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lunedì 18 nov
  • Quelli dello Scipione

    Il sabato pomeriggio andavamo allo Scipione. Tecnicamente trattasi di un campetto di cemento vicino casa mia, senza porte, senza linee regolamentari e a imbuto, con un’estremità più larga dell’altra. I poveracci che attaccavano verso nord non potevano crossare dal fondo, per mancanza di spazio. Il nome era stato preso da un rivenditore della zona. Si chiamava Scipione-Lequaglie. Ecco perché quell’Olimpico di fortuna fu sempre Lo Scipione per tutti. Il nome dava dignità alle imprese sportive. C’era San Siro di Milano, il Comunale di Torino e Lo Scipione di San Lorenzo. Per entrare si applicava la nota regola d’accesso alle cose più belle, cioè la proporzione diretta che intercorre tra la quantità di un desiderio e la difficoltà di realizzarlo. Bisognava seguire una specie di percorso di guerra con scavalcamento finale di cancello. L’imprevisto: ogni tanto usciva da chissà dove un portinaio-custode assai incazzoso che cominciava a tirare pietre prima ancora di parlare. Si atteneva con scrupolo al manuale di comportamento dei Marines in Iraq: intanto spara, poi si vede. Probabilità: allo Scipione la mia generazione ha giocato le sue partite più belle. Io ci sono arrivato per caso. Ero timido, facevo la radiocronaca diretta, dal balcone di casa, delle giocate degli altri. Pentola sulla bocca per copiare l’effetto stereofonico e piglio da commentatore brasiliano, con tanto di goooooooooooooooooooooool per celebrare le numerose marcature. Mi notarono dal basso, mi chiesero di scendere, accompagnando la richiesta con le dita a semicerchio, certo non Galateo alla mano. Scesi. Ero una schiappa. Mi schiaffarono in una porta fatta coi sassi per terra. Un ritaglio di cielo senza traversa. E mi sentivo molto responsabilizzato proprio perché difendevo il cielo. Da lì ebbe inizio una luminosa carriera di voli e sbucciature. Tuffarsi allo Scipione era un gesto eroico. Si atterrava su cemento e ghiaino, però la gloria della smanacciata in angolo era troppo importante per essere guastata da un’inezia di carattere traumatologico. Ben presto, divenni una celebrità nel mio quartiere. Ero la prima scelta al momento del tocco che precedeva il sorteggio delle squadre. Mio padre mi scrutava con preoccupazione. La sua dotta psicologia genitoriale non prevedeva che un figlio fuoriclasse a scuola fosse anche un campioncino in erba (o sul cemento). Un giorno racconterò perché non sono approdato in nazionale. Per ora mi limito al triste finale. Lo Scipione non c’è più. O meglio, c’è ancora ma l’hanno circondato di recinzioni aguzze che lo rendono impenetrabile. Un reticolato per proteggere una superficie di cemento e di storie, ormai preda unica dei piccioni che l’hanno eletta a gigantesca latrina. Siepi di concertina a sbarrare per sempre le porte della meraviglia. Non capita così anche ai sogni?

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  • 16 commenti a “Quelli dello Scipione”

    1. Si, capita così anche ai sogni, ma non sempre è così.
      Per fortuna c’è chi ha ancora voglia di scavalcare le recinzioni, tagliare le reti, persino di sguazzare nella m****a, sfidando ogni pericolo, umiliazione e difficoltà. E sai perchè? Perchè una vita senza sogni non è tale!

    2. Il mio rettangolo era il Malvagno,pressi palazzina cinese.
      Nessun reduce di quelle battaglie?I fichidindia attorno,altro che cemento!

    3. Non leggevo Rosalio da un sacco di tempo. Devo dire che mi sembra molto migliorato (anche il fatto che io non ci sia più lo ha sicuramente elevato…). Che posso dire? Puglisi è uno dei miei miti, allo Scipione ci ho giocato anch’io tante volte, ma non ero purtroppo la prima scelta al tocco. E quel passaggio in cui Roberto dice che si sentiva responsabilizzato perché difendeva il cielo è poesia pura… Insomma, fossi in Tony Siino lo assumerei a colpo… Ah, dimenticavo… non è che per scrivere dei bei post bisogna per forza Camillizzarsi e usare il dialetto…
      baci Lucio

    4. ..superfice di cemento e di storie..
      solo per questa immagine Puglisi merita una conferma stabile.
      Poi scrivere è un pò come respirare, più
      o meno spontaneo.
      Bravo Roberto.

    5. Quando ero cagnolo, di solito quelli più bravi di me me lo fottevano il pallone e per sfregio me lo arroccavano in posti scogniti.
      Anche io avevo un campetto spasciato dove giocavo per lo più da solo, contro un muro e simulavo le partite di pallone di Shingo Tamai. Quando arrivavano quelli più bravi di me io, quatto quatto, mi arrassavo.
      Bravo Puglisi, lei ci riuscì a diventare bravo. Io ero e sono una niegghia.
      Col pallone.

    6. “Chiffà, l’ama tagghiari stu palluni?”

    7. Troppo squisiti. Avanzate tutti un caffè.
      Roberto

    8. Grande Roberto!

      che ricordi hai svegliato in un grigio pomeriggio romano…

      quanti mq di epidermide di gomiti e ginocchia avrò lasciato sul cemento dello scipione…
      (seppur nn confrontabile con l’asfalto nuovo della corsia centrale di via de gasperi prima dell’apertura al traffico)

      io ricordo altri due “pericoli” del campetto

      In primis l’edificio vicino sul quale si arroccava il mitico super santos e c’era sempre lo spericolato di turno che si arrampicava tubi-tubi per il recupero
      ma il vero pericolo era quando il pallone finiva nella discesa sottostante il campetto dove il rivenditore di gommoni/motori non diceva neanche la famosa frase di Mangiapane
      u palluni u spirtusava vieru!!!

      qui il recupero era affidato al più veloce…
      scavalcare la recinzione,
      discesa folle a rischio la rottura di collo,
      puntazza arraggiata per mandare il pallone di sopra e fuga con applauso generale

      altrimenti il triste recupero di un plastica arancione sforacchiata da cacciavite evinrude…

      un saluto a tutti

      ps mi ricordo che si giocava prima e dopo la scuola sulla piazzola vicino l’ingrsso secondario della scuola media

      Giovanni

      ps2 per RP io caffè non ne bevo fare brioche da Angelo? 😀

    9. Ho letto con piacere questo post perchè è pieno di sentimento. Ti fa venire in mente alcune realtà dove l’unica possibilità di svago è il gioco in un campetto, o altre dove il calcio è gioco pulito praticato per fare sport e per stare insieme, nulla a che vedere con le inchieste giudiziarie.

    10. Caro Roberto nelle emozioni che stanno alla base di questi tuoi ricordi, narrati con la solita preziosa sensibilità, c’è l’essenza stessa del gioco del calcio e il segreto della sua fortuna. Il calcio non è spettacolo, è emozione popolare , divertimento fanciullesco e picaresco, è una parte della nostra vita. Quando ne hanno fatto qualcosa di diverso, sfigurandolo in una specie di barnum tecnologico ne hanno decretato la fine. Personalmente penso che ci sia molta più verità in queste tue parole che nelle telecronache di Caressa & co. che grida “NUMEROOOOOO!!!” non appena un Ibrahimovic qualunque fa un controllo che gente come Bruno Conti,Claudio Sala, o i nostri Vito Chimenti e Totò Lopez farebbe in pantofole e pigiama. Allora c’erano i sogni, oggi ci sono centinaia di telecamere ma il calcio non abita più qui

    11. Grazie Roberto per i ricordi che hai risvegliato in me.
      Anch’io ho giocato allo Scipione dove ho visto compiere i gesti atletici che poi avrebbero assunto i nomi più fantasiosi: colpo dello scorpione, trivela, rabona, sombrero… Nessuno dei miei compagni/avversari è poi diventato calciatore e ovviamente neanch’io, però che divertimento!
      Grazie anche a Giovanni, perfetta anche la tua ricostruzione.
      Per la brioche da Angelo ci sono anch’io!

    12. @Roberto:
      E quanto trovi l’ispirazione, rimandendo in zona De Gasperi, perchè non scrivi qualcosa per non dimenticare la Targa Olimpica?

    13. Si potrebbe definire un Puglisi DOC, d’annata (2006).
      In questi tempi non proprio esaltanti per contenuti intellettuali ed emozioni, dove anche nei blog, tra gossip, cose di poco conto, finti maestri del pensiero e finti creatori di nuovi mondi, manca, qui su Rosalio, Puglisi scrittore, ma anche Puglisi personaggio, colui che provoca forti reazioni emotive ed anche forti polemiche (per chi non lo “ama”); perché piaccia o si “detesti” Puglisi ha il suo stile, e non è facile (è pure raro) avere un proprio stile, in questo mondo dove il successo spesso è senza stile se non contrapposto come succede in molti casi.

    14. anni spensierati e ricordi indeledibili…
      che tristezza,se un giorno la favorita,facesse la stessa fine.
      ps scipione?,vuoi vedere che da ragazzini,qualche gol a pallonetto,da parte te lo sei “assuppato”? 🙂

    15. Da noi in paese era il “campo”.
      Era ed è, ubicato nella parte alta del paesello, il solo raggiungerlo equivaleva ad una mezza sessione di riscaldamento, niente erba, solo ghiaietta con le pietruzze taglienti come rasoi.
      Una sorta di consuetudine dava le priorità ai più grandi, i più piccoli erano destinati ai bordi, od al massimo in porta.
      Che tempi…..

    16. Io ricordo le parite nello spiazzo dell’essesette di via dei nebrodi, che adesso dovrebbe essere diventato auchan o qualche altra cosa. Le porte erano una delle saracinesche del magazzino da un lato e una delle vetrate del supermercato dall’altro, anche qui altezza della traversa imprecisata… Da 6-7 anni lo spazio non e` piu` utilizzabile dalle nuove leve calcistiche perche` ci hanno messo i carrelli.
      Io allo scipione credo di averi giocato in una delle “trasferte” che abbiamo fatto, uno di quei derby di quartiere che tanto importanti erano per l’onore di noi ragazzini, e credo che anche alcuni ragazzini dello scipione siano venuti all’essesette… che bei ricordi…

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