Palermo lontana
Poco più di un anno che sto qui. Per caso è una città che ha smarrito qualcosa? Vedo molti che cercano la cosa smarrita e non si capacitano del non trovarla. Ho l’impressione di una città senza ombra, non senza ombre. Nonostante il fiorire di cantieri in centro storico, cosa che guardo con distacco, e il fervore culturale, non necessariamente apprezzabile economicamente, in molti gangli vitali, ho l’impressione, anch’io, che manchi qualcosa. Ogni mattina percorro Via dei Mille, Corso Tukory, Via Basile, Viale Regione Siciliana, Via Leonardo da Vinci, Viale Michelangelo, e torno indietro da Viale Michelangelo, Viale Regione Siciliana, Via Notarbartolo, Via Duca della Verdura, Ucciardone, Via Messina Marine, Via Alloro, eccetera. Evidentemente ho saltato dei passaggi, ma non è questo l’argomento. Quando guido sto attento, scorgo cose ma non quelle che cerco. Ho l’impressione, come dire, che Palermo non abbia un carattere, un imprinting che te la fa riconoscere e, di conseguenza, te la fa descrivere. Il mio è uno sguardo “inquinato”, evidentemente. Guardo alla città come un pesce d’acquario guizza tra le alghe e i sassi; so cosa guardare o, perlomeno, uso un traduttore visivo che, in certo senso, decodifica mentre guarda. La mia non è più nemmeno una professione, ma un habitus: un abito mentale. Sono, per questo, abituato a vedere la città, qualunque città, nella sua complessità, ma qui c’è qualcosa, o manca qualcosa, che sfugge e nel suo fuggire determina uno sfaldamento tra la memoria delle cose viste e la capacità di descriverle. Nicola Giuliano Leone mi ha spiegato che bisognerebbe imparare a leggere Palermo per quadranti, usando cardo e decumano come assi divisori. Una cosa è leggere la città su una mappa, una cosa diversa è affrontarla. Vale per tutte le città, doppiamente per città come Palermo (Napoli, Alessandria d’Egitto, Atene, etc.). La sindrome di Dedalo e di Teseo, avete presente? Oppure, di contro, la mancanza di carattere è sommersa dalla densità dei suoi aspetti, città invisibile tra le altre, che andrebbero sfoltiti, selezionati, cancellati, rifondati. Non è una cosa da poco: “la difficoltà di fondare oggi una città deriva dalla complessità estrema dell’operazione. Si tratta di rifondare una civiltà, un modo globale di intendere il rapporto tra l’uomo e la natura, cioè di intendere la gestione del tempo e dello spazio da parte dell’uomo. Si tratta di ricominciare da zero in un tempo e in uno spazio in cui lo zero non è più possibile”, così scrive Pietro Toesca. Può essere questo il disagio che provo, o che mi pare altri provino in una città come questa? La coscienza della propria incapacità di ripensare Palermo come un luogo disponibile ad accogliere un modo nuovo, o differente, di fare cittadinanza (civitas) rispetto all’ipertrofia, e dislessia, della metropoli (urbs) moderna. O di accettare di fare della polis (città) uno strumento attivo della polis (politica), e non l’inverso.
Palermo la capisci bene sono quando sei lontano e… ti manca!
non capisco se è lo sfogo di un autista amat erudito. ma poi cosa è che manca?
Bruno sono d’accordo con te. Palermo la capisci bene solo quando sei lontano…e quando ci ritorni, anche solo per pochi giorni, la guardi con occhi diversi, sopratutto se ti trovi a fare da guida ad amici venuti da fuori.Dentro di te scatta un misto di orgoglio e sdegno che forse prima, quando ci vivevi non si percepiva.
Comunque sia, Palermo è unica, nel bene e nel male…
molto riflessivo, ma un anno è troppo poco.
Palermo è sporca, caotica, senza servizi. Ma che ci posso fare, ogni volta che sono lontana e ci penso, non posso fare a meno di sorridere…
quando manco da palermo la capisco. capisco la sua deriva sociale e la pochezza culturale, capisco che è morta negli anni cinquanta e che il tempo che le scorre addosso produce una metamorfosi che somiglia sempre più alla putrefazione della carne.
quando manco da palermo non capisco chi l’ha mortificata di più, se l’ignoranza o la superbia dei suoi strani abitanti
Un post per nostalgici, giude turistiche e autisti dell’amat!
…. credo che non fosse quello il messaggio di chi ha scritto il post… la vera domanda, era, non tanto se Palermo ha un valore per chi ci vive, ma se è ancora capace di “rinnovarsi” dal punto di vista sociale, politico, economico… quel ricominciare da zero… comporterebbe la perdita di un’identità culturale forte, che andrebbe invece alimentata per consentire di sedimentare sul vecchio IL NUOVO… Io credo che lo sforzo di rendere Palermo una città che ancora oggi può crescere, che può fare un buon uso dei suoi asset sia una responsabilità che ha ogni cittadino… quindi, evitate lo sdegno, rimboccatevi le maniche, e lavorate per non fare morire Palermo. PT
Concordo con PT riguardo ‘interpretazione del messaggio di chi ha scritto il post e le quasi risentite e piccate “testimonianze d’amore”, che sembrano voler affermare i primi commenti, mi sembrano fuori strada rispetto al tema. Mutatis mutandis tali atteggiamenti mi ricordano lo sciovinistico e retorico vetero-sicilianismo che mostrano certi politici quando cominciano a sciorinare le solite manfrine sulla “culla delle civiltà” o le panzane tipo “80% dei beni culturali del globo” volendo coprire la vacuità delle loro azioni e l’incapacità d’incidere positivamente realizzando IL NUOVO (ricordo a proposito un bell’articolo di Sergio Troisi in un GdS di un paio d’anni fa). Adesso provo ad azzardare una mia lettura delle “sensazioni” di Cogliandro e traduco sinteticamente così: le periferie e le loro assenze hanno prevalso su un centro storicamente stratificato ma anche capace di generare il nuovo.
Il Vecchio? Il Nuovo? Palermo, mi insegnate e’ una citta’ antica (quindi non vecchia) con una storia e cultura millenaria. Il Nuovo e’ stato forse quanto ha ereditato dall’invasione Piemontese di meta’ 800. Nuove leggi, Nuove imposizioni, Nuova classe dirigente che ha portato pian piano all’annientamento, sia economico , a causa del trasferimento di risorse da Palermo verso il Nord, che culturale vivendo all’ombra dell’Italia, prima fascista , poi “americana”, infine neopapale (DC).
E’ quindi una citta’ che oggi , a mio parere, vive forti contrasti tra la sua Vecchia storia e cultura e il suo Nuovo che mai le ha voluto dare benessere e dove mai Palermo si e’ identificata.
Ecco che le impressioni di una citta’ alla ricerca di qualcosa forse possono essere giustificate, ed ecco anche perche’ Palermo e’ unica.
L’obiettivo, a mio parere, che noi tutti Palermitani dovremmo avere, e’ quello di rilanciare il Nuovo, renderlo applicabile a questa citta’, far si’ che lo stesso si possa fondere con il Vecchio che mai dovra’ essere dimenticato, perche’ e’ la nostra anima, creando un cocktail vincente che possa dare rilancio a Palermo evitandole pero’ il triste declino di altre citta’ , italiane o meno, che hanno dovuto perdere la loro identita’ per fare spazio a presunta ricchezza.
a parer mio e secondo quello che vedo nella città in cui vivo, Palermo soffre della mancanza di un forte associazionismo sociale e culturale. Un associazionismo polito (non partitico) sano libero e intelligente dove convergono individui sensibili sulle tematiche urbane e capaci di “spendersi” in prima persona per dare un contributo concreto al miglioramento della qualità della vita collettiva.
Un associazionismo capace di interfacciarsi costantemente (e non a fasi alterne) con una pubblica amministrazione locale al fine di sensibilizzare gli amministratori locali sulle problematiche della collettività e offrendo soluzioni.
Per costruire questo associazionismo bisogna sacrificare un poco del proprio tempo giornaliero, avere ognuno un ruolo.
D’altronde 2 volte la settimana 3 ore si dedicano alla partita di calcio !!! E così dovrebbe essere con il mondo dell’associazionismo “civico”. Civico, quel valore che era una vera e propria materia alle scuole dell’obbligo, ma che in fondo… quanti di noi venivano interrogati in educazione civica ? Si veniva rimandati in educazione civica ?
Oggi ne raccogliamo i frutti nella nostra società.
Penso ai gruppi GAS di acquisto solidale, dove gli individui si riuniscono per comprare frutta e verdura biologica in grande quantità per poi dividerla tra i membri del gruppo; una realtà che funziona molto bene in molte città del centro nord.
Dice Domenico: “La coscienza della propria incapacità di ripensare Palermo come un luogo disponibile ad accogliere un modo nuovo, o differente, di fare cittadinanza (civitas) rispetto all’ipertrofia, e dislessia, della metropoli (urbs) moderna.”
E io rispondo: quell’ipertrofia dei palermitani nasce dalla convinzione fortemente radicata e che constato quotidianamente che le sorti della città possono essere mutate soltanto dalla classe politica che governa la città! Questo è l’errore piu’ grande che il palermitano possa fare !!! Lo faceva 40 anni fà, e forse per quei tempi era un errore che facevano un po’ tutti in Italia, e purtroppo lo continua a fare nel 2007, non rendendosi conto che puo’ essere lui, se lo vuole fortemente dentro, uno degli artefici del cambiamento delle condizioni della collettività.
Fino a quando questa convinzione resterà cementata nella testa dei palermitani, cambieranno i sindaci di dx e di sx, passeranno decine di festini ma le condizioni di un intera città resteranno uguali a quelle attuali.
Per mutare condizione l’individo palermitano deve scrollarsi di dosso antiche e cattive abitudini quotidiane, fare qualche sacrificio di tempo, e soprattutto mettersi in gioco in prima persona. Lo ripeto alla nausea. A me piace farlo costantemente, (ma credo di essere un esempio di manipolazione genetica non ben riuscito, infatti mi capita di usare il termine “palermitano” come dispregiativo, ma è un mio estremismo). Il mettermi in gioco continuamente mi fa scoprire nuovi modi di vedere cio’ che mi sta intorno, è come affrontare un viaggio, senza muoversi da Palermo.
Preferisco il nomadismo psichico alla stanzialità mentale, trovo quest’ultima come la muffa.
Infatti mi piace confrontarmi con i non-palermitani di nascita in quanto mi trasmettono modi di vedere che sono “distaccati” e indubbiamente diversi dal nostro modo “palermitanamente” asfittico di vedere le cose.
Spero solo che l’individuo palermitano acquisisca rapidamente il senso della cosa pubblica, della cosa comune e da qui continui unendosi ai suoi simili palermitani per intraprendere un cammino politico comune volto a rendere più vivibile la città. A quel punto, se saro’ ancora vivo, quando diro la parola “palermitano” staro’ facendo un complimento a qualcuno ! 🙂
Di Londoner non condivido le visioni “neoborboniche”, però dico -riallacciandomi al suo finale – che Palermo parte della sua identità l’ha persa non a causa di una classe dirigente nordista ma di una classe politica inurbatasi qui dalla provincia con l’intenzione predatoria di reinvestire qui velocemente i propri proventi leciti o illeciti nella risorsa suolo, mortificando la nostra città e non avendo loro né la cultura né l’attaccamento civico o semplicemente sentimentale per amarla.
Post inquietante. La sensazione di avere smarrito qualcosa senza capire bene che cosa.
La città irreale della terra desolata (Gerusalemme, Atene, Alessandria, Vienna, Londra).
La città del caos di Isaia.
Il luogo della metamorfosi che diventa osservatorio e chiave di lettura del mondo stesso.
Può darsi che non sia la città ad avere smarrito qualche cosa ma l’uomo che ci vive. Molti cercano la cosa smarrita e non la trovano perché la cercano fuori e non dentro la loro intimità più profonda. Non sono più in grado di farlo.
Palermo allora diventa un osservatorio del dramma dell’uomo moderno.
Il polites, in quanto identità pressoché completa di uomo e cittadino, deriva dall’impossibilità che ha l’uomo greco di raggiungere direttamente sé stesso dentro di sé. Non era arrivato a questo. Per riuscirvi deve inserire un passaggio intermedio, cioè la polis. La polis non è città soltanto, né stato soltanto, né città-stato. E’ soprattutto il tramite perché il greco possa raggiungere sé stesso.
Tragicamente.
Poi accade un evento folle e stolto e con questo evento la scoperta della strada attraverso la quale l’uomo può tornare dentro di sé a sé stesso direttamente, senza necessità di tappe intermedie. Di questo in fondo parla Eliot nel Journey of the Magi.
E parla anche della difficoltà che ha questo popolo, avvinghiato ai propri dei. Perché questo popolo alieno ha dimenticato questa strada? Perché ha dimenticato la scoperta di Agostino: dentro di sé l’uomo scope la propria intimità e, nella propria intimità, scopre la presenza del Dio nascosto e silenzioso, che è intimo all’uomo più di quanto l’uomo sia intimo a sé stesso? Questo popolo ha smarrito l’intimità della persona, barattandola con le situazioni, i frammenti, i prodotti in cui si organizza la sua esperienza. La trama della vita è ridotta alla giustapposizione sfilacciata di situazioni, spesso pregnanti di contenuto, talora contraddittorie. Inizia la frammentazione continua fino alla drammatica necessità di lacerazioni successive.
L’ultima devastante lacerazione è il tentativo di eliminare definitivamente la persona stessa. Ma è sempre il soggetto-persona ad agire, anche se trasforma sé stesso in oggetto da eliminare. Traspare (pur se in negativo) il calco originario indistruttibile della persona stessa.
L’oblio alla fine copre anche il processo stesso della lacerazione. La crisi si occulta e occultandosi penetra sempre più profondamente e ne diventa sempre più difficile la lettura.
Come realizzare il nuovo (che ci è stato tolto dalle periferie e dalle loro assenze)? Come realizzare il nuovo se abbiamo perso la capacità di avere una relazione reale col futuro, una relazione che non lo “desfuturizzi”?
E’ necessario tornare a riabitare il “centro” e ricostituirsi nel calco originario per raggiungere la pienezza della propria singolarità.
A questo mi fa pensare Palermo.
Grazie per il post.
Dai monti Palermo lontana pare una sindone. Un lenzuolo di lino striato di sangue e lurdìa.
“…fare della polis (città) uno strumento attivo della polis (politica), e non l’inverso”
L’hai detto !!! In questa semplice frase si nasconde il segreto di una possibile rinascita d’identità della città.
Ma chi lo puo’ fare ?
Un amministrazione che espone gonfaloni rossi che cercano di convincere che la città è cambiata ?
Chi lo puo’ fare ?
I suoi tanti abitanti che riescono a malapena a lamentarsi dei problemi della città ? Senza nemmeno accorgersi che fra poco (dopo le elezioni!) pagheranno il 75% in piu’ di Tassa sulla munnizza … (in Bolivia si fanno le rivoluzioni in piazza per queste cose: vedi privatizzazione acqua prossimo venturo anche da noi. Dalle nostre parti le rivoluzioni si fanno solo se i vigili multano le auto in doppia fila in via m.stabile o se si chiude un giorno il centro alle auto).
Chi lo puo’ fare ?
La classe politica di destra e di sinistra che agli appuntamenti elettorali si nutre di slogan e promesse per una “nuova” e “rinata” Palermo, che poi, dopo qualche anno si rivela la Palermo di “sempre”.
Per “fare della polis (città) uno strumento attivo della polis (politica)”, qualcuno (anzi tanti!) in questa città si devono svegliare da un lungo sonno, abbandonando interessi partitici e personali e dedicandosi alla città come missione quotidiana di vita. Se non avviene questo risveglio non si potrà mai “ripensare” Palermo, nè ci sarà mai un nuovo modo di fare cittadinanza !
E ce lo potremo dire su Rosalio tra 10 anni ! Scommessa ?
(then..long life to Rosalio)
Palermo piena di contraddizioni, città che scatena reazioni antitetiche in chi ci vive quotidianamente! Una sorta di droga dalla quale cerchi spesso di disintossicarti (lo faccio in prima persona x questioni di lavoro…d’altronde è sempre questo il motivo principale di abbandono della CITTA’), ma che inevitabilmente dopo un pò di tempo ti riattrae famelicamente e ne farei volentieri un’overdose!
“Palermo è una cipolla” come descrive alajmo nel suo libro,che fa piangere chi è vicino ma anche chi sta lontano….
Ragazzi, cittadini…
(ehm… forse è un tantino esagerato e pretenzioso come incipit?)
Wellà piccio’, tutt’apposto?
Ho appreso dal web che le strisce blu di parcheggio a Palermo… sarebbero illegali… come mai queste news non si dipanano come brezza di arrostimento stigghiola on the road? C’era un servizio a riguardo durante real time di qualche giorno fa… e il link ad un sito che ho riportato: http://www.livignielivigni.it
post presuntuoso che cerca di complicare i concetti invece di semplificarli. Post non trasmette l’amore per la città, anzi la “polis”, ma l’amore per la cultura di chi lo scrive. Direi che il linguaggio mi ricorda un mio professore di matematica, geniale, ma con una profonda incapacità a trasmetterla agli altri. Io trovo che scrivere in un blog aperto, debba essere un momento di condivisione, e non di sfoggio ed esaltazione della propria cultura. Quando si citano dei nomi “Nicola Giuliano Leone” nella logica di condivisione si dovrebbe scrivere chi è costui. Ma l’autore del post trova superfluo questo esecizio.
allora lode alla sua cultura
Quale portentosa veemenza, Lex. 😛
Rimanendo al linguaggio, il post è scritto molto bene, per non parlare di come riesce a far vedere la città con gli occhi di chi ancora non si è abituato ad essa.
Per quanto mi riguarda uno dei migliori in assoluto, e da ripassarsi ogni tanto.
Ogni città ha il suo odore.
New York sa di scarpe nuove
Parigi sa di cinematografo
Londra sa di carcere correzionale
Stoccolma di biancheria lavata
Atene di terra battuta
Barcellona di rosso
Amsterdam di budino di mele
Venezia di umanità
E Berlino?
Non conosco l’odore di Berlino.”
Gregory Corso
Siino che fa sfutti???
Se uno ha un’ottima padronanza della penna, ed utilizza un linguaggio forbito, sicuramente senza eccessivo impegno, ma semplicemente perchè gli viene facile, è presuntuoso!
L’incappare, nel leggere un pezzo, in un nome, in un luogo, anche in un vocabolo che non ci appartiene, dovrebbe essere stimolo ad adoperarsi in ricerche personali (ed in rete ciò comporta un dispendio di tempo minimo), in modo da poter accrescere le nostre conoscenze, e non essere il pretesto per etichettare un post come non divulgativo e incapace di lanciare messaggi. Parafrasando un’espressione usata in altri contesti, se ci sbatti la testa, ti resta tutto più impresso. Le nozioni apprese finiranno con l’essere tue fino in fondo, molto più di quando si viene imboccati. È un suggerimento!
Grazie albi. Apprezzo il tuo suggerimento.
Nicola Giuliano Leone: Docente di Arch. Università Palermo. Ora è tutto più chiaro.
Mi liggivu tutti i post.
Ma ri chi cosa stamu parrannu?
C’è u civu-civu ri prufissuri.
Io fici i scuoli finu a terza media e si qualcuno mi spiega terra terra stù post,tuttu buono e binirittu!
p.s.. Ma ù rispettu pi l’avutri e pi i cosi cà sunnu ri tutti un fussi un bonu insegnamentu pi taliari chiù i vicinu stà nostra Palermo ? Insegnamentu pi i picciotti e picciriddi, comu ù pani pi l’affamati.
posso dire ciò che penso? credo di si… il blog è fatto per questo, per permetter ad ognuno di dire ciò che pensa nei termini (eruditi o meno) che meglio possano esprimere i suoi pensieri…. racconto un aneddoto: l’altra sera mi trovo a cena con palermitani doc sessantenni, “doc” non tanto perchè palermitani di nascita, quanto per l’amore che hanno dimostrato verso questa città. Mi aspetto che si facciano attorno ad un tavolo i soliti “discorsi di caffè” e invece mi trovo ad ascoltare racconti di night, di cabaret, di cinema che non esistono più, di femministe in rivolta, di politici all’apice del successo, di un Foro Italico senza sfere luminose, di personaggi mitici di una Palermo che sta ormai tutta nelle pieghe di una cartolina sbiadita. Di colpo mi trovo a pensare: conosco anch’io la “mia” città negli stessi termini in cui questi signori, alla mia età, conoscevano la “loro” Palermo? saprò anch’io, tra trent’anni, raccontarne i fervori e fremiti?
Credo sia questa la mancanza di identità a cui il post di Cogliandro si riferisce…l’essere riconoscibile dei luoghi perchè scenario di vita e di esperienze, perchè soggiorno di anime e flussi di energie. è questo che ci manca.
Saluti a tutti e complimenti come sempre.
Laura
Mi sorprendo, a volte, come qualcuno, magari di passaggio, mi riesca a fare notare cose che, normalmente, stanno dinanzi ai miei occhi e di cui io, perché abituato alla loro presenza, non mi sono mai reso conto o, proprio per colpa dell’abitudine ad uno sguardo fuggevole, non ho posto quella stessa attenzione, seppur parziale, che l’altro ha. Per guardare bisogna fermarsi. Oppure avere il sospetto, fondato, che non ci si è mai fermati abbastanza in un dato posto. Per esempio, ho sviluppato (per lavoro, ma anche per diletto) una certa attenzione alla lettura di testi scritti che il mio occhio, pur nolente, si abbarbica ai refusi, agli errori di stampa, alle sviste. Oppure, per via di uno sguardo abituato a scorrere sulle righe, mi sorprendo degli intoppi, e li noto. Le mie riflessioni “palermitane” non vogliono essere nostalgiche, né presuntuose e nemmeno, spero, troppo inquietanti. Rilevo cose: Palermo è un pretesto per immaginare un altro modo di pensare le città; dopo il passaggio della Biennale e l’avvio di un progetto di waterfront, anche per chi non se ne fosse accorto, si candida a diventare un ottimo pre-testo. Qualcosa che anticipa un testo, o qualcosa che consente la scrittura di un testo utilizzando i termini più appropriati. Poi, è vero, è, come altre, una città complessa con questioni irrisolte e vocazioni non esperite e, co i giusti strumenti, anch’io vorrei darmi da fare per aiutarla ma il mio ruolo, adesso, è quello del lettore o, “presuntuosamente”, del curatore di attenzioni rivolte all’architettura, al design e alla polis (vedi sopra).
“Palermo è un pretesto per immaginare un altro modo di pensare le città” ma altre città a volte sono un pretesto per immaginare Palermo in un altro modo, vedi Barcellona così simile, ma così più avanti che mi fa rabbia…
Palermo non è Barcellona, come non è Oslo e, per via di questo ragionamento, Barcellona e Oslo (ahiloro) non sono Palermo. Insomma, non è possibile lavorare sul paragone quanto sull’io, o sul me: sull’identità, insomma, che però non è uguaglianza et similiora. Non entro nel merito del caso Barcellona che ogni buon architetto, a proprio modo, ha già analizzato, ma come questa anche altre città del mondo hanno avuto, in grande o in piccolo, le loro rivoluzioni. Palermo è Palermo. Una volta accettata la questione e messi da parte i pregiudizi va anche fatto un lavoro di cesellatura in cui ogni singolo passaggio di bulino va documentato, altrimenti si rischia ogni volta di reiniziare un processo non avendo la “cultura” (intesa come conoscenza e capacità di sintesi) di ricominciare da tre. Non amo lamentarmi, mi piace lavorare per cambiare le cose.
A parte il fatto che mi sembra perfino ovvio considerare che le analogie e le parentele sussistono con Barcellona, mentre con Oslo sarebbe un po’ più difficile volerne dimostrare, per il resto concordo e quello che volevo far intendere è che qui la famosa “assenza” è in parte dovuta all’immobilismo che rende difficile “lavorare per cambiare le cose”.
Quello che mi fa rabbia è leggere tanti post distruttivi e poco propositivi e lamentosi. Io la mia città l’amo e cerco nel quotidiano nel mio piccolo di fare qualcosa per rendermi utile al suo sviluppo. Spero che i critici che ne parlano cosi’ male sappiano nel loro quotidiano fare lo stesso. La regista La Torre milanese doc, ha detto ” Palermo è unica ci vengo spesso, poi devo scappare perchè è una città che ti soffoca, poi sento il bisogno di ritornarci “…PALERMO E’ STUPENDA facciamo il nostro dovere e muoviamoci il sederino per migliorarla…
Palermo in realtà soffre di una sola grave mancanza. Almeno io riconduco tutte le lacune ad una sola: Palermo non ha uno scopo
Palermo non è (solo) città portuale, nè (solo)industriale nè (solo) commerciale, nè (solo) amministrativa, nè……..
E nessuno di noi, e soprattutto i nostri amministratori ci saprebbe dire verso dove stiamo andando, che occupazione ha Palermo (ad oggi), per quale scopo i palermitani dovrebbero “lavorare” ed impegnarsi per la loro città.
E (se provate a personificarla, questa città), come tutte le realtà senza scopo, si avvia verso il deserto della depressione…
Angela ha colto nel segno. Aggiungo che alcune delle funzioni che elenca sono in essere in modo malato o distorto. Non è un mistero che parte del “commercio” è fittizio e legato alla necessità del riciclaggio; la funzione amministrativa, sviluppatasi in maniera elefantiaca, ha favorito la rendita richiamando una esagerata pressione abitativa dalla provincia; la funzione portuale è afflitta da nanismo.
Con ciò vorrei dire ad Antonio che essere analitici non significa essere lamentosi. L’essere propositivi, da parte di gente perbene, disinteressata, o sognatrice, è frustrato eternamente da una politica del contingente e dell’effimero, dall’egoismo stoltamente incapace di una progettualità alta e dai portati positivi durevoli.