attentamente queste parole ogni mattina prima di uscire di casa. Infatti farò un coppia-incolla e mi rileggerò tutto con calma stasera, a casa.
Billitteri sei davvero una mente superiore. Stima e applausi.
Chapeau!
Concordo con Totò: queste parole sono da leggere, e rileggere attentamente. Illuminante.
Amici miei, vabbè che sono vanitoso ma già mi hanno ricoverato con la glicemia a tremila….non esagerate ma….GRAZIE!!!
Se qualche insegnante leggerà questo meraviglioso post di Billitteri , lo invito a stamparlo e leggerlo domani ai propri ragazzi a scuola…..
Devo necessariamente unirmi al coro. Finalmente qualcosa che vale la pena di leggere. Bravo!
Condivido ogni virgola.
Un giorno, sopraffatta dai miei pensieri circa le difficoltà che si incontrano vivendo nella nostra città ogni giorno nel trovare un lavoro, nel farsi curare, nell’ottenere per diritto ciò che appare più una cortesia, sono andata a Monte Pellegrino (non da Santa Rosalia:-))e guardando il panorama ho capito che i miei problemi erano condivisi da tanti…da migliaia di persone che abitavano dietro ogni piccola finestra di quei mostruosi palazzi che hanno “saccheggiato” la conca d’oro. Mi sono sentita più sollevata ma anche più arrabiata, perchè alla fine ognuno cura il proprio orticello e trova l’amico, il parente, lo zio dello zio che può darti una mano. Ma ciò non ha fatto venir meno la mia voglia di cambiare le cose, non ho mollato..non sono andata via neppure di fronte ad un’allettante proposta di lavoro oltre lo stretto…perchè il coraggio non sta nell’andare via…ma nel restare…cercando ogni giorno di fare un piccolo cambiamento..forse inutile chissà…ma ci provo!
mi scuso per il lungo post…
Grande Billi…sempre
Ok Billi, hai ragione, sarai pure vanitoso, ma mi sa tanto che tutti questi complimenti te li meriti … e te lo dice una che di Sicilia di Palermo e di Palermitani fino a poco fa ne sapeva solo dai giornali (poco, molto poco!!) e dai libri di geografia (ancora meno!!). Baci
A Mrs Brown: la soluzione invece è proprio quella di uscire, andare via. Tu puoi aiutare la tua gente, la tua città, solo se ti sei realizzata/o personalmente. E ciò per un palermitano, e per un meridionale in generale, vuol dire: emigrazione. Ciao!
“Purtroppamente” faccio l’ingegnere e non posso chiedere la fedina penale a chi mi commissiona un lavoro onesto, sapeste la risposta del cliente! E per questo non mi riconosco in chi si tura il naso. Per il resto daccordo su tutto.
Pucci