Tromba in classe
Ci sono cose, botta di sale, che quando succedono, anche se a te non ti cambia niente, pensi: “Sì però ‘unn’è cchiù come prima!”.
Se uno, quando avvicina le labbra alla tromba, ti fa una nota più alta del Do, compa’, c’è picca ‘i fare, hai davanti un musicista, destinato ad entrare nella leggenda.
Perché se uno suona così, se uno se ne fotte altamente dei limiti della sua tromba in Sib, allora non si crea problemi a sfiorare la perfezione.
È uno abituato a tastarla la perfezione, ad infilarci le dita dentro.
Hai davanti ai tuoi occhi uno che, quando serve, è disposto a perdere l’equilibrio per ritrovarselo da solo.
E del resto una specie di leggenda sul Professore Miglia girava già per i locali a Palermo.
C’era chi era pronto a giurare che, da quando aveva appoggiato le labbra al bocchino della sua Blackburn, mai una volta aveva aperto la valvola per fare uscire la condensa dalla tromba.
“Perché cuci’ tu lo devi capire a quel ragazzo.
Lui, quando suona, dentro alla tromba ci sputa pure l’anima.
Anzi alla sua tromba lui l’anima ce la regala proprio!
E, se puta caso, aprendo la chiave dell’acqua, se ne esce pure un po’ d’anima, non è peccato?”.
Quando Giova’ una sera al Malox mi aveva cuntato sta cosa, vi dico la verità, ci avevo creduto.
O perché me l’aveva cuntata troppo bene o perché dopo che mi calo due Corona col sale m’ammucco ogni fissaria.
Purtroppo un giorno di fine Maggio il Professore Miglia diventò il “povero” Professore Miglia.
Lo trovarono alle 11 di un giovedì mattina seduto alla cattedra dell’istituto tecnico in cui insegnava educazione musicale.
Perché al Professore Miglia, minchia se gli sarebbe piaciuto passare ogni santa giornata a suonare la sua tromba nel garage sotto casa!
Ma se lui aveva la passione per la musica, il padrone di casa sua aveva la passione di riscuotere l’affitto e le due passioni necessariamente dovevano essere conciliabili.
Così il Professore Miglia ogni santa mattina andava a scuola a farsi le sue quattro ore di educazione musicale.
La ricreazione del giovedì, lo sapevano tutti, per il Professore era un momento sacro: il giorno in cui si sedeva alla cattedra, se ne fotteva di scrutini e compiti da correggere e con una mano sgranava il rosario e con l’altra cominciava a segnare 1…X…X…2…1…
La schedina, il mitico foglietto di carta che separa l’uomo dalla libertà.
“Commissario taliassi ancora il rosario in mano c’ha”.
“Commissario abbiamo trovato un bicchierino di carta con la scolatura del caffè”.
“Miiii Commissario al Palermo in casa, il Professore c’aveva messo 2 fisso, cos’i fuoddi!”.
Le forze dell’Ordine raccoglievano indizi con dovizia di particolari, mentre il Commissario Salvemini cercava di interrogare i presenti.
“Commissario io so solamente che già c’ho la prima e la seconda e a questi animali della quarta non gliene faccio supplenza…ché poi sempre a me li vogliono dare! Lei lo sa che m’ha detto uno di seconda ieri? «Professorè ma chi mmi cunta ammia di Leopardi? A mè casa assai assai mangiamo crastagneddu una volta all’anno e mi pare ammia che coi leopardi un cci nnè ossa ì spulpare!»… Animali Commissario, sono animali”.
“Commissario, che vuole per me che sono la Preside…capirà…sempre seccature sono, ma già ho risolto tutto…a quelli della quarta per oggi li divido in due classi, ma lei cerchi di fare presto così mi libera la classe prima possibile, eh?”.
“Sì a me me l’hanno detto mentre ero a pisciare che era morto il Professore, schifìo, mischino che era giovane, certo se moriva ieri pure meglio era…no che stamattina mi mise tre! … chè ora cu cciu cunta a me patri”.
Il Commissario ad ogni testimonianza, capiva quanto era inutile quello che stava facendo. Lo faceva perché la procedura richiedeva che si dovesse fare, ma già lo sapeva che di fronte, riverso su una cattedra, aveva un suicida.
Del resto l’aveva intuito subito, buttando l’occhio sul registro, che il Professore Miglia aveva finalmente deciso di aprire la chiave dell’acqua.
A destra sulla colonna rapporti disciplinari il Professore con la stessa bic rossa con cui segnava la schedina aveva lasciato scritto assassino e movente, ricalcando con attenzione ogni lettera:
“La classe mi ha scassato solennemente la minchia!”.
L’ultima nota del trombettista Miglia.
Colonna sonora: So what (Miles Davis).
grande mimmo… è narrato benissimo… i miei complimenti.
l ho letta con le note di “SO WHAT” in sottofondo……
travolgente
cacchio, i brividi mi hai fatto venire!!
…”mi s’arrizzar’ i carni!”
complimenti anche per il titolo oltre che per la narrazione, uno specchietto per le allodole;)
danilo mi dichiaro colpevole per avere commesso intenzionalmente il fatto, insomma mi divertiva l’idea di raccontare qualcos’altro anche con il titolo 😉
Caro Mimmo, sei bravissimo. Posso darti un umile consiglio non richiesto? Non hai bisogno di “camillerizzare” troppo. Il nitore della tua prosa è sufficientemente incantevole. Complimenti.
Assodato il fatto che “nitore” non è una parolaccia, mi piglio complimenti e consiglio.
Io un’altra versione ce l’avrei, ma te la lascio solo immaginare. Grazie per la chicca, che tu sai, e il finale, che tu sai, mi sa che non si allontana tanto dalla realtà…
Io so, io so
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