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sabato 23 nov
  • Le scarpette

    Il peso di quelle scarpette l’ho avvertito durante tutto il viaggio. Passare da un aereo ad un altro con alle spalle un sogno da consegnare ti riempe di responsabilità, tutte frutto delle tue paure, di quello che un tempo eri ed oggi non sei più.
    La richiesta era giunta un mese fa, sottovoce, quasi con timore. Sono stati più i suoi occhi a raccontarmi di un sogno che quelle parole farfugliate a labbra strette, con il timore di ricevere un secco no, figlio dello stress quotidiano che noi adulti paghiamo senza accorgercene.
    Un paio di scarpette da calcio. Misura 37. Quella di quando ti accorgi che la vita ti ha messo su una strata ben tracciata e difficilmente potrai uscirne. Da queste parti, dove l’Inferno da la mano al Paradiso, diventi adulto prima, soprattutto se vivi in periferia, una via Gluck ben diversa da quella nostrana, senza palazzi e marciapiedi, ma solo fame e la tentazione di saltare la barriera della legalità, per trovare conforto e pane tra le polveri bianche dell’oblio, scaricate con perizia nel mare dei sogni e bisognose di braccia audaci per giungere nelle narici dei potenti.
    Petit Lulù è sempre stato qui. Nella periferia di una città di periferia. Dove anche una maglietta strappata diventa un lusso che non tutti possono permettersi. Fa mille lavoretti, dall’alto dei suoi dieci anni, con quell’andatura un po ciondolante, quegli occhi spesso spenti, che trovano la luce naturale della sua giovinezza quando una palla rotola intorno a lui. Allora cambia. Diventa un altro. Diventa una persona vera. Un bambino che vuole giocare, giostrare, stupire.
    La pianta dei piedi è diventata insensibile con il passare del tempo, tutto il tempo che lo ha visto camminare a piedi nudi per le stradine di campagna, o in riva al mare. Piedi duri, che riacquistano la loro sensibilità toccando un pallone, giostrandolo con maestria ed eleganza.
    Quelle scarpette gliele dovevo. Fossero anche frutto del mio quotidiano senso di colpa, di colui il quale ha per il semplice fatto d’essere nato dove il dovuto è quasi un diritto. Gliele dovevo perchè in cuor mio lo avrei saputo felice, anche se non per sempre. Gliele dovevo perchè amo il calcio per quello che è: una palla, e tutta la fantasia che un bambino può metterci dentro.
    L’ho chimato ieri pomeriggio. Sentivo nell’aria la sua eccitazione. Sentivo che lui sapeva e non aveva fatto altro che attendermi durante tutte le mie tre settimane di assenza. Un uomo accucciato accanto ad un bambino chino. Uno zainetto che si apre e che da luce ad un paio di scarpini neri e lucidi. Gli occhi di Petit Lulù che si illuminano di gioia alla vista ed al contatto di quel sogno. Gesta veloci ma precise, viste fare centinaia di volte ad altri più fortunati di lui, ed ecco l’opera completa: un bambino pronto a sognare. Una farfalla fuoriuscita dal suo baco e pronta a volare felice, inseguendo il sogno di una vita normale.
    È difficile spiegare certe emozioni. È difficile raccontarle. E forse neanche questa volta ci sono riuscito. Mi restano le indelebili immagini di un bambino che corre con un sogno al piede. Un ricordo dolce e sincero. Circondato dal dolore.

    Fatti non foste per esser solo lettori. Di Petit Lulù, nel mondo, ne esistono purtroppo miliardi, e la maggiorparte di loro non vivrà mai abbastanza per realizzare un sogno. Racconti come questo sono fatti per sognare, ma soprattutto per riflettere.

    Cordialmente

    Ospiti
  • 4 commenti a “Le scarpette”

    1. Arrizzanu i carni,saluti al fratello Alfredo,che ha un cuore enorme,dove c’e’ posto sempre per tutti.

    2. Un abbraccio vero a mio fratello Nat, uno che mi ha insegnato tanto.

      cordialmente

      Giullare

    3. caro Giullare,
      sei un esempio da seguire e lo faró.Credo fermamente a dei “fari” umani e tu sei uno di questi.Perció esperienze come la tua va raccontata,come raccontate vanno anche storie simile a queste,in modo da soffermarci e riflettere…ciao carissimo

      Turiddu

    4. Alfredo,
      dal numero dei post,credo che a molti non interessi piú di tanto….peccato,perché queste storie potrebbero “attivare” molta compassione nei confronti di chi sta peggio o male degli altri…

      Turiddu

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