“La Sicilia” vista dalla Macedonia
Prima quando uno partiva, partiva. Andare da Palermo a Siracusa senza la Palermo-Catania, mi racconta mio padre, era una cosa complicatissima tanto che, già dall’inizio della relazione con colei che sarebbe diventata mia madre, era chiaro che le distanze, anche nel loro caso, si sarebbero rivelate un ostacolo difficile da arginare. Andare all’estero, magari oltrecortina, poi aveva il sapore delle vere partenze, aveva a che fare con il varcare la linea d’ombra: niente cellulari, niente computer, persino telefonare poteva rivelarsi operazione non facile da portare a termine. Insomma, anche se Mac Luhan già negli anni ’50 parlava di “villaggio globale”, questo villaggio era difficile da riconoscere nella pratica quotidiana dalla gente comune.
Ecco, adesso, “viaggiare” nel senso pieno della parola è diventato facilissimo eppure difficile, ogni qual volta apriamo internet un po’ viaggiamo, pure per organizzare le nostre vacanze possiamo scegliere fra le più note località turistiche del mondo facilmente e spendendo per giunta una miseria. Tanto più è diventato facile viaggiare, però, quanto è diventato difficile (impossibile!) rompere il cordone con il proprio punto di partenza: messaggini, email, notizie ritornano sui cellulari o sul primo pc che ci capita lungo il percorso a limare la discontinuità, a negare l’essenza stessa del viaggio, quella del distacco.
Tutto questo per dirvi che mentre ero in Macedonia, anche io provavo a tenermi informato sulle cose siciliane, consultando “la Sicilia” dal computer di Biljana (dato che Gds è chiuso da tempo) a caccia delle ultime notizie.
L’ultimora con cui il giornale apriva la mattina di domenica 3 Dicembre scorso, verificate anche voi cliccando sulla foto, tempestivamente ci informava di un fatto avvenuto appena ottomila anni fa.
Il senso del viaggio per noi siciliani rimane salvo e comunque meglio tardi che mai.
Caro Francesco (giovedì sei a Palermo o in mezzo alla Macedonia?) la questione dei viaggi mi tocca da vicino 1) per via dei miei fidanzamenti sempre distanti da casa (molti anni fa con una ragazza ungherese, ma non poteva durare) e 2) per via del fatto che la mia “cultura” personale deve molto al tempo “perso” su treni, autobus, aerei, navi e quant’altro, e poi alle stazioni, aereoporti, panchine, fermate d’autobus, cigli di strada a cercare passaggi, per due ordini di motivi: ho sempre con me un libro da leggere, non faccio altro che appuntare sui miei taccuini i luoghi che attraverso. Ma non è la distanza che mi sconcerta, quanto il tempo che ci vuole a percorrerla. Elio Vittorini ne ha parlato mirabilmente ne “Le donne di Messina”, e io consiglierei a chiunque la lettura dei libri di Saverio Strati. Insomma, tutto passa e da lì, qualche volta, passo pure io!
Ottomila anni fa sarebbe stato un problema passare da lì
Per fortuna che non cèramo
Domenico, tornai, sono qua fino a domenica poi torno per capodanno 🙂 (Mi rendo conto di stare facendo un uso improprio del mezzo eheh)!
Totò se ci fossimo stati avremmo di sicuro aperto l’ombrello 😉