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mercoledì 18 dic
  • Piazza del voto

    Si chiamava “Piazza del voto”. Molti dei palermitani over 35 dovrebbero ricordarla senza difficoltà. Era una sorta di esedra, piccola, di un centinaio di metri quadri rivestita di marmo bianco e grigio e circondata nel suo perimetro da una serie di statue di santi, al centro delle quali, se non ricordo male, campeggiava la Madonna. In relazione allo spazio circostante, erano piccole e insignificanti. Vi si accedeva per una scalinata anch’essa in marmo e forse eccessivamente sovradimensionata. Tutto intorno era il nulla indiscriminato riempito di giostre e di bancarelle di zucchero filato e di cubaita. Il mare non si vedeva e le baracche e le roulottes di servizio delle giostre formavano una cortina che ne impediva non solo lo sguardo ma anche l’accesso. Si trovava più o meno al centro del terrapieno che oggi è il prato del Foro Italico. È riemersa, tra i ricordi della mia infanzia, durante un pomeriggio passato tra totem e panchine in ceramica smaltata, duxsuasori, palloncini e asiatici che vendono aquiloni e bolle di sapone. Rammento distintamente la repulsione che quel luogo mi creava ma non lo si poteva nemmeno definire un luogo chè non possedeva alcuna caratteristica che so di funzionalità, di accoglienza o di invito alla pura contemplazione. Non una panchina, solo lo schifo dei residui di “calia e simienza”, e l’indifferenza di chi portava i bambini per distrarli dalla noia della domenica pomeriggio. Era si potrebbe dire la quintessenza del non-luogo. La storia di questo scempio architettonico è ovviamente tutta palermitana. La sistemazione della villa a mare era nei progetti dell’amministrazione comunale dalla fine della guerra, quando la passeggiata a mare, che per tre secoli fu il salotto di rappresentanza della città, mutò profondamente la sua spazialità a causa del riempimento di questo tratto di costa con i detriti prodotti dalle macerie dei bombardamenti. Un infruttuoso tentativo di lanciare un concorso internazionale di architettura fu all’origine della scelta di individuare sempre attraverso un concorso i “pregevolissimi autori locali” delle sculture. Ma ci sarà stato anche un progettista? Certamente e probabilmente curiale anch’egli, come l’idea della piazza, del voto poi, le sante, i marmi e il nulla. Ma adesso che ne ho scritto mi vergogno un po’ di averla rievocata. La damnatio memoriae purtroppo non si potrà consumare perché le statue, tutte, sopravvivono, separatamente, disseminate tra le chiese della periferia.

    Ospiti
  • 4 commenti a “Piazza del voto”

    1. Caro Puntarello, devo dire che la tua descrizione è apocalittica, ma in effetti lo stato piuttosto squallido della piazza è pure registrato nella mia di memoria. Per conoscenza, e in risposta a qualcuna delle tue domande, ti informo che la Piazza del Voto fu progettata nientemeno che da Giuseppe Spatrisano e Luigi Epifanio, noti architetti e urbanisti palermitani. Gli scultori furono Giuseppe Di Caro, Filippo Sgarlata, Nino Geraci, Benedetto De Lisi, Silvestre Cuffaro e Cosmo Sorgi che scolpirono le statue nel 1967. Rosario La Duca lo stesso anno stigamatizzava l’errore di questo impianto sacro avulso dal contesto. Nel 1992 per volontà lungimirante del Cardinale Pappalardo le statue furono portate allo Zen per adornare il sagrato della chiesa di San Filippo Neri , dove in effetti hanno riacquistato i dignità e in senso.

    2. Pierfra, grazie delle tue precisazioni che ai fini di una documentata analisi del contesto storico rendono giustizia di un’epoca tutta nostra.

    3. Sette donne vegliano la città

      Era il 1967 e Sua Eminenza, il Cardinale Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, decise di lasciare alla posterità un segno del suo episcopato, facendo erigere un monumento alla Madonna e alle sei Sante protettrici della città: Rosalia, Lucia, Agata, Ninfa, Oliva e Silvia. Scelse un’area disponibile al Foro Italico, all’ingresso della città, perché il complesso monumentale fosse ben visibile e anche per ridare dignità al lungomare di Palermo, degradato e fatiscente. Il Cardinale diede incarico agli architetti Giuseppe Spatriano (mio professore di architettura al Liceo Artistico) e Luigi Epifanio per la progettazione e fece convocare al palazzo arcivescovile gli scultori: Nino Geraci, Silvestre Cuffaro, Giovanni Rosone, Giuseppe De Caro, Benedetto De Lisi, Filippo Sgarlata e Cosmo Sorgi, tutti artisti che mi hanno iniziato agli studi, e, senza bandire un regolare concorso, affidò loro l’incarico di modellare le statue grandi al vero, e di tradurle in candido marmo di Carrara. I giovani scultori del tempo insorsero per la loro esclusione, tanto che, in una movimentata riunione al Circolo della Stampa, organizzata dal giornalista Mauro De Mauro, ucciso poi dalla mafia, minacciarono di imbrattare le statue non appena fossero state erette. I sette artisti risposero con denunce e querele ma portarono a termine l’incarico ricevuto. Cosmo Sorgi, prima ancora di essere convocato in Curia, era a conoscenza che la statua di Santa Ninfa l’avrebbe realizzata lui e, in attesa di ricevere l’incarico ufficiale, aveva già costruito nel suo studio l’armatura metallica di sostegno. A suo dire, la Santa gli era apparsa in sogno, gli aveva detto di far presto e gli aveva indicato persino come voleva essere ritratta. Fu finalmente convocato e il segretario lo pregò di attendere perché Sua Eminenza era momentaneamente occupato. Per ingannare l’attesa, si dispose ad osservare i lussuosi arredi di quell’anticamera, i paliotti ricamati in oro e corallo trapanese, i grandi dipinti di scuola siciliana, gli affreschi del Borremans nel soffitto e si compiacque della perizia artigiana degli stuccatori e degli indoratori palermitani. Il tempo però trascorreva e cominciò a sospettare che si fossero dimenticati di lui, perché, aveva visto entrare e uscire troppi prelati, semplici preti e postulanti. Un’ora dopo, la sua pazienza aveva raggiunto il limite, si alzò di scatto e bussò alla porta dalla quale era andato via il segretario. Questi gli disse di pazientare ancora un pò, ma il maestro, che di temperamento era bilioso, mise da parte i freni inibitori e rosso in viso e con il naso ancora più paonazzo del solito, gli rispose: dica a Sua Eminenza che io non sono Michelangelo, ma di certo lui non è Giulio II! Voltò le spalle all’allibito segretario, e se ne andò. Fu poi riconvocato benevolmente dal Cardinale, che non tenne conto dell’intemperanza e gli affidò ufficialmente l’incarico.
      Il monumento fu inaugurato tra mille polemiche, denunzie, propositi di sabotaggio e minacce di scomunica, ma poi, la Piazza del voto, come sua Eminenza aveva voluto chiamarla, fu lasciata nell’abbandono e nel degrado. Di giorno era gremita di venditori ambulanti e la notte, si trasformava in un comodo luogo per esercitare il meretricio. Il Cardinale Pappalardo, nel 1992, decise di spostare il monumento allo Zen, quartiere satellite della città progettato dall’architetto Vittorio Gregotti, per abbellire il sagrato della chiesa di San Filippo Neri. La Madonna e le sei Sante iniziarono a vegliare sulla microcriminalità e sul degrado sociale del quartiere.
      Un noto architetto, Massimiliano Fuksas, ha ipotizzato recentemente la demolizione dell’intero complesso e se ciò avvenisse, ancora una volta le statue dovranno trovarsi una nuova sistemazione e qualcosa su cui vegliare. Non sarà difficile perché la Felicissima Palermo offre ancora molte possibilità di scelta in campo politico, amministrativo e mafioso.

    4. Grazie anche a te Raffaello per aver arricchito di Storia la mia micro e personalissima memoria. Ma certo che quello spazio cittadino avulso da ogni cittadinanza non sia più è una liberazione. Ancora qualcosa da fare ci sarebbe ma lo raccontiamo un’altra volta. Adios

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