Ad un certo punto, con la caduta del comunismo si è cominciato a parlare dei paesi dell’Est europeo come di transition countries, comunità in transizione verso l’economia di mercato e la democrazia compiuta.
La formula, non c’è che dire, era di quelle ben riuscite, era ottimista, trasudava l’euforia della trasformazione in corso e allo stesso tempo ne prometteva un compimento, un momento, vicino, a portata di mano, in cui la transizione si sarebbe naturalmente evoluta in una “nuova condizione” di benessere e prosperità per tutti i popoli per anni costretti a vivere sotto la dittatura.
Il problema con l’Est Europeo è che la transizione non si è mai in vero conclusa: sempre più spesso, i cittadini oltre adriatico, per definire la loro condizione politica parlano di “ever-lasting transition”, di transizione infinita, di limbo perenne, che suona come condanna e mortificazione soprattutto per chi alla transizione, alla possibilità di traghettare, al cambiamento, ha, per una volta, magari anche andando contro tutti i legittimi scetticismi, creduto.
Una cosa del genere è successa a Palermo. È successo che forse i termini “primavera” e “rinascimento” siano stati usati dai sindaci di destra e sinistra per troppo tempo e con troppa facilità. Continua »
Ultimi commenti (172.543)