Una mattina alla Zisa
Quartiere Zisa. Ore 7 del mattino. Mercoledì 20 settembre.
Come da 11 anni a questa parte scendo con la mia cagnetta per una passeggiata dalle finalità, come dire… decisamente intestinali.
Ho una scarpa slacciata. Per rimediare mi appoggio ad una macchina, abbandonata da mesi eppure ancora qua.
Riprendo a camminare, scanso con destrezza un sacchetto della spazzatura, depositato, per errore sicuramente, sotto al marciapiede.
Non riesco ad abituarmi, non riesco a rassegnarmi. Perché? Perché deve stare là, quel sacchetto?
Cerco di valutarne la distanza con il cassonetto, cercando di tradurla in passi.
10, direi, per andare, 10 per tornare fanno 20 passi.
20 passi, ….si fanno in 30 secondi? 30 secondi non valgono tenere pulita la tua strada?
Mi abbandono, insomma a tutti quei pensieri più o meno oziosi che frullano nella testa in circostante simili.
Un clacson mi riporta alla realtà. Un’auto, intrappolata da un’altra in seconda fila, urla forte il suo dolore, sotto lo sguardo livido del proprietario. Da un bar esce un tale, con l’immancabile ditino indice alzato. C’è un fumetto sopra la sua testa. “Un minuto! Stò arrivando!!”.
Rabbia e amarezza si fondono e collassano insieme dentro di me, creando una specie di tristezza.
Anche oggi Palermo, la mia amata, mi sta facendo arrabbiare.
Susy, la canuzza, mi strattona. Compone dei mezzi giri su se stessa, che ormai conosco bene e quindi si mette in sospensione sulla zampette posteriori, fa la faccia assorta e…sporca il marciapiede.
Prendo la paletta e raccatto il prodotto, lo getto via.
Dal nulla, forse un angelo, anzi secondo me era Santa Rosalia, compare una ragazza, anche lei provvista di cane, che mi porge un sacchetto pulito.
“Tenga”, mi fa. “Ha visto che qua vicino hanno installato un distributore automatico di sacchetto per la cacca dei cani? Prenda questo, io ne ho abbastanza a casa”.
Meccanicamente lo prendo mentre lo stupore monta per trasformarsi in contentezza.
So bene che questo non può da solo compensare a quanto assisto quotidianamente, però ne sono felice.
Torno sollevato verso casa. Vedo un tale che butta del vetro nei contenitori verdi. Gli sorrido. Lui ricambia prontamente e fa, in pieno slang palermitano: “E che dobbiamo fare?”
Palermo è anche questo. Torno a casa con uno spicciolo di speranza in tasca. Mi sento meno solo.
Maurizio,
non perdere la speranza,perché ce chi usa l´intelleto piú di chi usa l´egoismo,peró dobbiamo prima imparare a non prendere gli abbuoni di benzina e di pasta dalle mani di “politici”….e sentire veramente cosa vuole il nostro cuore,Ciao