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martedì 19 nov
  • Come orologi

    Mi è capitato di entrare dentro una casa palermitana del centro storico. Certo, dire centro storico è come affermare l’esistenza della terra, non ho ancora chiari i limiti, ma insomma “intra muros” potrebbe chiarire la cosa, da-a. Palermo ha un centro storico che in realtà sono più centri, ognuno a sé e, come ricordo scriva Billitteri nel suo giallo, ognuno con una identità e una “proprietà”. Kalsa e Albergheria sono centro storico, così quanto Ballarò e Vucciria. Eppure, nonostante sia “extra muros”, alcuni pensano che anche via Libertà lo sia. Allora, cercherò di essere preciso: sono entrato in una casa nella zona dei Cintorinai. L’aspetto non era invitante, né tantomeno l’androne. Lo spazio di accoglienza ricordava le atmosfere kafkiane del Castello, oppure qualche cascinale da B-movie. Niente di tranquillizzante, e la scala d’ingresso ai piani superiori sottolineava se non l’abbandono perlomeno la sciatteria generale: pareti scrostate, polverose lanugini in terra, un odore di piscio di gatto. Eppure in quella casa abitava una persona che avrei dovuto incontrare, e non la sapevo sciatta né tantomeno decadente. Suono al portoncino d’ingresso ed entro. Lui accende la luce, mi dice di accomodarmi che tra un minuto sarebbe arrivato. Appena dentro la memoria mi è andata a quella volta in cui portai il mio Bulova, ormai perduto in non so quale cassetto (per via della cattiva abitudine di guardare l’ora sul cellulare), dall’orologiaio per cambiare la piccola batteria interna. Il tipetto, sulla sessantina, indossò un monocolo con una lente (per guardarti meglio, batteria mia!) e iniziò a smontare l’oggetto. Non avrei mai pensato di trovarvi dentro tutti quei meccanismi, non perché non lo sapessi, quanto per il fatto che quell’ordito di rotelle e levette, in realtà, l’avevo sempre avuto addosso, ma nascosto dal quadrante con numeri e lancette. Detto fatto, con abilità certosina l’orologiaio smontò, sostituì e ricompose in meno di dieci minuti e, soprattutto, nascose ancora, e non so per quanto ancora, la struttura portante dell’oggetto alla mia vista, dietro la facciata rilassante del quadrante.
    L’interno della casa era accogliente e, per certi aspetti, elegante; le pareti bianche e linde non indicavano nessuna fatiscenza; i mobili ad esse abbinati avevano il dono della semplicità e della ricercatezza; persino la libreria, seminascosta all’ingresso di casa, rivelava la pudicizia di chi profonde molte attenzioni sui libri ma non gli va di esporli in bella mostra sol perché sul dorso hanno titoli altisonanti. Il mio disappunto, forse, solo sulle tende e le mantovane che sapevano di antico, come se lì fossero sempre state, e che mal si addicevano all’arredamento sobrio dell’interno. Ma, e qui sta il punto, l’interno di quell’appartamento non aveva nulla a che vedere con l’esterno del palazzo e con l’ingresso. Sottolineando, se ce ne fosse stato il bisogno, la distanza tra vita pubblica e vita privata. Poi, nel discorso, mi ha detto che molte case del centro storico sono in quelle condizioni: “fuori fanno pena, più che schifo, e dentro sono curate: vedi, dipende dai proprietari, o dal fatto che nessuno vuole spendere più di tanto per rendere bella la casa da fuori, soldi sprecati, mentre è più normale che il proprio guscio sia accogliente e accessoriato. Pochissimi chiamano l’architetto per ristrutturare casa, si affidano piuttosto alle imprese e al “gusto” del loro ufficio tecnico o, addirittura, al proprio gusto personale, spendendo di più per avere un lusso pacchiano”. Insomma, abbiamo parlato delle nostre cose e poi sono andato via immergendomi di nuovo nel filtro privato-pubblico della casa. La città, fuori, aveva lo stile dell’androne e denunciava, alzando la testa a scorgere i soffitti delle stanze prospicienti su strada, interni curati e luminosi che si affacciavano su balconi decadenti, quando non pericolanti. Case come orologi: il quadrante bisunto e le rotelle oliate e splendenti. Ma non sono le case che fanno la città?

    Palermo
  • 16 commenti a “Come orologi”

    1. Cogliandro,
      basta questo post,che é esauriente,non c’é bisogno di lunghi e complessi trattati per descrivere certa sociologia,psicologia,educazione civica.
      In molti casi quando si fa notare queste abitudini consolidate e ti permetti di dire che la casa é tutta la città ti guardano come un extraterrestre e le battute buone per il cabaret fioccano ispirate in grande quantità.

    2. Bello domenico, bellissimo. È proprio vero che per i palermitani “a casa accumincia i runni si chiuri a porta”. Questa cesura così netta è lampante in città ed è una caratteristica forte generale, pervasiva: non riusciamo a bilanciare pubblico e privato, c’è poco da fare. Però pensavo, c’è il problema del pianerottolo, io noto la differenza quando sono in Macedonia da Biljana: noi palermitani (e siciliani in genere) “facciamo pianerottolo”. L’arrivederci non è mai una cesura ma viene trasformato in una soglia per la necessità di addolcirlo, di renderlo meno definitivo. In questi casi è necessario lo spazio di mediazione, il pianerottolo. Quando devo andare via dalle abitazioni dei miei amici palermitani, ci penso sempre mezz’ora prima, calcolo la mezz’ora di pianerottolo, prima di poter uscire. Quando sono in macedonia, invece, tutto è molto più facile, “ајде, чао” e si è già fuori. Tutto più facile ma ci rimango sempre un po’ male. Ecco, ma stu cristiano come faceva a vivere senza pianerottolo?

    3. non ho posso fare a meno di sottolineare che si dice INTRA MOENIA, e non INTRA MUROS…la parola proviene dal latino, mentre muros mi sa di chi pur non sapendo cerca di usare termini di provenienza latina!

    4. Un po’ come quella graziosissima e leziosissima frasetta che lessi da qualche parte in qualche muro di qualche liceo e che recitava pressapoco così:
      infra coscia feminarum est… (omissis)… tosto nascitur creaturam.
      Evviva il divertentissimo latinorum virgolettato
      e non.

    5. Ma picchì, ma picchì…
      http://tinyurl.com/2b6kgd
      Se uno posta un commento, si presume che sia a un tiro di click da qualsiasi motore di ricerca, che in caso di dubbi può evitare, se non altro, malafiuri…

    6. Non voglio aprire una questione su muros o moenia, anche perché, effettivamente, non sono colto abbastanza da poterlo fare. Accetto la critica e il fatto che extra moenia, forse, sarebbe stato più corretto. Mi sono lasciato influenzare dalle mie passioni musicali e dal fatto di averne sentito parlare a Gianmaria Testa, durante un suo concerto. Ora, è vero, Testa è un cantautore figlio di contadini, che prima faceva il ferroviere: sacrosanto. Ma i libri appartengono a tutti, e tutti li possono leggere: anche lui, e io, e tu.
      Alcuni libri, che sembrano tanto ponderosi (fogli) non lo sono (perché contengono, per dirla coi futuristi, parole in libertà, seppur in ordine): si chiamano dizionari. Prima di scrivere, talvolta, vanno consultati. E io l’ho fatto, e mi sono convinto che sarebbe stato più interessante (seppur latente) cambiare termine. Perché? Per la sua prossimità alla lettura della città “come una stanza”. Sicché, non infierisco ulteriormente e lascio il campo alla didascalia.
      …………
      mūrus
      murus, muri
      …………
      s. m. II decl.|n. m. II décl.|s. m. II decl.
      …………
      muro (s.m.)
      …………
      1 muro di un edificio o di una città
      2 terrapieno, fortificazione
      3 parete di un recipiente

    7. Credo che quanto detto per le case valga anche (e soprattuto) per le persone!

    8. Architetto Cogliandro, secondo me lei è troppo buono ad accettare la “critica” (o magari sono io troppo polemico, oggi).
      Ribadisco che una *rapida* ricerca sul web, prima di commentare il suo post, avrebbe evitato di sparare fissarii.
      Magari non avrebbe portato il commentatore a convincersi che la locuzione da lei usata ha la stessa validità di quella più comune, o a stabilire quale fra le due sia preferibile nei vari contesti (per quello può essere necessaria una ricerca più approfondita).
      Ma quantomeno avrebbe consentito di evitare di affermare che moenia proviene dal latino (non proviene, *è* latino) mentre muros no (il tutto, sparti, ittannu vuci)…
      Ma si sa, in Italia (non solo a Palermo) siamo tutti allenatori di pallone, professori di italiano e ora pure di latino…
      Detto questo…
      Il suo post mi ha fatto pensare a certe zone dell’entroterra siciliano dove le abitazioni civili sembrano quasi tutte in costruzione (o abbandonate) e invece, mi spiegarono, tale apparenza cela – intra muros – appartamenti perfettamente definiti (talora sontuosamente arredati) e abitati.

    9. Caro Pierluigi, ti ringrazio dell’afflato di difesa e, per questo, aggiungo: una volta andai a fare un sopralluogo per l’arredamento interno di una casa “in costruzione” nell’entroterra calabro. Piano terra, solo pilatri e travi (Le Corbusier, più prosaicamente, li avrebbe chiamati pilotis); scala col cemento a vista per arrivare dal piano strada a primo piano sul quale i solai comprendevano anche le pareti esterne; ancora scala in cemento e il secondo piano “rifinito” con pareti esterne e interne intonacate. Arrivo al terzo piano e sul pianerottolo (v. Mangiapane) rustico mi si piazza un bel portoncino in legno del tipo anticarro con rinforzo in titanio e chiavistello alla Harry Potter (giusto per non esagerare). Entro. Ebbene, credo che al Museo del Marmo di Carrara si trovasse meno materia prima. Ho visto il posto, ho parlato con i proprietari e ho preferito rifiutare (ero giovane e troppo polemico con certo modo di spendere i soldi). Forse oggi non lo farei: mi sono perso un’occasione per socializzare con una tipologia umana con differenti punti di vista sulla vita, e tante altre cose.

    10. alla Noce (se ricorìo bene) stanno ristrutturando delle casette da adibire ad aloggi popolari. le hanno relaizzate con un buon gusto, sembrano piu bed&breakfast che case popolari!! da quello che ho intravisto (foto del GdS di qualche giorno) sono basse, 2 piani [OTTIMO!!], con rifiniture in legno & ferro battuto nei prospetti e gli ingressi sormontati da qualcosa che ricordano un rosone. davvero un bel lavoro

    11. i miei soliti inconcepibili errori di battitura > ricorìo=ricordo*, relaizzate=realizzate*

    12. ROSALIO, potresti editare il mio post delle 19:34, rettificando
      ricorìo in *ricordo*
      relaizzte in *realizzate*
      ricordano in *ricorda*

    13. Fabrizio io non intervengo sui vostri commenti. Al massimo li rimuovo se violano la policy dei commenti. Potresti fare un po’ più di attenzione prima di premere “Invia commento”, no? 😉

    14. Questo post mi ricorda molto le eterne lotte condominiali di mia nonna. Sono quasi 40 anni che sta nello stesso condominio e non la smette mai di protestare coi vicini che si ostinano a lasciare le cartacce nell’androne e a martoriare le piante, “ma dentro le case ce le hanno perfette”, dice sempre mia nonna. Ecco…cosa è spazio pubblico e privato? Dott. Mangiapane grazie per l’appunto sul pianerottolo (c’è sempre da imparare).
      Archittetto, lasci perdere extra moenia o intra muros….

      (http://it.wikipedia.org/wiki/Iliacos_intra_muros_peccatur_et_extra)

      Bella la metafora degli orologi, si può estendere ad ognuno di noi.

      Buona domenica a tutti

    15. Architetto, avvisi i proprietari della casa nell’entroterra calabro:la struttura così concepita, non rispettando il principio delle gerarchie delle resistenze è a forte rischio sismico, rischiano di trovarsi un bel giorno domus extra muros

    16. A proposito di centro storico: ora che più che mai è in voga la giustificabile accezione estensiva di tale definizione, potremmo indicare la città murata come Centro Antico. Così ci capiremo meglio tutti facendo rientrare nella prima definizione anche l’addizione regalmiciana, il Borgo Santa Lucia e il quartiere dell’Esposizione.

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