
L’Oreto è una fogna a cielo aperto, una volta era un fiume. Un corso d’acqua che scendeva da Altofonte fino alla valle cittadina dove, tra sterpi e rovi, e tra muschi e sassi, e su sponde mal messe, donne e ragazzini giocavano a lavare. Alcuni si riposavano sotto le fronde, mi dicono che qualcuno pescava. Gli altri due fiumi urbani, Kemonia e Papireto, sono stati, nel tempo, interrati, coperti, scomparsi, e su di loro è stata costruita altra città. Quegli alvei sono adesso fiumi di gente, o solo balzi torrentizi di carusi sui motori. Non c’è via di mezzo per l’Oreto: o lo si salva, o lo si sotterra. Per salvarlo bisogna muovere il senso civico, le responsabilità, i doveri condivisi e poi un’etica del proprio tempo, le politiche, le idee, le persone. Cose difficili, con cui non abbiamo più nulla a che vedere. Per farlo sparire bisogna soltanto continuare a coprirlo di immondizie, fino al collo. Coprirle e compattarle. Terra, sabbie, ghiaia, e alla fine un bel cappotto di asfalto, una strada a scorrimento veloce, parcheggi e alberi rinsecchiti, una nuova strada su cui si affacceranno i culi delle case a vomitare la loro storia e la loro impossibilità di girarsi dall’altra parte. A voi la scelta!
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