Ricordo#1
D’estate il pomeriggio era sempre diverso da come me lo immaginavo in inverno. Costretto rìntra un maglione nero con toppe grigie sui gomiti che “copriti che t’arrifrìddi”, taliàndo fùora dall’invernale finestra di casa mia, fantasticavo su mie future imprese estive, gesta eroiche da raccontare ai compagni al ritorno a scuola, arrampicate verticali e salti improvvisi da un albero all’altro, immersioni infinite e leggendarie scoperte di antichi tesori, partitone a calcio con amici e aggàddi finiti con l’avversario in ginocchio implorante “pietà” e, nella mia straripante fisicità, la presenza di necessari sgraffi da ostentare con decisa virilità e rude durezza alle mie donne: questo è stato cadendo da uno sdirùbbo, vedi?, ha sanguinato assai ma io non mi sono fatto niente, mamà, no zia non provo dolore io, ho già nove anni io, cosa credete?… tze, femmine…
Poi l’estate
con quel suono silenzioso e carnale che sempre anticipa il compimento del desiderio
labbra che un pò sorridono, un pò si preparano al bacio
labbra umide e felici
l’estate arrivò.
Potevo finalmente sfiancare i miei nove anni in gesta rischiosissime.
Affanculo l’inverno e la sua prigionia fatta di maglioni e canottiere.
Adesso è estate. Tripudio di libertà.
Invece.
Estate fu.
In tutta la sua possanza e strafottenza.
Un càrrico di 45 gradi all’ombra che tutta Palermo divenne deserto e desiderio infinito di acqua.
L’acqua del mare: un piscio.
A mezzogiorno, diceva me zio Peppe, ci puoi calare ‘a pasta.
Una calura buttana da quanto era calura, anticipo d’inferno per le nostre vite colpevoli, ‘u sole a picco sopra i nostre teste peccatrici, una disidratazione costante e corpo spalmato di crema protettiva.
Assenza di vita nelle strade.
Stanchezza solo a respirare.
Immobilità ubriacante.
E sete, sete, sete.
Pranzi lenti nei ritagli d’ombra, poi mellone agghiacciàto e cafè amaro ma agghiacciàto puru ìddu.
Mia nonna Provvidenza, una lamentazione perpetua: stàiu murìennu, stàiu squarànnu puru l’anima, ‘sta calura ccà nni porta aggrìtta aggrìtta nnu padreterno.
Mio zio Peppe, suo figlio, filosofeggiava: ‘un è ca lamentandoti ‘u càvuru abbùcca.
Mia madre, preoccupata, un continuo campanello d’allarme: Davidù copriti la testa.
Mio padre, invece, non pronunciava parole. Iddù, p’u càvuru, le distillava le parole. “Mare”, e tutti al mare. “Casa”, e si tornava. “Cùrcu”, e cu si voleva cùrcare, si cùrcava. Cioé tutti quanti gli adulti, tranne io e me frate che avevamo sedici anni in due.
Poi serrande abbassate e cu s’i vìtte, s’i vìtte.
Poi arrivò il 17 agosto.
Quel 17 agosto.
Il 17 agosto dei 47 gradi.
All’ombra.
Il 17 agosto in cui mio padre disse dopo pranzo: “cùrcu”.
E poi, taliàndo me e me frate: “e voi due: silenzio”.
Quattro parole aveva detto rivolte a noi in questa giornata di brace.
Doveva tenerci molto al silenzio.
E io e me frate l’ordine di me patre ‘u pigghiàmmo alla lettera: mutissimi eravamo. Zittissimi. Non una parola una. Perché per me la consegna del silenzio valeva unicamente per le parole e per tutti i suoni che dalla bocca potevano maturare e venir fuori. Chìsto è ‘u silenzio, per chi ha nove anni.
Accussì io e me frate accuminciàmmo nel momento dello stinnìcchio di ddù pomeriggio incandescente una sontuosa gara a tirarci pietre che, roboanti, sbattevano contro ‘u muro di casa, poi per levarci di dosso ‘u sudore ci arrusciàmmo con le pentole della pasta che ‘u scrùscio potente e fragoroso amplificava il delizioso effetto dell’arrùscio, poi bagnati e soddisfatti martellammo a ritmo convulso quattro assi di legno per fare una zattera con cui solcare il mare per sconfinare oltre l’orizzonte, in ultimo iniziammo una severa gara di palleggi col mio pallone, un super santos arancione, che rimbalzava felice contro ‘u muro di casa mia.
Il tutto rigorosamente in religioso silenzio.
Tanto le serrande se ne stavano rigorosamente chiuse.
Dormivano puru ìdde.
Poi accadde quello che accadere doveva.
Proprio quando ero arrivato a dodici palleggi di fila, me patre niscìu fùora dalla stanza da letto, sudatìzzo e a torso nudo, con lo sguardo un pò incazzatièddu.
“Vi dissi di fare silenzio… ora vi tàgghio ‘u palluni”.
E prese ‘u super santos tra i sue mani.
Mai i sue mani mi sembrarono accussì grandi ed il pallone accussì indifeso.
Tremava.
Mischino, aveva un coltello accanto.
“Papà papà ma io e me Bobo èramo in silenzio” fu la mia sincera difesa.
“Voi eravate in silenzio, è vero” ammise mio padre. Incredibile stavo vincendo! Avevo vinto contro a me patre! Giornata di gloria e di osanna!
Ma poi, me patre, piano come solo l’inizio di uno sdìlluvio serio, aggiunse “Voi due sì… era ‘u pallone c‘un faceva silenzio”
E… ZAC!
Tagghiàto.
Mi sembrò, potrei giurarlo, di averlo sentito piangere il pallone, o forse era mio fratello, non ricordo, il sole era alto e a troppo a picco, era il 17 agosto e la calura, la calura buttana, era tanta e troppa.
Ciao piccolo super santos arancione, tu non lo sai perché tanto eri morto, ma io quell’estate ti usai come cappello, metà io e metà mio fratello.
Eri comodo e mi facevi sempre pensare calcio.
Accussì oggi io ti abbraccio,
tu che stai nel paradiso dei palloni tagghiàti,
ovunque esso si trovi.
Amen.
oh, sorpresa..!
..il “piccolo super santos” che ti faceva pensare al calcio su un altro pianeta, lo trovo qui,
a notte fonda, e mi ricorda il pareggio del Palermo avvenuto qualche ora fa a qualche chilometro da casa, vicino vicino, senza che lo vedessi allo stadio..peccato.
ciao Davidù, è sempre un piacere leggerti!
E’ vero, leggere i tuoi post è sempre un piacere stuzzicante che ho scoperto da poco .Tanti ricordi che tornano alla mente, quasi momenti condivisi pur senza conoscersi. Quei pomeriggi caldi e quei giochi semplici con i fratelli, le sorelle , i cugini…e senti perfino le cicale… Scrivi ancora…
Mi vent’anni fa pare oggi!
Vent’anni fa mi spardavo la faccia giocando con la bici
Oggi mia figlia mi sparda la faccia con le sue violente carezze
Vent’anni fa Gerry mi arroccava il pallone per sfergio
Oggi mia figlia ci fotte la palla al figlio di Gerry e manco cu i bummi che ce la dà più.
Belli sti ricordi a portarseli fra vent’anni.
L’infanzia è un momento magico e terribile, e tu riesci a restituirla con incanto, ironia e drammaticità… un bacio, Davidù, da me ormai innamorata…
Oddio che ridere……
Anche a me u Signor LoBianco mi tagghiava u palluni….. Quanti bei ricordi. E’ la prima volta che leggo questo blog e come inizio non c’è male.
Grazie, Anna
Sto supesantos finiva sempre dalla vicina di casa che era zitella, noi chiedevamo sempre scusa con finta mortificazione una media di 15 volte al giorno e lei con gentilezza restituiva il pallone. L’estate successiva sul muretto di recinzione ci stavano in parata tanti cocci di bottiglia verdi e bianchi,
La sua casa era diventata l’obitorio dei palloni spunnati.
Dove li seppellisse non lo so ma da quel giorno la epitomammo Monaca di Monza!
nei tuoi racconti, bravi o lunghi, c’è sempre una parte di me che ci si ritrova. Bravo!
Sai, chissà perchè mi aspettavo di poterti rivedere (anzi, di poterti rileggere)a Marzo.
E invece…surprise! Grazie, è sempre un piacere leggerti, un vero piacere, un grandissimo piacere, accompagnato da un incommensurabile ed indefinito stupore per la tua abilità caleidoscopica di saper usare le parole giuste al momento giusto, nel modo giusto. Sempre.
che ridere!… anche a me una volta mia zia mi tagliò un pallone, e noi ci giocammo a pallavvolo col pallone tagliato… era il tempo di mimì ajuara…
mi hai riportato a quando ero bambino… non hai parole tu, ma una bacchetta magica…
Mi hai ricordato i tempi delle severe minacce dei vicini di casa…..”Chiffà l’am’a tagghiari?!?”
😀 che bei ricordi….grazie
AH! AH! AH!
Chiffà? u tagghiàmu?!?
…troppi cianchi e troppo vero…
micidiale, Davidù
Bellissimo e divertentissimo!
Preciso e affilato, come il coltello che squarta il pallonje
Mimmo mi ha regalato il tuo libro, “Rembò” ma a me più di tutti è piaciuto tuo zio serafino e la sua immensa saggezza. Vorrei avere avuto anche io una guida come lui.
Allora alla fine l’hai letto 😉
ora che ci ho il delirio per la partita del pomeriggio, mi ci voleva proprio un posto calcistico… miXXXia chianchi…
L’infanzia è un tempo incantato e tragico anche. Sei riuscito a rendere entrambe le cose. Scrivi da dio, Davidù. Orgoglioso di avere un concittadino così.
Marco
sei proprio bravo…complimenti!!!!!
Mi fai venir voglia di incontrarti per poterti ascoltare ancora..
Goooool!
No, no signor Turi no no ‘un ci tàgghi u pallune
mizza che ricordi…
grazie davidù
…eccolo il vero “genio” di Palermo…
A Resuttana era il parroco doveva fare la siesta e noi giocavamo in piazza sotto la sua finestra…
Iddu ni mannava il pastore tedesco ad azzannare il mitico supersantos!!!
Che ridere…
Un bentornato ai racconti allegri!
Baci e ammirazione totale, come sempre
scrivi il non detto, e talvolta l’indicibile ahimè, in modo unico davidù.
“labbra che un pò sorridono, un pò si preparano al bacio labbra umide e felici l’estate arrivò.”..
a me fa pensare al modo in cui mi preparavo a mangiare la cioccolata …valeva più di un golle quella mousse!
C’era chi sequestrava il pallone dopo avere invano urlato per ore…o lo tagliava per la sovercheria…
rimaneva la mia ingordigia,ed il mezzo per sostituire un brivido .
come ora il brivido del ricordo di un cocktail ghiacciato, era estate
l’infanzia che ho avuto io, anni 70, era in mezzo alla strada.
adesso tutti i bambini davanti alla TV.
Al massimo, la minaccia è “ti tàgghio il telecomando”.
non è la stessa cosa, no no
Una boccata d’aria fresca, in mezzo a tanto clamore per sanremo (!?!)…
come sempre formidabile
Talè, ti leggo e riesco a riconciliarmi con quella mXXXa del mondo del calcio…
sei un Artista vero, Davidù
qui a milano piove fa freddo. eppure ieri era estate, cacchio ci ha fregato di nuovo. io e miles sentiamo la pioggia, mentre facciamo altro, siamo cool dentro e fuori. i 47 ce li sogniamo, parliamo con qualcuno che sta a palermo, dice che tra un po’ scende e va a mangiarsi uno spiedino di pesce spada. un pallone arancione me lo ricordo anche io, ma era di gomma piuma. o forse quello era giallo, non arancione. però se il santo era di plastica e i fratelli lo hanno usato come cappello, d’estate con tutti quei gradi, si saranno bolliti il cervello.
@rosalio.
ciao, ti scrivoper avere notizie di Davide Enia. Perché non scrive più?
Scrivi Davidù, soprattutto in questi giorni di caldo torrido.
Ciao e grazie
angela mussi, roma
Davide è attualmente impegnato in prove teatrali per il suo nuovo spettacolo. Tornerà presto.
Presto? Speriamo prestissimo!
Ne siamo orfani ormai da Aprile…