Nei giorni scorsi m’è capitato di passare dalla via Marchese Ugo. Vedendo degli operai al lavoro, noto un locale in ristrutturazione. Un tuffo al cuore: non c’è più il Musichiere. Aprirà un altro Blockbuster. La globalizzazione avanza. In un attimo capisco tutto: hanno gettato la spugna, in tempi di MP3 e download lo storico negozio chiude i battenti. Come in un film rivedo me stesso che, nei cinque anni di tragitto quotidiano verso il Cannizzaro, m’incanto come un bimbo davanti una vetrina di balocchi, e poi il signor Taormina con i suoi maglioni slabbrati e il volto bonario, ma intelligentemente sornione, che disquisisce con eguale competenza di Beethoven e dei Genesis, di Debussy e dei Pink Floyd. Con questo piccolo tempio palermitano della musica, lui è stato quello che, come diremmo oggi, ha sdoganato il rock, assegnandogli per “par condicio” una delle sue due esposizioni. Si era ai tempi in cui imperversavano “Finché la barca va” e “Quanto è bella lei”. Noi la nostra musica ce la dovevamo cercare in posti come quello e sintonizzarci ogni giorno su “Per voi giovani” alle 16:20 e fu così che misi in fila i primi tre acquisti: “Atom heart mother” dei Pink Floyd, “Aqualung” dei Jethro Tull e “Tarkus” di Emerson, Lake & Palmer. Poi accadde che il riff indimenticabile di “Paranoid” squarciò una notte palermitana, in un set di polvere e fango sotto la mole del Monte Pellegrino, secoli prima che il povero Ozzie Osbourne si riducesse a fare la macchietta in un reality, ed era il “Palermo Pop ‘70”. Ma fu una luce effimera. In compenso per mesi, da quella vetrina di Via Marchese Ugo, Carole King mi ammaliò con l’intensa espressione che aveva sulla copertina di “Tapestry” mentre Rod Stewart mi schiacciava l’occhio dal suo”Every Pictures tells a story”. Ciao Musichiere e grazie!
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