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sabato 23 nov
  • Illuminante!

    1993, terza vacanza estiva in Sicilia. Vivevo già da tempo a Milano, e avevo superato la crisi d’orientamento topologico-culturale. Nel mio ambiente di lavoro non c’erano siciliani, erano pochi anche tra gli amici e non li frequentavo tanto. Dopo aver trascorso la solita prima settimana con la famiglia che non vedevo da tempo, decisi dipassare qualche giorno a Levanzo, antico amore. A Trapani arrivo verso le 13:00, sono la sola persona presente all’imbarco. la biglietteria è chiusa, l’aliscafo parte alle 14:00. Mi siedo sulla prima panchina davanti allo sportello della biglietteria, mi sistemo gli occhiali da sole, calo sulla fronte le falda del mio nuovo cappello di paglia e inizio a leggere il libro che mi sono portato appresso. Di tanto in tanto sbircio lo sportello della biglietteria, sempre chiuso. Passa così un’ora. Alle 14:00.01 un’auto parcheggia vicino a me, ne scendono due donne e un uomo che confabulano un po’. Ore 14:01.00, intravedo una persona dietro i vetri della biglietteria, mi alzo per raggiungere lo sportello a tre metri da me ma nel frattempo il tizio si sposta rapido e mi si piazza davanti. Ci penso su una frazione di secondo e poi gli dico “Scusi ma c’ero prima io, non se n’è accorto?” Il tizio risponde che no, non se n’è accorto.

    Io non sopporto di non essere notato sopratutto se sono l’unico presente e non sopporto d’essere preso per il -beep. Inizia un’acceso scambio di battute tra noi, per concludere dico che dove abito io, a Milano, le persone rispettano il turno e sono anche abituate a farlo rispettare. L’idiota mi risponde che non siamo a Milano, siamo a Trapani. Infuriato gli replico che fino a prova contraria è lo stesso Stato italiano, stesse regole e civiltà. Nel frattempo l’impiegato, incurante della discussione, gli ha già staccato i biglietti. Illuminante! In quel momento decido che non ritornerò più in Sicilia se non per brevi vacanza. Non ho mantenuto la promessa fatta a me stesso, aimé.

    Perché ho raccontato l’aneddoto? Perché l’articolo di Daniele Billitteri mi ha ricordato quell’evento, impresso nella mia mente come su un DVD che posso scorrere a piacere avant’endrè e cliccare su pausa per sentire gli odori: praticamente una figata. Oggi ho attraversato in auto diversi quartieri della città e ho avuto l’impressione che un tam-tam sotterraneo avesse raccomandato ai cittadini: “Palemmitaaniii! È tempu di ittari ddivani lavatrici e porti vecchie!”. Nel pomeriggio ho incontrato non meno di cinque persone che faticavano per scaricare il vecchiume dalle loro auto. Dove? Nei cassonetti. Roba da fermarsi e spiegar loro che non era necessaria tanta fatica, è sufficiente telefonare all’AMIA per prenotare il ritiro “posto casa”. Cosa dovrebbe fare chi non lo sa, chi non ci pensa e chi se ne frega? Dovere è costrittivo e privo di senso in sé e per sé, volere è proattivo e compiuto nella coscienza. Tu cittadino vuoi che il tuo quartiere e la tua strada siano pulite?

    Se il senso del dovere fosse univoco non avremmo lacosanostra. Tante persone sono convinte di fare il proprio dovere nel migliore dei modi perché eccosanostra. Il panormita (palermitano è meglio evitarlo di questi tempi in questo blog) eccede nel “proprio” più che difettare nel “dovere”. Il panormita il suo dovere lo fa, il dovere di fare un piacere a se stesso, il piacere di star comodo. Come il tizio che parcheggia domenica mattina di traverso davanti a un bar in una strada molto transitata ostreundo metà della carreggiata e f* delle proteste altrui. A Milano il divano vecchio lo si doveva portare di persona al centro raccolta o pagare un trasportatore, altro che ritiro gratuito “posto casa”! Un manager milanese mi diceva: “Non capisco i mafiosi, alcuni di loro potrebbero essere dei grandi manager o imprenditori, invece orientano la loro intelligenza verso l’illegalità e il delitto, un gran danno per noi e anche per loro alla fine della fiera”. Era difficile spiegarglielo, non so se ci sono riuscito perché da cultore della storia patria lui tirò fuori i 300 anni di dominazione spagnola, la tassa sul carbone e la distruzione del manto forestale isolano, ma ciò spiega solo in parte la carenza di senso comune nelle nostre contrade. C’è cosa nostra e c’è cosa loro cioè nessuno, c’è il senso del clan e c’è il senso della libertà.

    Se dai salotti buoni ai catoi c’è un sorprendente filo di continuità quantomeno nella struttura di certi ragionamenti c’è una società che attraverso quel tipo di pensiero informa la politica e l’economia. Ciascuno di noi è un universo, cominciamo pure da noi ma quali strumenti possiamo usare? L’etica “è una vittima inconsciente della storia” di questi tempi somiglia a una gomma da masticare, perciò io preferisco il buon senso, matrice della consapevolezza. Il buon senso si trasmette per esempio, per contiguità, non è una nozione he s’impara sui libri di scuola. Di persone capaci di dare buoni esempi io “purtroppamente” ne trovo sempre meno, tuttavia dopo un decennio di web e ng posso dire tranquillamente che i media online interattivi, chat blog etc possono offrire delle notevoli opportunità di sviluppo del pensiero.

    Palermo, Sicilia
  • 3 commenti a “Illuminante!”

    1. Non vorrei mi venisse attribuita una posizione campanilista e provinciale da gratuito patrocinio dei nostri vizi peggiori. Dico solo che il “palermitano” come categoria non esiste. Che ci sono dieci, cento, mille palermitani, quelli tinti e quelli buoni e aggiungo che difficilmente potrà dare il buon esempio che ne ha avuti solo di cattivi proprio per la ragione sostenuta dal sio’ D’acquisto che anche quello si trasmette per contiguità. E credo anche che il discorso sul “Campanile etico” non ci porta da nessuna parte. Mantova è una delle città più fortunate del Paese, tutti a “laurà”, miglior tenore di vita d’Italia, gente di poche parole. Ma di molti pregiudizi. Se sei “terun” hai qualcosa in più da dimostrare, se sei “terunas” (peggiorativo), neanche quello puoi fare perché parti già sconfitto. Ora mi chiedo: meglio un divano nel cassonetto o un muro anti extracomunitari? Certo sarebbe meglio non avere nè l’uno nè l’altro. Ma dovendo scegliere, prendo il divano. Come fanno a New York, tempio del “must” del Terzo Millennio. Dove una cosa del genere è l’apertura del “New Yorker” e una mostra a Metropolitan. A Palermo è sicuro indizio di inciviltà. Segue coppola e lupara. Ah, a proposito. Io le file le rispetto e mi aggaddo con chi non lo fa. E prima di buttare una lavatrice….

    2. Sciur Billittè, manco mi passa per la capa di attribuirti campanilismo etc. Si capisce, neh. Per un dadaista quei divani e quelle lavatrici sarebbero una vera tentazione, si potrebbero organizzare delle mostre estemporanee con e nei cassonetti della spazzatura, naturalmente con adeguata presenza di stampa e TV nazionali e regionali. Mantova è oltre l’Adda, cioè un altro mondo per i milanesi, io non mi sono scontrato con pregiudizi, ci sono dieci cento mille milanesi. però, a pensarci bene, mi dicevano: “Non sembri un meridionale”. Io rispondevo: “Infatti sono siciliano, non meridionale” Chissà che cosa volevano significare 🙂

    3. Quando mi sento dire “sai, non sembri meridionale…” mi incavolo parecchio.

      Comunque, ho letto un’anticipazione del nuovo libro di De Cataldo (il magistrato autore di “Romanzo criminale”) dal titolo “Terroni”.
      Due signore dialogano su un autobus e De Cataldo le descrive così:

      “Tipiche borghesi meridionali: belle signore sulla quarantina, smentita vivente di tutti i luoghi comuni sulle terrone grasse e baffute – ma da quando le proteine nobili hanno sostituito la cultura della fava e della cicoria, i sudisti curti e niri sono stati confinati nei mafiamovies di serie Z e nei deliri etnico-pedatori degli epigoni di Gianni Brera – madri amorose ed eccellenti, quanto può esserlo chi si è prefisso il compito di trasmettere ai piccoli i propri valori, i Soldi, il Successo, la Rispettabilità”.

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