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lunedì 23 dic
  • Di Matteo lascia il processo a Cuffaro

    Nino Di Matteo, uno dei tre pubblici ministeri che sostengono l’accusa contro il presidente della Regione Salvatore Cuffaro ha deciso di abbandonare il processo che si sta svolgendo a Palermo. Di Matteo chiedeva da mesi di cambiare il capo di imputazione da favoreggiamento a concorso in associazione mafiosa per i nuovi elementi emersi dal dibattimento e per uniformità di valutazione con altri imputati in altri processi.

    Palermo
  • 5 commenti a “Di Matteo lascia il processo a Cuffaro”

    1. Sono profondamente dispiaciuto soprattutto perchè è il pubblico ministero,l’UNICO, che ha sostenuto l’accusa nei TRE processi ( Miceli,Borzacchelli,Cuffaro) e quindi quello che più degli altri ha il QUADRO D’INSIEME più completo.

    2. MI spiace, ma il giudizio politico sul partito politico cui appartiene Cuffaro, credo sia ormai diffuso in certa parte della popolazione. Potrebbe bastare questo.

    3. e perchè i palermitani non si mobilitano? e perchè tutti quelli che dicono di avere la coscenza antimafia non si ribellano?
      e perchè succedono sempre queste cose che puzzano di bruciato quando ci sono imputati eccellenti?
      mi vergogno e lo sconforto orami ha raggiunto livelli enormi.

    4. ed oggi parlò Pilato…le due tesi sono entrambi “plausibili ed argomentabili”
      Bene! peccato che SOLO UNA sarà quella che sarà argomentata e peccato che chi voleva portare avanti l’altra ..se ne andato ma…ma quello che più preoccupa è …..l’indifferenza di chi ha delegato ad altri l’agire.

    5. le cose si mettono male o no??
      E ADESSO?????
      ma qualcuno ne parlerà dai nostri quotidiani locali? è una notizia di oggi,vediamo domani?

      LEGGETE CON MOLTA ATTENZIONE!

      IL DILEMMA
      Concorso esterno
      o favoreggiamento?

      di Marzio Tristano

      Nuovi incontri tra il governatore della Sicilia Totò Cuffaro con uno dei presunti capimafia della borgata di Passo di Rigano, Francesco Bonura, saltano fuori dalle intercettazioni telefoniche e ambientali disposte nell’ambito dell’operazione Gotha e costituiscono gli ulteriori spunti di indagine nei confronti del governatore, imputato di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra. I nuovi elementi non saranno depositati nel processo per favoreggiamento e andranno ad alimentare un fascicolo separato, che ipotizza nei confronti di Cuffaro l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: lo ha deciso la procura di Palermo al termine di due accese riunioni, coordinate dal procuratore Francesco Messineo, del 1 e dell’11 dicembre scorso, alle quali è seguita poi una «coda», in gennaio.

      Per Cuffaro, dunque, si profilano nuove ipotesi di reato da verificare in un’inchiesta che si annuncia lunga, almeno i due anni previsti dal codice di procedura penale: sarebbe stato lo stesso Bonura, indicato dai pentiti come uno dei boss palermitani di maggiore rilievo e arrestato due mesi fa a rivelare, parlando con un altro boss, di avere incontrato il governatore. La nuova ipotesi di reato impone l’avvio di una misura di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti del presidente della Regione. I nuovi elementi di accusa, ancora secretati, insieme ad un verbale del pentito Francesco Campanella su presunti favori elettorali e la sentenza del processo Miceli (l’assessore Udc condannato a 8 anni di carcere per circostanze nelle quali è coinvolto Cuffaro) hanno diviso i magistrati della direzione distrettuale antimafia tra chi pensava che avrebbero dovuto essere «versati» immediatamente nel processo in corso, per irrobustirne l’accusa, e chi, invece, manteneva un atteggiamento prudente, valutando le nuove accuse non rilevanti al punto da modificare il quadro probatorio. La vicenda è nota e ha condotto alle dimissioni, poi respinte, del pm Nino Di Matteo: meno noto è il percorso tormentato attraversato dalla procura palermitana in una fase di ristrutturazione organizzativa imposta dal nuovo procuratore Francesco Messineo e la sua conclusione con la decisione di iscrivere Cuffaro nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa adottata nel corso di una riunione della dda. Una decisione non ancora formalizzata: per reindagare Cuffaro, infatti, occorre chiedere l’autorizzazione al gip, vista la precedente archiviazione, e i pm stanno ancora assemblando gli atti da presentare al giudice.

      L’accusa a Cuffaro ha diviso la procura sin dal suo inizio, durante la gestione Grasso. Quando si decise di scegliere la strada del favoreggiamento aggravato uno dei pm, Gaetano Paci, gettò la spugna: sosteneva, infatti, che la semplice contestazione di avere rivelato notizie riservate ad un capomandamento mafioso era sufficiente per configurare il concorso esterno per il governatore. La questione si è riproposta adesso e a decidere, per legge, è il pm d’udienza, che, nella specie, dopo le dimissioni di Paci, è formato da quattro magistrati: il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, i pm Michele Prestipino, Maurizio De Lucia e Nino Di Matteo. I primi tre d’accordo nel valutare le nuove accuse «poco rilevanti», Di Matteo deciso invece ad offrire al giudice del dibattimento i nuovi elementi. Portata all’attenzione del procuratore la questione (il 1 dicembre) è stata affrontata, dopo un’accesa riunione in dda, con una lettera del capo dell’ufficio che ha accreditato entrambe le tesi. Affrontata, dunque, ma non risolta. Nel frattempo (il 6 dicembre) è arrivata la condanna di Mimmo Miceli, rampollo della buona borghesia agrigentina assurto al rango di assessore comunale dell’Udc e candidato non eletto all’assemblea regionale su input del boss Giuseppe Guttadauro, capo mandamento di Brancaccio, secondo l’accusa poi confermata dalla sentenza. Nuova riunione in dda e nuovo dibattito, per dirimere la questione, affidata dal procuratore con un insolito ma probabilmente utile esercizio di democrazia alla sua squadra antimafia rafforzata dagli aggiunti.

      Anche in questa occasione il dibattito ha spaccato a metà i magistrati: chi stava con Pignatone, De Lucia e Prestipino ha sostenuto la irrilevanza degli elementi a fronte del rischio di cambiare il capo di imputazione in corsa, che avrebbe potuto anche portare il processo Cuffaro sulle «sabbie mobili» di un possibile rinvio degli atti al pm per la formulazione della nuova accusa, con un rallentamento del dibattimento. Non solo: il versare nel processo atti poco rilevanti per un’accusa più grave, è stato sostenuto, avrebbe potuto persino indebolirla, contribuendo paradossalmente ad una potenziale assoluzione dell’imputato. Nino Di Matteo (e i magistrati che ne hanno condiviso le ragioni), invece, illustrando le due lettere all’origine del «caso» ha difeso la solidità delle nuove accuse, sottolineando che il favoreggiamento sia pure aggravato era divenuta ormai un’accusa riduttiva rispetto alla mole ed al significato degli elementi acquisiti. Il pm «dissidente» (ma condiviso da un’area consistente di colleghi) ha sottolineato inoltre che costituiva un controsenso il sostenere il coinvolgimento di Cuffaro nella candidatura «mafiosà» di Miceli, confermata da una sentenza nel processo all’ex assessore e ritenere tale coinvolgimento non provato nel dibattimento al governatore. Tra i due schieramenti la mediazione è stata trovata alla fine grazie al «lodo» Russo-Piscitello, com’è stato definito in procura dai cognomi dei pm, Massimo Russo (adesso consulente del ministro Mastella) e Roberto Piscitello, che l’hanno proposta: si apre un fascicolo separato con tutte le nuove accuse, ancora segretate, utili ad avviare una nuova indagine su Cuffaro e si lascia che il processo in aula segua il suo corso sui binari del favoreggiamento aggravato. Il nuovo fascicolo non è ancora stato aperto, e la mediazione, se ha risolto il problema contingente del processo Cuffaro, ha lasciato inalterata la divisione tra i magistrati in procura: le tensioni, ancora forti, sono legate alle cosiddette «imputazioni selettive» nei reati di mafia adottate, è stato affermato, con gradualità decrescente (associazione mafiosa, concorso esterno, favoreggiamento) nei confronti di imputati sempre più «eccellenti», per fatti, che, si sostiene, che sono in sostanza uguali. E nel caso del processo Cuffaro la separazione degli elementi di accusa rischia di indebolire entrambi i procedimenti, quello in aula, e quello in via di formazione.

      da l’Unità

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