Sondaggio al Meli: la mafia più forte dello Stato
Alcuni studenti del liceo classico “Giovanni Meli”, coordinati dai professori Isabella Albanese e Fabio D’Agati, hanno effettuato un sondaggio su 173 compagni divisi in due gruppi. Veniva chiesto, tra le domande, se viene considerato più forte lo Stato oppure l’organizzazione mafiosa; il 66,7% del gruppo “sperimentale” e addirittura il 71,9% di quello “di controllo” ha risposto che la mafia sarebbe più forte. Soltanto il 17,9% del primo e il 12,4% del secondo gruppo si è detto convinto della supremazia delle istituzioni. Il resto degli studenti non ha risposto.
Altri risultati del sondaggio rivelano che l’opinione che la mafia condizioni molto (40,8%) o abbastanza (83,6%) la vita di un giovane palermitano è diffusa. Solo il 28,8% dei ragazzi parla con i coetanei della mafia, ne discutono di più in famiglia (32,9%) ma soprattutto con i docenti (34,1%).
Il sondaggio è stato presentato ieri mattina al Politeama al seminario per commemorare Pio La Torre e Rosario di Salvo.
Un dato: otto commenti al post sulla dieta vegetariana e nessuno su questo. Non parlo di scelte estetiche: la riflessione alimentare è spiritosa e godibile. Ma possibile che il blog di Palermo non abbia nulla da dire sulla circostanza secondo cui gli studenti dicono che la mafia è più forte dello Stato? Credo che, in parte, la retorica abbia ucciso questo dibattito. Quando si parla di mafia bisogna sventolare i vessilli dell’impegno, ripetere le orazioni per gli eroi e fingere di marciare tutti nella stessa direzione, senza compromessi. L’adunata – sia pure in buonafede – ha prodotto la morte della coscienza critica. E coscienza critica significa che, se gli studenti dicono questo, probabilmente avranno tratto la riflessione da spunti offerti dalla realtà. Tuttavia la mancanza di valutazioni in questo contesto mi comunica qualche sinistro scricchiolio. O questo luogo non rappresenta Palermo. O la rappresenta esattamente. Lascio a voli la scelta dell’ipotesi più inquietante.
L’esatta percezione della gravità della questione ce l’hai quando vieni a contatto con ragazzi, che al contrario di quelli del Meli, che magari si limitano a manifestare un’opinione, vivono bellamente il loro tirocinio di piccoli mafiosi. Parlo di ragazzi di 15-16 anni che la scuola, sorvolando sulla loro non adesione ai principi della convivenza civile e democratica, promuoverà comunque per soddisfare i numeri e così migliorare le statistiche sulla dispersione, alla faccia di tutte le dichiarazioni d’intenti sull’educazione alla legalità, che rimarrà un puro vaniloquio.
Sono d’accordo con Roberto.
Sostengo che l’argomento “mafia” deve continuare ad essere argomento presente,soprattutto tra i giovani, in famiglia, a scuola, e non aspettare di ricordare qualcuno che è morto o perchè qualche strage è sopraggiunta!
Esatto, Umberto. Riflessione azzeccata
Il dato del sondaggio rispecchia perfettamente la condizione della nostra città. Questi che oggi dichiarano che la mafia è più forte dello Stato, domani ricorreranno all’amicizia per trovare un lavoro e lo faranno senza scrupolo alcuno perchè lo considerano un percorso naturale.Così faranno i loro figli riproducendo all’infinito quel circolo vizioso che ci attanaglia. I piccoli mafiosi non sono soltanto quelli che lasciano la scuola prima di finirla!L’amara riflessione finale è che quel botto del ’92 che tutti ricordano, in fondo non è servito a nulla. E non sono serviti a nulla i palloncini, le catene umane, i progetti sulla legalità che le scuole organizzano. Perchè una volta fuori, quello che conta è tirare a campare!In qualunque modo!
Da Meridio siculo – Ho sempre sostenuto che la mafia sia stata uno dei frutti avvelenati di quell’albero cattivo, piantato apposta da chi volle l’Unità, che, cresciuto nella menzogna e nella soperchieria, è diventato la grande caricatura di uno stato di diritto e moderno.
G. Alessi, in una conferenza su Mafia e potere politico, tenuta a Catania al Palazzo dell’E.S.E. nel 1968, ebbe a dire:
“Io ritengo responsabile primario del mondo mafioso lo Stato, quello stesso che in Italia, dai giorni dell’Unità ad oggi, ha dato la dimostrazione legislativa ed amministrativa dello spregio della legge. Se mafia vuol dire extralegalità, rifiuto della legge, sostituzione del fatto imperioso e prepotente alla norma e al rapporto giuridico, se la mafia vuol dire tutto questo, e contemporaneamente si considera la storia della nostra Isola dal plebiscito ad oggi, ci accorgiamo che si tratta di una sequela di sopraffazioni in cui lo Stato è il primo ad affermare l’inutilità della legge, l’offesa alla legge. Potrei documentare…” (da L’essenza della Questione Siciliana di N. Turco)
Come non dare ragione all’Alessi, quando importanti autori arrivano a scrivere:
“Lo stesso Diego Tajani, mandato in Sicilia quale procuratore generale durante la missione del generale Medici, trovava uno stato di cose veramente incredibile.
Le autorità governative, in connivenza spesso con la mafia, esercitavano ingiustizie, ricatti, soprusi e torture indicibili, arrivando ad organizzare, esse stesse, delitti, furti, cospirazioni ed agguati. Il Tajani ne era esterrefatto, e per porre un freno a quella situazione, arrivava a procedere, per omicidio ed altri reati, persino contro il Questore di Palermo, accusandolo di avere agito in pieno accordo con lo stesso generale Medici” (Colajanni: nel regno della Mafia – da Realtà Siciliana di G. Garretto);
“1862.
Grandissima esasperazione negli spiriti di quei Siciliani che si danno seriamente pensiero delle sorti dell’Isola poiché è nato in essi il sospetto che il governo, mentre ostenta il proposito di volere difendere la Costituzione e quindi le libertà civili in essa sancite, miri, al contrario, a fiaccare nei Siciliani ogni sentimento di libertà e di fierezza.
Si assiste alla continua spedizione nell’Isola di tanti prefetti avventurieri, e di tanti improvvisati organizzatori, ispettori, commissari, espoliatori, e, per dirla alla siciliana, di tanti Verre, che per coprire la loro incapacità e rapacità, crede opportuno calunniare il paese, e distruggere quel nazionale sentimento che muove e nobilita la Sicilia.
Il Governo che da il triste spettacolo di calpestare lo Statuto ed ogni legge umana e divina, pretende che la Sicilia, dopo d’avere acquistato i suoi diritti per proprio valore, debba adottare l’abnegazione la più cieca, la più vigliacca e la più codarda, di farsi impunemente assassinare e infamare”
(Macaluso: Rivelazioni politiche sulla Sicilia e gravi pericoli che la minacciano, Torino, 1863 da Realtà siciliana di G. Garretto);
« Si gridi pure, e gridiamo anche noi con tutte le nostre forze, contro la grave delinquenza che ci affligge. Ma quando si sostiene che ciò dipende dal fatto che la miseria e l’ignoranza sono attaccate alla nostra terra, che noi siamo sospettosi, violenti, ribelli, che in quarant’anni di vita nazionale abbiamo progredito ben poco di fronte alle regioni d’Italia, lasciate ch’io lo affermi: anche in questo non si arriva a denigrarci, ma si legge nel libro della storia l’atto di accusa contro i nostri millenari sfruttatori; non si rileva la causa dei nostri mali, ma si mettono soltanto a nudo i nostri dolori.
E cosa dice il fatto che la delinquenza dell’Isola è alta di fronte a quella delle altre regioni dell’Italia centrale e settentrionale, se non che dopo aver perduto i nostri padri e i nostri fratelli sui campi di battaglia per l’indipendenza e l’unità d’Italia, siamo stati poi trascurati, spesso abbandonati, ingannati sempre?
Che cosa ci dice tale dislivello, se non che lo Stato, invece di mettere anche noi nelle condizioni di potere progredire dando agio alla nostra industria agraria di sviluppare, aprendo nuovi sbocchi ai nostri prodotti, fornendoci di strade, di ferrovie, di porti, ha, in 40 anni di vita unitaria, danneggiato le piccole proprietà con un fiscalismo crudele, rafforzato con i contratti agrari il latifondo, imposto tributi sproporzionati alle nostre risorse? E che, dopo averci fìnanco contesi i tre milioni spettanti alle nostre Università, ci ha ingiuriato volentieri, mandando fra noi. come in un luogo di pena, i funzionari puniti, e quindi senza quella autorità indispensabile per infondere nello spirito pubblico la fede nella giustizia, e ci ha anche tormentati ingerendosi per fini di politica personale, più o meno egoistica, in tutte le amministrazioni affermando, cosciente o incosciente, la prepotenza della mafia? » (II Procuratore del re, a Sciacca, nel 1906, alla inaugurazione dell’anno giudiziario- da Realtà siciliana di G. Garretto);
“La popolazione (siciliana) in massa detesta il governo d’Italia, che, al paragone, trova più tristo del Borbone” (F. Crispi – da Realtà siciliana di G. Garretto);
“Nessuno vuole saperne di noi…Siamo venuti in odio a tutti e tutti sono divenuti nostri nemici” (M. D’Azeglio – da Realtà siciliana di G. Garretto);
“La Sicilia lasciata a se troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari, e ce ne assicurano l’intelligenza e l’energia della sua popolazione, l’immensa ricchezza delle sue risorse…Ma noi italiani delle altre regioni, impediamo che tutto ciò avvenga. Abbiamo legalizzato l’oppressione esistente, ed assicuriamo l’impunità all’oppressore” (Sidney Sonnino – da Realtà siciliana di G. Garretto);
“Spioni dell’antica polizia, uscieri, commessi di magazzino, etc., sono oggi nominati giudici, prefetti, sottoprefetti, amministratori…Un mio amico trovava installato, in qualità di giudice, un individuo che, mediante quattro carlini, gli aveva procurato reiterati convegni con una sgualdrina. L’arbitrio governativo non ha limiti: un onesto uomo può ritrovarsi disonorato, da un momento all’altro, per la bizza del più meschino funzionario…Facendo un calcolo approssimativo, possiamo arrivare alla spaventevole cifra, per il Regno delle Due Sicilie, di 52 mila incarceramenti all’anno, di 9.400 deportati all’anno, mentre sotto l’esecrato governo borbonico il numero dei carcerati non oltrepassò i 10 mila e i deportati non arrivarono neanche a 94…Si fucila a casaccio, senza processo, senza indagini…Il reclutamento è stato definito giustamente una tratta di bianchi: si arrestano, si seviziano le madri, le sorelle di ogni presunto refrattario e su di esse si sfrena ogni libidine…” ( Conte Saint-Jorioz, piemontese, capitano di Stato Maggiore Generale);
E così via, nell’interminabile sequela di descrizioni e testimonianze che parlano di quel che successe dalle nostre parti dopo il 1860.
Quando una parte della nazione si accorge che lo Stato, anziché difendere la legge, ne diviene l’arbitro usurpatore; quando una parte della nazione si accorge che lo Stato, anziché favorirne il benessere, gli ruba persino la possibilità di esistere…a voi ogni conclusione!
Per la Sicilia, solo per amore di un’Altra Sicilia
La rappresenta esattamente. Praticarla pare dia più soddisfazioni che parlarne.
stanton non sono d’accordo.
io purtroppo penso che la mafia sia più forte dello stato, o quantro meno penso che le istituzioni non abbiano abbastanza ‘palle’ per impegnarsi SERIAMENTE e integralmente nel combatterla.
cio non vuol dire che io sia un piccolo mafioso, non c’entra asslutamente nulla!
il senso di sfiducia nei confronti dello stato non è sinonimo di connivenza…
…nè sintomo di qualunquismo…
è sfiducia nei confronti di un’atteggiamento ‘timido’ (per non essere maliziosi) da parte dela classe politica che mi porta a pensare che la mafia è più determinata dello stato, più convinta, più padrona dei suoi mezzi, più efficace… più forte.
@ pè: Se non fosse così allora le cose a Palermo andrebbero diversamente!Ti sembrerà banale o esagerato ma è connivenza pagare il posteggiatore, è connivenza saltare il turno in qualunque ufficio, è connivenza fare una cosa perchè “tanto se non lo faccio io c’è un altro che lo farà!”.Fidati!
All’epoca del botto del 1992 andavo a scuola. In una scuola privata di Palermo. Il botto fu di sabato, il lunedi’ tutti volevano fare riflessioni, dibattiti, considerazioni. Qualcuno voleva andare in piazza. Ci fu detto che il nostro dovere in quel momento era di continuare a fare lezione per in futuro migliorare le cose. Quella fu una grande lezione.
Genoveffa, io non penso che la mafia sia stata piantata da alieni cattivi nella terra dei siciliani che, altrimenti, sarebbero perfetti per natura. Penso, invece, che continuare ad autoassolverci sia un modo per non smettere di farci del male.
Qua parlare di mafia non si può!
Capito mi avete???
Il sondaggio in questione sarà anche scandaloso ma rispecchia una realtà.
Perchè , e come , i ragazzi dovrebbero percepire la forza di uno stato che in questa terra ha soltanto la forma dei divieti di sosta e di vecchie foto sbiadite di 2 eroi ?
Nel sondaggio , tra l’ipocrisia generale ,ha prevalso la realta e non l’idea , la situazione così com’è e non come dovrebbe essere .
Su quello è semplice essere tutti d’accordo .
Inoltre il sondaggio è stato somministrato a studenti del Meli , pensate un pò nelle altre scuole , quelle di periferia , di Brancaccio dello Zen etc etc .
Mi si ghiaccia il sangue …
ammettere che la mafia è piu’ forte dello stato,non vuol dire che la mafia è giusta.
perchè obbietivamente credete che questo stato(sovente alleato e connivente)sia in grado di sconfiggere la mafia?
a parte sacrificare grandi uomini non ho mai visto uno stato presente in sicilia
Nissa dice una cosa giusta. Che merita riflessione profonda.
Caro Puglisi, se siciliano è certamente il braccio del sicario senza scrupoli che ha premuto il grilletto (l’ennesimo traditore della patria, per ignoranza, per bisogno,…) non altrettanto può dirsi della mente.
Avrebbero dovuto insegnarci, sin dalle scuole elementari, che la mafia è “italiana”! La mafia è al servizio della sottomissione della Sicilia all’Italia. La mafia tutela sì taluni sporchi interessi locali, ma con il benestare sostanziale del sistema politico italiano e delle sue ramificazioni partitiche in Sicilia. Così sarà vana. addirittura fuorviante, la lotta alla mafia se concepita – come pure piace ai professionisti dell’antimafia, soprattutto della “sinistra” nazionale, che hanno fondato su questo la loro fortuna politica – come fatto puramente siciliano, non ultimo perché si fa passare un messaggio (errato) subliminale che la “mafia è siciliana”, disponendo favorevolmente nei suoi confronti l’opinione pubblica alla quale si dice in sostanza “o abiuri la tua sicilianità o abiuri la mafia” e non è detto che tutti vogliano abiurare la seconda. Diverso sarebbe se si capisse che la mafia è un “prodotto d’importazione”, messo al potere da Garibaldi nel 1860. Il mafioso apparirebbe subito per quel che è, un patetico “ascaro”, e sarebbe immediatamente isolato.
Per la Sicilia, solo per AMORE di un’Altra SICILIA
Sono d’accordo con Stanton.
Mi è capitato, stamattina, di dare un’occhiata alla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana – Concorsi e ho notato, a pagina 20, (zitto tu e zitto io…) un avviso di revoca di concorsi precedentemente banditi dall’ASL n.6 di Palermo. Tra questi, anche quello a 51 posti di assistente amministrativo indetto nel marzo 2001 e che tanta “aspettativa” aveva creato fra i disoccupati palermitani e non solo.
La mafia è anche una mentalità…
Mi spiace, Genoveffa, non sono d’accordo neanche sulle virgole. La mafia è siciliana doc. E se non lo era in origine (ma non credo proprio) lo è diventata. E lo diventa sempre di più, quando i ragazzi sicilianissimi di una scuola siciliana dicono – sostanzialmente – che con la mafia è fatale conviverci. E lo diventa ancora quando scompare dal dibattito, quando un siciliano l’accetta nel sangue come unica forma di forza possibile e riconosciuta.
Etimologicamente la parola mafia deriva dall’arabo mà fi-ha significante ” non esiste” o “non c’è” ed è vero, bisognerebbe parlare di “cosa nostra”. Come non dare ragione ai ragazzi quando asseriscono di considerare più forte cosa nostra invece che lo Stato, infatti viene considerata, prima ancora che un’organizzazione criminale, una organizzazione di potere, ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illecite, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare politici corrotti, nonchè del supporto di certi strati della popolazione.Ed è proprio qui, dagli strati della popolazione, che cosa nostra attinge la propria manovalanza ecco perchè secondo me bisognerebbe parlare spesso o addirittura insegnare nelle scuole d’obbligo, la parola ANTIMAFIA.
interessante la discrimina sulle radici storiche.Pero’ mi piacerebbe vedere un
elenco recente (diciamo di fatti accaduti negli ultimi 20 anni) dei “misfatti” originati dai mafiosi,
assieme a quelli derivanti da errori
giudiziari,da abuso di potere,da incapacita’ gestionali,da negligenze
di varia natura,da invidie e calunnie,
da malasanita’ e malaamministrazione,
da malafede.
Caro Puglisi, solo se libereremo la Sicilia dalle catene politiche in cui l’hanno ridotta, essa sarà automaticamente liberata dalla mafia, altrimenti – ha ragione Amato – sarà sempre invincibile. E lo sarà perché mentre la polizia taglia qualche tentacolo, la testa (che è a Roma o Milano) sarà sempre al riparo da ogni colpo.
Del resto, briganti e malandrini ci sono sempre stati ma la mafia ha un atto di nascita: il 1860, quando “galantuomini e picciotti” (dicono le fonti del tempo) appoggiarono la marcia dei 1000. Chi erano quei “galantuomini”? Cos’ebbero in cambio?
La nostra Sicilia che ancor oggi giace prostrata ai piedi dello Stivale!
La nostra Sicilia che mai in 3.000 anni era stata mafiosa e la cui unica identità riconosciuta oggi è invece soltanto quella mafiosa. Prova ad andare in giro per il mondo e vedrai di quanto fango ci ha ricoperto un secolo e mezzo di colonialismo italiano.”
sono daccordo con Puglisi, la mafia è siciliana da tempo immemore, il problema è che riuscendo a “contattare” personaggi molto in alto, non so se davvero la nostra regione giaccia oppure no ai piedi dell’Italia, piùttosto temo che siamo noi siciliani esterni alla mafia a giacere.. L’organismo è molto vasto e potente, e di sicuro non sta “giacendo”. Anzi. Credo che sia dietro ogni singola fonte di guadagno siciliano e, perchè no, dietro molte fonti di guadagno nazionali. So di prestanomi illustri e corrotti celebri. Raccapricciante. Purtroppo trovare qualcuno ai vertici che prenda le parti del popolo non mafioso (significa non guadagnare) è come trovare l’ago nel pagliaio, e spesso alla fine non è nemmeno un vero ago. Chi vuol capire capisca.
Cara Eugenia, ti invito alla riflessione dopo aver letto questo comunicato.
300.000 euro per parlare di mafia: chiesta una commissione d’indagine
Marsala 9 e 10 febbraio 2007 – L’ennesimo vergognoso seminario sulla mafia.
Con una durissima e circostanziata lettera inviata al Ministero dell’Università e della Ricerca, l’Osservatorio permanente per la tutela dell’immagine della Sicilia e l’Associazione di diritto internazionale L’Altra Sicilia hanno chiesto che venga disposta un’inchiesta amministrativa sul finanziamento ottenuto da un noto professore dell’Università di Palermo un vero professionista dell’antimafia, per una ricerca sulla psicologia della mafia.
La mafia dei padrini e dei picciotti, arcaica che esiste solo nell’immaginario dei professionisti dell’antimafia edegli utili idioti. Non potendo parlare della mafia, quella del terzo millennio, potente, che ha un giro d’affari annuo pari ad una finanziaria dello Stato, perchè impenetrabile, inserita nel contesto economico finanziario, politico nazionale ed internazionale, la mafia dei colletti bianchi che si insinua silenziosamente all’interno delle amministrazioni e che ha sopraffatto l’arcaica organizzazione che ci vogliono ancora mostrare come viva, i professionisti dell’antimafia ripropongono per la loro esistenza deviazioni locali di delinguenza e di prevaricazione che hanno terreno fertile in aree dove lo Stato è assente.
In particolare l’Osservatorio e l’Associazione hanno rappresentato la vacuità della ricerca in quanto tale che nulla ha novellato di quanto già noto attraverso la lettura dei quotidiani, delle riviste ed appreso da inchieste giornalistiche televisive.
Si chiede inoltre al Ministero di accertare come sia stato possibile accettare, finanziare e definire di rilevante interesse nazionale una ricerca sul nulla. Sciascia molto tempo fa ha gridato al mondo che nel nome della Mafia vivono e prosperano tante antimafie e professionisti dell’antimafia.
Tanti, troppi professionisti dell’antimafia, soprattutto siciliani, sopravvivono grazie solo ai finanziamenti pubblici buttando continuamente addosso alla Sicilia ed ai Siciliani fango e vergogne.
E’ ora che qualcuno intervenga per mettere fine al paradosso tipicamente italiano di vivere parlando di mafia.
Genoveffa, una siciliana all’estero con il cuore e la mente in Sicilia.
Per la Sicilia, solo per AMORE di un’Altra Sicilia
mi trovo in sintonia con AntonioG e Cagliostro. intanto, di che cosa scandalizzarsi? del fatto che i ‘nostri’ adolescenti sono più smaliziati di quanto non fossimo noi alla loro età? e poi, quali sono gli edificanti esempi con cui si misurano ogni giorno?
mi permetto di fare delle notazioni, diciamo, dall’interno, visto che ho a che fare con gli adolescenti ogni giorno:
– l’educazione all’antimafia serve a ben poco se non è supportata da una costante e sana abitudine al dovere e al senso dell’essere inseriti in un gruppo sociale in virtù del fatto che ciascuno è un tassello essenziale per la crescita collettiva
– la scuola oggi è bersaglio facile di pretese assurde: ricordo che il rapporto docente-alunni si è ulteriormente incrementato e ciò genera l’IMPOSSIBILITA’ di agire in classe anche dal punto di vista motivazionale alla corretta interazione tra individui e alla chiara distinzione dei compiti e dei ruoli
– la famiglia, che è la prima e vera agenzia educativa e che non deve demandare a nessuno e a nessun ente i compiti e i doveri che le sono propri, sembra svanire tra impegni di lavoro e crisi esistenziali e, inoltre, non si fida delle istituzioni, soprattutto di quelle scolastiche, nel caso in cui si mettano in luce le falle dell’asse genitori-figli (il che capita l’80% delle volte)
– qualsiasi studente abbia velleità ideologiche, di qualsiasi orientamento queste siano, deve confrontarsi con un sistema di reclutamento dei lavoratori (intendendo con tale vocabolo l’intera capacità produttiva del Paese) spesso, non sempre, poco chiaro, con il dilagante palesarsi del nepotismo (che c’è sempre stato, ma negli ultimi tempi viene esibito come uno status symbol), in un modo tale da essere portato a credere che fare o non fare ciò che gli spetterebbe è un capriccio a cui talvolta può rinunciare senza sensi di colpa.
anch’io insegno in un liceo classico, so per esperienza che gli alunni di un liceo hanno aspettative e retroterra culturale di gran lunga differente da quello degli alunni di altre scuole superiori.
non vorrei passare per retrograda o addirittura reazionaria nell’affermare ciò che comunque è il concetto dominante sui licei: ‘questi’ alunni avranno il compito di dare impulso alla nuova ‘gestione’, anche politica, non solo della loro circoscrizione e della loro città, in alcuni casi addirittura dell’intero Paese: è proprio questo che mi fa venire la pelle d’oca. va bene il realismo, ma l’accettazione di uno stato di fatto, rassegnata e precoce, mi pare l’elemento su cui si dovrebbe riflettere di più.
se qualcuno pensa che la Scuola sia responsabile di tutto questo, perché si fa poca propaganda antimafia, si accomodi pure in una qualsiasi classe: basteranno tre giorni di lavoro per rendersi conto di quanto fatichi chi ‘è impiegato’ a scuola, di quanta professionalità silente ci sia tra le cattedre, delle condizioni poco favorevoli (diciamo così) in cui molti sono costretti a lavorare.
la scuola non è più, da secoli ormai, il luogo in cui si dà forma all’intelligenza, è solo uno specchio di ciò che nel tempo si è creato.
non ho soluzioni né formule magiche, ma credo che basterebbe sempre e comunque dare degli esempi non eroici di normale equità e di schietto senso del dovere. col tempo, forse, l’agire conterà molto più di mille, seppure utili, conferenze e di cento miei inutili commenti.