Gennaio
È notte
lunedì è iniziato da pochissime ore
il riflesso di luce delle luminarie accese
rimanda alla mia finestra su questa piazza
il ricordo di una festa che è già passata.
Lo osservo come se avessi davanti il viso
sfiorito con dolcezza
di mia madre.
Era qualche gennaio fa
una notte che si stemperava piano
al suono in cucina di acqua che lava i piatti.
Mia madre in piedi davanti al lavabo
la fede nell’anulare
i capelli raccolti all’indietro
il grembiule stretto in vita
le mani che lavano sciacquano asciugano e appoggiano.
Ma non c’è nella stanza la canzone lontana che mia mamma canta ogni volta che lava i piatti
c’è solo il suono dell’acqua che cade
rimbalza
si perde per sempre.
L’assenza di quella canzone mi immalinconisce, accussì: mamà, il tonno era buonissimo ma ora mi nn’a gghìri a casa, hàv’a travagghiàre
“No gioiamia aspè… runàmi ancora compagnia”
Rimango
come chiesa in un paese di montagna
ferma, immobile, muta
la certezza di una presenza.
Mia madre però non sta cantando.
Solo il suono dell’acqua
il rumore del vetro strofinato da un panno
il silenzio prima della preghiera
Accussì
come d’un tratto ti giri e comprendi che attorno a te è già finita la fanciullezza
accussì mia madre entrò in chiesa
sospirò piano e
nel bianco silenzio di una arcata sospesa
mia madre aprì con grazia materna lo scrigno segreto del suo cuore
e mi dice:
“gioiamia, la settimana scorsa si è sposata Rosetta, la figlia di Eleonora. Ricordi? Quella ragazza che avevi problemi e veniva qui a casa nostra per parlarne con me. Ricordi? Che veniva anche di notte, accompagnata da sua madre. Ricordi? Era due anni fa e a volte eri tu ad aprire la porta mentre io mi vestivo in fretta. Ricordi? La settimana scorsa si è sposata e”
e poi non dici altro
non hai bisogno di dire altro
non a me
io so già la fine del tuo segreto,
ciò che hai tenuto chiuso per una lunga intera settimana nello scrigno del tuo cuore
Lo so mamà, ho già capito.
Tra me e te non sono mai servite le parole.
Ricordi?, quando ero fuori e chiamavo casa e tu sollevavi il telefono e dicevi “come stai gioiamia” perché già sapevi che ero io ed io soltanto a chiamare casa, senza vedere il numero, senza controllare l’orario, lo sapevi che ero io, e basta. Lo sapevi e basta.
Così come adesso io so.
Allora mi assumo la responsabilità della mia parte e la recito tutta quanta, fino in fondo.
In questo teatro della vita, adesso è il momento dello scambio di battute.
Fino allo stremo.
perché non ti hanno invitata?
“non lo so”
può essere che se lo sono scordati?… sai nella confusione dei preparativi…
“non lo so”
magari l’invito c’era e non è partito…
“non lo so”
forse non ti hanno proprio invitata…
“lo so”
Poi non parli più, mamà
ma ti appoggi con tutte le tue mani al lavabo
l’acqua è chiusa
non sta cadendo giù
non si sta perdendo per sempre
mentre tu stringi forte le tue mani per non cadere giù
come acqua che si perde
ma non ce la fai
non ce la fai
e quindi inizi a piangere
in silenzio
per non allarmare nessun altro in casa
soltanto io
appoggiato a questo muro di cucina
fermo davanti a te
ti vedo in piedi
ma so che sei appena caduta
rimango fermo contro il muro
la porta della chiesa è aperta
non sta a me decidere la sorte dell’acqua
poi trattieni le lacrime che acqua sono e
come acqua
si perdono sempre un più giù rispetto a dove fioriscono
e non guardi più nulla
ma è a me che parli
e con un filino di voce
mi dici: che cosa credevano?, che non ci facevo il regalo?, che non ero in grado di comprare un regalo bello e prezioso?, che non avevo i soldi per comprare un regalo dignitoso per il matrimonio?
questo mi dici tra le lacrime, mamà
tu
tu che non parli mai di soldi
mai
tu che io da te ho avuto in eredità questo bellissimo regalo: che a me, come a te, dei soldi non me ne fotte niente
questo tu mi dici
ma tanto tu e io lo sappiamo, mamà, perché tra te e me, tra noi due non servono preghiere per mettere le mani dentro uno scrigno ed osservare le forme del dolore sui palmi delle mani aperte
basta aprirlo alla pietà dell’altro
le parole sono soltanto un riflesso di luce lontana su un vetro appannato
accussì io
figlio
io vedo mia madre straziata e mortificata
e osservo quanto amore mia madre aveva per una che non l’invitò al suo sposalizio
e comprendo quanto poco il mondo t’ha conosciuto, mamma
e mi dispiace un pochettino sapere che il mondo ha perduto tutta questa bellezza, la tua fiera bellezza
per incuria
prigrizia
o –peggio ancora– ignoranza
allora
il mio corpo mi ricorda che grazie a dio io non sono una chiesa
non sono pilastro di marmo
ma sono un altare da preghiera di carne
sangue pelle muscoli ossa e nervi
accussì stacco le mie spalle dal muro e sono felice di non avere ali
sono felice di non essere un angelo
sono felice di avere un corpo, mamà
e con tutto il mio corpo
ti abbraccio
come l’edera si aggrappa alle rovine
e ti stringo forte
qualche gennaio fa
tra le mie braccia di figlio
e in questo dolore
familiare di gennaio
io figlio
divento
il padre di mia madre
Ti asciugo le lacrime, e il tuo corpo è abbandonato al mio
la tua fronte appoggiata a me
riscaldata dal mio collo dalla mia spalla
con una mano ti accarezzo la testa
con una mano ti stringo al mio petto
la tua voce è sempre un filino, esile e delicato
sussurra scusa gioiamia è passata è passata
le mie labbra piano fanno shhhh
continua pure a stare aggrappata
ancora un pochino
facciamolo andare tutto via
tutto via ‘sto doloraccio cattivo
ricordi?
ero bambino e la mia ferita al ginocchio era per me una tragedia immane, no, di più: era la fine della mia vita
e piangevo e urlavo e mi convincevo di aver perso per sempre l’uso dell’intero arto
ma poi era soltanto il tuo bacio
la cura gentile delle tue labbra
e mandavi via dal mondo
come tu sola sapevi
adesso e per sempre
tutto il dolore dal mio ginocchio ferito
ora vai a giocare di nuovo gioiamia vai corri vai corri gooool non ti stricàre troppo in terra però
mentre io
felice
calciavo la palla
nella luce di gennaio
Poi ti osservo
adesso che sono più alto di te
e ti tengo il viso tra le mie due mani ferme
ciao mamà, ora mi nn’a gghìri vero
e ripenso al tuo viso adesso segnato dagli anni
il bianco nei capelli
le rughe all’angolo degli occhi
un suono di stanchezza che non riesci più a nascondere
ma è la bellezza dell’essere fiore, mamà
il sapere che la gloria dei tuoi petali sta proprio nello sfiorire
lento e inesorabile
mentre attorno è vento e sputi e puru tempeste
ma tu, fiore, ddùoco stai e doni
senza nulla chiedere in cambio
doni agli sguardi bastonati di pellegrini feriti
la bellezza della tua grazia
di stella lontana
Adesso le luminarie continuano a tramare colori slabbrati sulla superficie di vetro di questa finestra della mia cucina, sono passati molti giorni da quando, per il corso delle cose, hai iniziato, tu che mi sei sempre stata bastone, hai iniziato senza volerlo ad appoggiarti a me, però una voglia proprio ora mi esplode dappertutto, un desiderio che urge realizzazione immediata, accussì spengo la luce della cucina e vedo come i riflessi delle luminarie danzano attraverso il vetro nella chiarità del muro, è un veder tenue ma abbàsta a chìddu che devo fare e cioè aprire il rubinetto, fare cadere l’acqua e lavare i piatti.
Lo faccio senza detersivo, erano già puliti i piatti, ma io avevo voglia della tua canzone.
Riesco a cantarla soltanto quando si lavano i piatti.
Accussì
l’acqua che scende
la luce che abbàlla
io che lavo piatti all’inpiedi
e la tua canzone che sboccia
a pìcca a pìcca
sulle mie labbra
ma piano, che fuori è notte, Palermo sta dormendo e io non voglio svegliarla.
questa é vero bella, Davide… quasi commovente
vaffanxxlo compà, m’hai fatto piangere
commovente e bellissima, davvero.
L’amore per la madre è forte, impenetrabile. Si rafforza con gli anni. Quello che dapprima è un istinto prende poi consapevolezza. Desiderio di proteggere chi ti ha protetto a lungo. Adesso è lei che ha bisogno di te e tu devi esserci come lei c’è stata, devi sostenerla come lei lo ha fatto.
Molto spesso i sentimenti vissuti da lei erano e sono più semplici e profondi di quello che questa nostra realtà “iper-leggera” oggi ci impone. Come te, Davide, resto colpita affascinata e commossa da questi pensieri. …”Quanto amore mia madre aveva per una che non l’invitò al suo sposalizio”.
Grazie.
Mi sembrava che questo lunedì non potesse finire così malamente come era iniziato…mi sembrava che dovesse avere un senso prima di diventare un altro giorno. E infatti eccolo, il senso di questa giornata ed è, come sempre, bellissimo.
Sono parole d’amore…
E non ne servono altre.
Un potere, quello di tua madre, della mia, di alzare il telefono e non dire pronto ma pronunciare il tuo nome o il tuo nomignolo … perchè lei riconosce lo squillo.
Un luogo, la cucina, di confidenza profonda tra te e lei, tra me e la mia di mamma, dove io le ho detto “mi sono innamorata” o “è finita”, dove l’ho fatta ridere o piangere, dove l’ho rassicurata o messa in apprensione … noi due … sole, e tutto il resto al di fuori di quella porta.
” le parole sono soltanto un riflesso di luce lontana su un vetro appannato”
eppure nel tuo cortometraggio (cosi l’ho vissuto) di tanto in tanto spuntano frasi come perle: “ma é la bellezza dell’essere fiore,mamà”
Riesci a trasmettere commozione e gioia nello stesso tempo.
Funerale, mamme…me lo fai apposta davidù?
Vabbè ti voglio bene cià
Stringitela forte…
Meravigliosa, mi sono commossa…
Complimenti Davide. Non soltanto per il fatto che è scritto divinamente, ma anche per come riesci a dire quanto vuoi bene a tua mamma. Io non ci riesco, e lei fraintende… E poi chiunque conosce tua mamma, chiunque è stato almeno una volta a pranzo a casa tua, o ospite estivo a Terrasini foss’anche per una notte (come me, di Marco) sa che brava donna sia. Continua così, che in giro c’è gente davvero alla frutta!
I vapori della pentola sul fuoco riscaldano la cucina, hai lo sguardo fisso sul giornale e d’improvviso senza un motivo particolare: “vieni qui gioia mia fatti dare un bacio da mamma”… l’atto d’amore più sincero in un dono semplice e quotidiano.
GRAZIE DAVIDE!
ora vado da mia mamma e l’abbraccio.
Davidù, in pochissimi mi hanno fatto piangere con le parole scritte su un foglio:
-Antonio, il mio primo ragazzo, avevo 12 anni, una lettera d’amore bellissima che ancora conservo
-Il diario di Hetty hillesum, una ragazza uccisa ad Auschwitz
-Cent’anni di solitudine di Marquez
e adesso tu, da un blog, dallo schermo di un computer.
Ciao, davidù, ti devo un bacio, quando ti conoscerò
Tu scaldi il cuore meglio di un buon whisky scozzese…
Complimenti Zù Davide. Per la forma, per la sostanza, per il contenuto, per il detto e per il non detto di questa tua bellissima lirica. Hai commosso, di lacrime visibili sugli occhi o invisibili sull’anima, tutti quelli che ti hanno letto, anche quelli che non lo ammetterebbero mai di potersi commuovere per uno scritto su un blog, su Internet. Quelli che la mamma ce l’hanno ancora, e figurati quelli che la mamma non ce l’hanno più…
Ragazzi, che sdilinquimento.
Cuore di mamma è sacro, chiaro.
Però figlio maschio meridionale… sarà mica che c’è una punta di verità in questo luogo comune? Mia madre forse sarebbe d’accordo, che la mia nonna napoletana in fondo un po’ preferiva il suo primogenito masculo, mio zio Antonio, Totonno. Ma poi era abbastanza equa. Conosco una signora che pur di lasciare la stanza libera e preservata per suo figlio, anche se lui lì non abita più, fa dormire sua figlia sul divano, anche se lei lì ci abita ancora. Del resto lei ha sempre dormito in sala sul divano. E questa sorella minore, vai a capire, idolatra suo fratello, e mi sa pure sua madre.
La forma verbale, come commento alle tue parole, Davidù, mi sta sempre problematica..
..ehm..ecchissà come mai..:D
Proverò con forme espressive diverse, tipo disegnare o dipingere danzare cucire cucinare cantare…
bhè insomma, proverò a modo mio, a conservare il regalo dei tuoi racconti, che qualcuno nei post precedenti chiama gioia, ma che io non so definire…o lo farei finire.
Se succede qualcosa di interessante, da questo esperimento, avviso 😉
Un bacio a Zu Davide.
Un saluto alla Mamma Zina.
Un grazie a entrambi.
davide, non si può definire con le parole quello che provo.
ci sono delle parole che mi vengono in mente ma è difficile scriverle, dare loro un senso compiuto e comprensibile agli altri. mi viene in mente una musica, quella si.
sei un fenomeno strano davide. stranamente meraviglioso. entri nelle vene, sotto pelle e scuoti tutto! solletichi tutto!
da 2 giorni sono “bloccata” sulla fine di REMBO’… non lo leggo, temo troppo che finisca e di non poter riprovare l’emozione che provo ogni momento in cui lo prendo in mano per ripiombarci dentro. so che è stupido… ma stasera affronterò le cose per come stanno. solo devo farti i complimenti, perchè sei eccezionale e perché mi rendi orgogliosa di essere palermitana, come te. grazie. chiara
Dopo un certo numero di suoi scritti, mi sembra non eretico affermare che una capacità di scrittura delicata e potente al contempo come la sua è più che merce rara, è unica. I giornali dovrebbero fare a gara per avere la sua firma. Dopo che la leggo, mi vien la nausea all’idea della lettura dei quotidiani.
Con stima sincera e ancora più sincera ammirazione
Questo pezzo è da antologia e ti farà percorrere molta strada.
Immagino un monologo in scena e la madre espressa con voce fuori campo….
Davide, hai l’arte di affabulare nel cuore.
Giuanni
delicato, amorevole, malinconico, commovente, tenero.
GRANDE!
grazie, come mamma e come figlia
Madre. Icona. Simbolo. Istituzione.
Mamma: cantata dai poeti forse più della Luna. Quasi quanto l’Amore, la propria Terra e… poco altro. Reale, vagheggiata, vissuta, idealizzata… amorevole o temibile, ma inesorabilmente Madre. Temo che esistano al mondo sentimenti che possono essere oggetto d’invidia. Legami che, se assenti o deformati, ti fanno sentire come cieco o monco. Se poi, a farti da madre c’è stata la controfigura di un sergente dei marines, il castello di carte dei tuoi ricordi d’infanzia rischia davvero di assomigliare a un’architettura di Le Corbusier.
Prendete me… Io sono figlio del Dottor Jekill. In gonnella, certo. In chiave matronale. Tunisina di nascita, dalle radici sicule, cresciuta tra due culture. Da un campo di concentramento francese al matrimonio con un purosangue della Kalsa. Una figlia del caos, personaggio enigmatico e dalla personalità controversa. Per quanto posso ricordare, buona parte della vita di mia madre è stata scandita da almeno due modalità distinte. Di giorno maestra giardiniera, paziente e leziosa con i bimbi in grembiulino bianco. Ingrid Bergmann, soave suorina in “Le campane di Santa Maria”. Da mezzogiorno in poi, una volta tra le mura della sua casa: il sergente di “Full Metal Jacket”.
Il mio ginocchio ferito, sbucciato da una caduta con la bicicletta, è un ricordo epico nella mia memoria. Rammento il bruciore e il batuffolo di cotone imbevuto di Amuchina che scendeva su di me, urlante sul pavimento del bagno. Il problema era questo per la mamma: le ferite dei suoi figli erano una colpa. Non c’era ombra di grazia nel soccorso che ti prestava, ma una determinazione feroce a estirpare il male dal tuo corpo, quasi si trattasse di un esorcismo o di un’onta da lavare. Per questo tremavo, a dieci anni, steso sulle mattonelle, scalciando e strepitando. Finché la bottiglia di plastica rigida dell’Amuchina non mi colpì duramente sulla zucca con un sinistro TUD!, mostrandomi l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Orione, i Tre Porcellini, Qui, Quo e Qua… e facendo sì che il mio intelletto si prendesse una pausa caffè, almeno finché il cotone non avesse disinfettato energicamente la sbucciatura. In quel momento mi pentii amaramente di aver lasciato che la mamma leggesse la mia collezione di fumetti western. Dopotutto era colpa mia. Ero stato io a portare in casa quelle letture diseducative. Mi sforzavo di pensare che a Tex, a Zagor, cose del genere succedevano tutti i giorni. Per quanto, a loro, venisse dato almeno qualcosa da stringere tra i denti prima della randellata anestetica. Non mi era chiaro neppure come mi sarebbe stato curato il bernoccolo dopo il ginocchio sbucciato. Ma la vita è piena di domande senza risposta. Cosa pensasse quella figura giunonica, veloce e implacabile, tanto simile a un canguro con i guantoni da box dei cartoni animati, resterà uno dei grandi misteri della mia vita.
Di madre, dopotutto, ce n’è una sola. E come recita una battuta yddish, citata spesso dal grande Moni Ovadia… di questo dobbiamo ringraziare Iddio.
incredibile come questi post ci portino a viaggi introspettivi, al non avere remore nel confessare ad una platea potenzialmente mondiale di persone dietro un monitor i nostri sentimenti e ricordi più intimi… anche io vi “confesso” che solo da poco tempo mi sono resa conto che la mia vera mamma è stata nonnapina. lo è stata quando ero bambina, la sento più vicina di mia madre anche adesso. è una tosta nonnapina, dicono che le somiglio molto… ne sono fiera… e visto che non ne ho ereditato il nome (vedi post sui “nomi a capriccio” di maria cubito di pochi giorni fa), ne ho ereditato la indole… con lei la mia prima parola, con lei la mia prima bicicletta con relativa sbucciatura di ginocchia, a lei ho sempre chiesto i titoli delle puntate di candy candy quando ancora non sapevo leggere…e quando non faceva in tempo a leggerli li inventava! a casa sua bevevo il caffè di nascosto già a 2 anni e lei che non si spiegava perché i bambini della mia età facevano il pisolino di pomeriggio ed io invece no 😀
la nonnapina che pochi giorni fa è stata capace di dirmi “ma quannu mu fai u nipotino? un c’è bisogno ca ti mariti, basta ca mu fai addivintari nonnaava!” 😀 grande nonnapina, grande madre per me…
Non so quanti hanno la capacità (il talento?) che ha Davide Enia di creare soltanto con parole messe in fila una dietro l’altra, un terremoto emotivo come quelli che lei riesce a creare. Lo dissi, mi ripeto, questo scrittore è un genio, ed è bello riconoscere un artista senza avere nessuna remora né vergogna nel dirgli: grazie
Ok, mi hai definitivamente trafitta, Davidù…
sto piangendo davanti al computer, e scrivo non so neanche io perché, e… ciao davidù, ti bacio
Spero che un giorno, tuo nipote, dirà di me le stesse cose.
ho letto soltanto due racconti di Davide Enia (è da poco tempo che ho scoperto questo blog), non so chi sia, cosa faccia nella vita, se è uno scrittore, un poeta o un impiegato, ma so che in entrambi i casi le lacrime mi hanno annegato gli occhi… e io sono una piuttosto dura! Bravo.
Mamma:
Data la facilità della parola molto spesso la prima mai detta dal neonato (non il mio caso).
Le oche riconoscono madre il primo essere camminante.
Non essendo le oche sceme, prova e controprova che la prima cosa che chiunque cerca nella sua vita è la figura materna.
Ecco, ho detto le mie cinque idiozie quotidiane.
Posso andare a curcarmi.
Mamà.
per Ti: Davide l’ho incrociato solo una volta, gentilissimo, ma non so dirti nulla su chi sia umanamente, professionalmente è “soltanto” il più importante e più premiato uomo di teatro degli ultimi anni in Italia… se vuoi sapere di più, nella colonnina AUTORI và e clicca sul suo nome, e vedrai che spazia dal teatro, alla radio, alla letteratura al… calcio, che forse è la sua passione più grande
Ma…scusatemi per la mia ignoranza…una volta per tutte: come si pronuncia il cognome di Davide?
ènia oppure enìa?
Cioè, l’accento dove cade? Grazie.
sulla a
La madre, la notte, un pianto, un abbraccio, una canzone…
Mia madre, le telefonate veloci,
poi ti chiamo ora non ho tempo,
questa settimana non posso venirti a trovare, no domenica non ce la faccio a mettermi in macchina.
Mamma come si fa il sugo ai funghi, lo sfoglio, la conserva?
Mamma mammmmma mamma…
PS: compà mi hai fatto piangere.
le tue parole e scritti hanno su di me lo stesso effetto di un lavoro sul corpo finalizzato ad eliminare blocchi tensionali ed emotivi:creano momenti di pianto e di riso associati a conseguenti stati emotivi di odio-amore. Sarò forse ” troppo Normanna” per scrivere diversamente ciò che vorrei dirti, ma le tue parole stregano anche le befane..da farle rimanere in silenzio per giorni,per mesi.
“la bellezza non è nella cosa in sè ma nell’occhio che vede”
per Marcella: mi sa che ho fatto una gaffe.
Scusami Davide se non sapevo chi fossi, ma credo che la cosa più importante è quello che riescono a trasmettere le tue parole scritte….
Mettiamo fine una volte per tutte a questa maledetta storia:
Siamo ‘mpa, non a Partinico.
Ergo accento sulla E.
La “i” si pronuncia lunga.
Sono semplicemente stupefatto, e commosso e irritato dal non poterti ammirare in teatro qui a Palermo.
Con sincera stima, grazie
…
Per Frank, e per gli altri:
Enìa, accento sulla i.
grazie, mio splendido sconosciuto
caterina
Davide!!! spirito sensibile, talento soprannaturale, capace di raccontare un qualsiasi normale accaduto giornaliero cosi bene da renderlo una vera forma d’arte, immaginiamoci se si tratta di un fatto nobile e importante. Toccare le corde piu’ profonde dell’animo di un altro essere umano e’ tipico di quei rari artisti che passano nella nostra vita ogni 1000 anni circa… My copliment!
x meri..non è tautologico ma poetico, per come lo scrivi..
(per sempre)
Una delle cose più potenti mai lette in vita mia…
Raccontare l’anima di una città, e riuscirci. Mi fai rabbia, ma è invidia la mia, e l’orgoglio di avere un concittadino come te che rende giustizia alla mia amatissima città. Per questo ti ringrazio, perché lo fai e per come lo fai
MinchXXa compare… applausi, dopo essersi asciugati gli occhi
Ogni volta è un regalo. Più va avanti più la pietra è più grossa, più preziosa e più lucente.
Sig. Enia queste sue pietre sono brillanti.
Ogni racconto ha mille facce e ogni faccia ha mille luccichii.
Ci facissi una collana co ste pietre.
totò, la collana di ‘ste pietre è rosalio… :°)
Hai l’oro negli occhi, ragazzo, e ancora più meraviglia nelle tue dita che scrivendo su un foglio restituiscono tutto l’incanto amplificandolo.
Scusatemi.
Ho commesso una gaffe allucinante col mio stesso cognome.
Confermo algoritmo, accento sulla “i”.
E basta Davidù che poi ad ada ci veni l’acidità
Ossa e sali…diceva mio nonno quando tornava con la sua varcuzza carica ri pisci al mood di sant’erasmo,ossa e sale e un pizzicu i bicarbunatu
Ho perso mia madre e tu me ne hai regalato un piccolo pezzetto.
Grazie.
A volte con mia madre trattenevo parole, e carezze, e abbracci.
Adesso abitiamo in città diverse, io sto in Liguria lei in Sicilia. E adesso che lei non è accanto a me che capisco quanto mi mancano i suoi sguardi, i suoi baci, i suoi “vieni qui noemi”.
Mi hai commosso, grazie Davidù
ho pianto senza vergogna e senza ritegno e non mi vergogno. mi hai emozionato perchè è alla mia mamma che non ho più che ho pensato e ricordato la sua voce le sue canzoni e i suoi abbracci le sue mani le sue ginocchia che accoglievano la mia testa quando non mi riconosceva più e io che non volevo più vederla pechè volevo la mia mamma quella di prima. accidenti a te davide sono in ufficio e piango come una bambina io che ahimè non lo sono più da tanto. goditela la tua mamma quanto più puoi e incamera al massimo il suo odore la sua immagine ti servirà un giorno.rosanna
Davidù, parole forti le tue.
Tanto forti da creare un’osmosi tra te e chi ti legge. Più è bello il testo più belli sono i commenti.
Grazie Davidù quindi, ma grazie anche a rosanna, malcom k, alessia, A., klaus, r.m. tum, Chiara Chiaramonte (anche io avevo paura di finire Rembò), milla, Ti e tutti gli altri…
Ti pare che devo piangere per una poesia di uno che non conosco???!!SI
Grazie mi hai fatto rivivere dei bei momenti di quendo giocavo al parco giochi …solo che ora sto male… perchè non vivo con i miei… lacrime… lacrime…..
Ciao davidù
Letto e riletto, e ogni volta mi commuove
viene il momento che ti convinci di diventare grande. stabilisci, fissando l’orizzonte, che puoi andargli incontro anche da solo. un po’ marinaio, un po’ condottiero di te stesso. e allora decidi di fare a meno del rifugio sicuro, degli abbracci, delle carezze, dei baci in fronte. oppure ti convinci, che sei in grado, quanto meno, di dettare tu i tempi e i modi. è l’uscita a testa alta dalla scena. impavido, scutri l’oltre, il tuo futuro, sbirci l’ascensore che non arriva, non prima che tua mamma t’abbia regalato un altro bacio. in ascensore la spavalderia comincia a mutarsi in consapevolezza, e a piano terra tu ancora non lo sai, ma è già prudenza.
l’orizzonte di casa di mia mamma è il mare. e ogni volta che vado via da casa di mia mamma, sole o pioggia, vento o temporale, quando alzo gli occhi, lei è lì, affacciata che mi guarda. da lontano mi saluta con la mano.
il giorno che lei, a quel balcone, non ci sarà più, io non so come, ma in qualche modo dovrò pur fare, come tutti hanno fatto.
magari eviterò, in piena solitudine notturna, mentre suona uno struggente addio, di imbattermi per caso in un canto come il tuo, mio caro davide, che che sei uno sfacciato traditore del mio sonno, un rapitore impenitente della mia quiete, un feritore asanguecaldo della mia solitudine, un sanguinario senza rimorso, un passionale, un eccessivo, un poeta.
Grazie.
Quando scrivi qualcosa di nuovo?
Riletto di nuovo “gennaio”, di nuovo straziata.
Sono in a casa e fuori la nebbia di Bologna, ma le tue parole mi hanno riportato a Palermo tra le braccia di quella donna che mi fece nutricu e poi uomo.Tu hai messo le parole io ho messo le mie immaggini,non te la prendere la dolcezza della tua mamma ha evocato la mia.
Sei un uomo fortunato
Dario
Credo di averti visto in un programma Rai una sera , un monologo, meglio una calamita, un uomo che con un ritmo quasi da puparo teneva tutti li attoniti
tu puparo noi marionette
forte dolce iplacabile beffardo vero autocritico e seplicemente geniale sembra quasi che le parole non bastino mi e’sembrato di vedere tuo zio durante la partita le immagini ruotavano come se dal salone le persone descritte fossero luogo e concetto ed immediatamente l’agonismo calcistico, siamo di nuovo sul campo a giocare un mondiale epico interrotto dallo sciaquone per la pausa pipì sigaretta…minchia un ti muovere ca porti sfiga…
ho immaggini ma la tua voce la tua personalità è rimasta indelebile…
si sono sicuro eri tu…
…sei un fenomeno
…e ringrazia tua madre per i geni che ti ha donato.
Era lui, e lo spettacolo era “italia-Brasile 3 a 2”.
Bellissimo, come i suoi post
Commovente…toccante…penetrante. Descrittivo e minuzioso…palpabilmente fa toccare le mani dell’emozione.
Ma quando scrivi un posto nuovo???
Caro Davidù,
ho le lettere w r o s a l i t ricalcate sui polpastrelli…per l’attesa vigile vigile di un tuo nuovo racconto.
Ma credo tu overfull di travagghio.
Un saluto Davidù,
Ciao,
travagghia bbuono e stammi bbene!
Davide mi ha confermato che febbraio arriverà presto. 🙂
Credo che sia già arrivato da 14 giorni
Confermo.
Febbraio è arrivato da quattordici dì.
che dire… grazie di cuore Davidù!
per tutte le emozioni e per il tuo modo incredibie di raccontare il mondo
Un capolavoro.
Sono mamma, non c’è amre più grande se non quello per i figli: me lo diceva sempre mia madre quando ero adolescente e la facevo incazzare: adesso capisco, non c’è uomo che tenga,per me i miei figli sono tutto, cerco di riempili di amore e emozioni per farli crescere belli… grazie davide per le emozioni
madonna quant’è bello…
Molto bello e toccante… Davidù, ti ho letto e riletto molte volte… hai la capacità di catturare il lettore e farlo tremare di emozione… come se fosse lui stesso a vivere quei momenti narrati… Bravo!! molto bravo.
Davidù …mi facisti chianciri arrieri!