Ninuzzu
Aveva riccioli fitti fitti da fimminedda e occhi neri neri. Bello come il sole, guance paffute e un sorriso che allargava il cuore e che da quando era nato gli faceva ricevere sempre lo stesso complimento Ma chi bedda picciridda! So’ matri lo stringeva a sé precisava Masculu è. Si chiama Nino. E, puntualmente diceva a suo marito C’ama a tagghiari i capiddi a Ninuzzu.
Stavano in una casa a piano terra con un cortile in cui Nino trascorse la sua infanzia, guardato e protetto dalla MUNTAGNA che ogni tanto s’incazzava e sputava fuoco. E allora prendevano le poche trusce tutti e tre: madre, padre e Ninuzzu e andavano da una zia lontana, verso il mare, con la litturina, pregando che la lava risparmiasse la loro casa.
Nino crebbe taciturno, so’ matri, che per poco non era morta portandolo al mondo, lo trovava nello stesso punto in cui lo aveva lasciato, anche dopo due ore: era capace di giocare cu un lazzu di scarpe o cu na strummula senza lamentarsi mai. Non chiedeva mai niente, non piangeva mai. So’ matri pensava e diceva Troppu solitariu sta criscennu stu figghiu mio. Continua »
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