A molte leghe da Manhattan, dopo una crociera sulla linea M della metropolitana, dopo aver attraversato binari sopraelevati coperti di graffiti, un quartiere interamento cinese e uno animato solo da ebrei fondamentalisti, scendo alla fermata della diciottesima avenue e mi ritrovo a Bensonhurst, Brooklyn. Esco dalla stazione e vengo accolto da una sfuriata di clacson di poche auto bloccate in un mini ingorgo. La cosa mi suona familiare, e, d’altronde, è per questa ragione che mi trovo qui, per cercare quello che mi è familiare, ma che qui potrebbe essere un po’ diverso.
Sono, per così dire, inviato da Rosalio a cercare i palermitani di New York, quelli veri, non quelli finti di Mulberry Street, nella cosiddetta Little Italy, che sono più americani del tacchino del giorno del Ringraziamento, è che non sanno più nemmeno parlare la nostra (sicula) lingua madre. Mi inoltro un po’ a caso per Bensonhurst, anche se tutto quello che c’è di importante si trova sulla strada principale, la diciottesima appunto. Vorrei entrare in molti posti, ma sono tutti strettamente riservati ai soci, mi incuriosice per esempio il club della Congrega di San Vito di Ciminna, o quello de I figli di Sciacca, mi chiedo se i soci debbano essere originari dei rispettivi paesi e quanti ve ne siano da queste parti.
Mi tocca camminare un po’ per arrivare all’associazione più famosa da queste parti, la Society of Santa Rosalia, che organizza ogni settembre il Festino della Santuzza. Il carro attraversa un lungo pezzo della diciottesima e si ferma solo all’incrocio con la 53esima quando inizia la zona degli ebrei sefarditi. I siciliani accorrono da tutta New York per vedere il Festino, che loro chiamano semplicemente “the Feast”. Continua »
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