Tappeto verde
Prima o poi ci finiamo tutti, in una serata a “giocare”. Certe volte io tento di declinare l’invito con atti disperati: guarda che non so giocare, “ma te lo spieghiamo noi”, guarda che proprio mi si restringe il cervello davanti alla carte, sono un caso umano “e non devi fare niente, prima di mettere una carta in tavola ce la fai guardare a noi per decidere”. Ho passato intere serate accanto ad amici volenterosi che hanno deciso strategie per me, mentre io fingevo di non capire. A volte ho pensato di buttare lì, come scusa ultima: “ho i diti rotti, non posso reggere due carte da gioco in mano, scusate”. Ma pure in queste occasioni gli amici sono stati comprensivi: “e che problema c’è?, vieni, guardi, ci facciamo due chiacchiere”. I ricevimenti, appositamente regolati su questo proposito: carte, tombola, l’uruguacho Burraco, si aprono d’ufficio a Palermo in occasione della festività dell’Immacolata. Lo scenario è sempre lo stesso; stanze fumose e mazzi di carte da distribuire, orgoglioso sdoganamento di sabot e tappeti verdi con evidenti segni di bruciature da sigarette e scaccio, ovvero noci e semenza a volontà, da ingollare a quattro ganasce insieme all’avvertimento “portate qualcosa da bere”. È un rito sociale e generazionale che non risparmia nessuno, la tombola ad esempio – da non confondersi con l’imperversare dei templi del Bingo – coinvolge anche gli innocenti bimbi. Mi ricordo bene i giorni in cui le cartelle erano cartoncini e i segna-numeri fagioli o lupini. In queste occasioni c’è sempre uno zio un po’ burlone, con senso d’umorismo opinabile, che si offre di pescare i numeri e allietare i presenti sul significato di ogni cifra, una caratteristica fondamentale è che queste didascalie non c’entrino nulla con la smorfia, alcuni esempi: 77 le gambe delle donne, 48 rivoluzione (senza mai specificare: quale rivoluzione), 90 scanto, 27 Sanpaganino, che sarebbe per giorno di paga, spesso sono spiegazioni prese a prestito da quel “lessico familiare” descritto da Natalia Ginzburg. Mi è doveroso sottolineare che fuori dalla fascia protetta, vale a dire quando i picciriddi vanno a letto, le espressioni legate ai numeri della tombola vantano una versione vagamente hard, di ingenuità sconcertante, una dimostrazione? Il numero 1 è pippinello che fa la pipì e 11, viva la logica, sono due pippinelli che fanno la stessa cosa. I giochi più comuni rimangono il Mercante in fiera, Sette e mezzo, Baccarat e Chemin de fer. Nei circoli palermitani, durante il periodo borbonico, andava molto di moda un gioco da tavolo chiamato Biribissi o Biribisso. In letteratura si dilettano in una partita di questo sollazzo anche dei nobili, ne Il Consiglio di Egitto di Leonardo Sciascia. Mi è capitato fra le mani il libro edito da Sellerio Vediamoci al circolo, di Maria Barbera Azzarello dove ho letto che le disposizioni contro il gioco d’azzardo, soprattutto nel periodo borbonico erano severissime, veniva punito anche chi assisteva ai giochi: “cinque anni di relegazione se nobile, quattro tratti di corda e cinque anni di galera per l’ignobile e, se donna, di qualsivoglia grado e condizione, cinque anni di esilio dal luogo nel quale è stato commesso il delitto e dal suo domicilio e da questa capitale”. Forse dovrei ricordarlo ai miei amici, quando insistono per invitarmi.
cIAO DANIELINA, BUONGIORNO, ANCHE SE NON LO è ABBASTANZA E QUI PIOVE A DIROTTO. QUESTA NOTTE TI HO SOGNATA.
UN ABBRACCIO FORTE, TI VOGLIO BENE.
Ok, grazie…finalmente ho trovato la scusa giusta per sottrarmi a queste torture giocherecce da tappeto verde del periodo natalizio.Non potrei mai sostenere ben cinque anni di esilio da Palermo!
E’ tutto vero!
Ma forse diventa insostenibile solo perchè la possibilità di passare queste “noiose” serate la si ha!
Se sei lontano e di tappeti verdi non te ne propongono è la solitudine a diventare insostenibile.
Buon tappeto verde a tutti!
Sarà forse per una sorta di riscatto da quel periodo di repressione nei confronti dei giochi che, oggi, ci si accanisce tanto a voler celebrare i preiodi di festa anche giocando a carte, un po’ come quando per le feste si mangia fino a scoppiare a mo’ di riscatto dai tempi degli stenti e delle carestie.
Coomunque, Daniela, hai tutta la mia solidarieta’: io, da quando sono diventato papà, ho la scusa della bimba che non puo’ fare tardi. Ma purtroppo so di non poter sostenere questa scusa per non piu’ di un paio di anni ancora.
Poi ci toccherà di farne un’altra? 🙂
beh vorrei ricordare per dovere di cronaca chi dopo l’estrazione del primo numero della tombola sarcasticamente grida AMBOOOOO
o meglio ancora AMOOOO
c’è sempre che dio se lo porti!