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domenica 17 nov
  • Ustica

    Ogni volta che salgo su un aereo, io – agnostico convinto e smoccolatore occasionale, in perenne contraddizione ontologica tra i due termini – mando un sms a un prete. Non scrivo niente. Compongo il simbolo di una fusoliera con le ali sulla tastiera. Lui sa. E prega per me. Anche io prego. Cerco di essere morigerato, per fare una buona impressione agli dei e strappare un cenno di benevolenza. Prego per i miei cari, per il mio amore che sarebbe inconsolabile senza di me. Infine, mi metto nel mazzo. Ma sempre cercando di dare l’idea positiva di uno che si preoccupa soprattutto per gli altri. Poi, atterro. E sono pronto a peccare.
    Penso a Ustica. Penso ai riti che ognuno di noi compie, prima di cominciare a volare. È che non abbiamo le ali. Perciò, l’aria ci appare ostica e innaturale. Il nostro stesso corpo cambia ragione sociale. Diventa una cosa ibrida, né uomo, né angelo. È il precariato del cielo. Penso che, in fondo, non c’è molta differenza tra un aereo che arriva e uno che cade. Non nei gesti, non nelle facce e negli stratagemmi iniziali. C’è quella picchiata improvvisa a rendere le faccende assai diverse. Eppure nessuno l’ha mai raccontata. Manca l’altro suono della campana. Cito dall’Ansa: “I pezzi del relitto del Dc9 Itavia che il 27 giugno 1980 si inabissò al largo di Ustica sono stati ricomposti in una installazione di Christian Boltanski nel museo per la memoria della strage di Ustica, inaugurato a Bologna in occasione del ventisettesimo anniversario della strage. C’erano molti familiari di passeggeri del volo Bologna-Palermo caduto, secondo la ricostruzione del giudice Priore, per un atto di guerra compiuto in tempo di pace”. Fine del dispaccio.
    Cosa si può imparare ancora da Ustica? Che l’Italia è un paese di misteri? Perfino banale nella sua crudezza. Che il dolore fa male? Sospetto che si sappia. Forse non si può imparare niente. Solo ascoltare la voce di uno degli ottantuno passeggeri: «Appena arrivo mi tuffo in mare. La
    nonna mi ha detto che Lulù ha avuto cinque cuccioli spero che possa tenerli. Ogni volta che torno a Palermo mi dico che ho fatto bene ad andare a vivere a Bologna. Voglio diventare un calciatore e giocherò nel Milan».

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  • 10 commenti a “Ustica”

    1. Ancor piú di un volo, mi rende irrequieto un volo al di sopra del mare. L’apoteosi dell’innaturalezza. Perché é vero, non abbiamo le ali, ma neanche le branchie o la pinna caudale.
      Io non lo so che cosa ci ha insegnato Ustica. Le conclusioni piú immediate che riesco a trarre sono, probabilmente, anche le piú banali. Le deduzioni piú semplici mi portano a pensare che succedono cose vicino a noi di cui non possiamo renderci conto, che ci sono logiche che non ci é permesso di conoscere, perché non le capiremmo o perché saremmo forse troppo lucidi nel giudicarle. Che c’é gente animata da principi che non sono affatto puri. Che certi “motori” come gli interessi economici o di stato (a mio avviso tante volte parenti stretti gli uni degli altri) muovono macchine che non esitano a calpestare altri valori, comunemente considerati piú importanti. Che per quanto si possa essere sospinti da buone intenzioni e godere dell’appoggio dell’opinione popolare, per quanto si lotti con tutte le proprie forze accanto a validi compagni, a volte si va a sbattere contro dei muri di gomma. Che é difficile, quasi impossibile, accettare e rassegnarsi a credere che le cose possano andare cosí.
      Tutte conclusioni banali, che sembrano uscite fuori da un bel film moralista o dalla penna di uno scolaretto che scrive il tema in classe. Eppure non riesco a fare altro.

    2. Invece credo che siano pensieri pesanti. Ne aggiungo uno: la verità si conosce o si immagina, solo quando non serve più.

    3. Una considerazione assolutamente personale: puó darsi che una veritá, tardiva o no, non serva a riportare in vita qualcuno o a lenire il dolore di quelli che in vita ci sono rimasti. Peró credo che, in casi come questo, continui ad essere un atto doveroso la sua ricerca. Non perché sarebbe una consolazione o la prova che questo mondo non é poi cosí ingiusto; in fondo per me continuerebbero a “valere” le deduzioni del mio post precedente. Ma perché sarebbe comunque la veritá, al cui accesso dovrebbero avere diritto tutti coloro i quali, per ragioni diverse, volessero conoscerla.

    4. Nella Storia di Roma Livio scrive questo verso: “Si dice che la verità spesso soffra, ma non muore mai”. Che venga fuori, allora.
      Complimenti Roberto per il modo personale e garbato con cui hai fatto nuovamente riflettere su questa vicenda.

    5. come spesso accade, gli scritti di roberto puglisi mi colpiscono profondamente. succede, che uno legge e si ritrova in maniera quasi esatta nelle parole che sta leggendo, come a dire “è ciò che ho sempre pensato anche io” solo che magari non si riesce ad esprimere con la stessa facilità, oppure si pensa che le sensazioni debbano restare dentro, che gli altri non abbiano voglia di starti a sentire, di ascoltare i tuoi moti di indignazione, la tua rabbia, la tua angoscia nel vivere e accettare quotidianamente soprusi, illegalità, mancanza di cura e attenzione per quel bene comune che invece dovrebbe motivare ognuno di noi, per vivere meglio.
      quando parto in aereo penso SEMPRE a ustica, penso a cosa devono aver provato i passeggeri, l’equipaggio, ogni età e ogni ruolo restituiscono una sensazione, una paura diversa. in pochi istanti i bambini si saranno aggrappati ai genitori, i genitori (da madre lo immagino con angoscia) avranno percepito con terrore la fine dei loro figli, l’equipaggio avrà capito che non c’era speranza di sopravvivenza e tutto è finito in pochi attimi.
      poi negli anni si vede come le vite degli altri siano ben poca cosa rispetto ai segreti di stato, alle connivenze, si vede come tanti fatti, tante stragi in italia siano senza colpevoli, mentre ci sono parenti che hanno il diritto di sapere, di avere finalmente una piccola pace interiore, mentre invece tutto è sempre una beffa, e la verità non arriva.
      c’è un libro uscito da poco “il paese della vergogna” di daniele biacchessi, che parla delle tante stragi di cui non si sapranno mai il mandante nè le motivazioni.
      fare memoria, avere chiaro dentro di sè che il senso di giustizia, di legalità, serve alle persone per vivere con dignità e rispetto, sapere che avere coscienza del nostro passato è indispensabile per dare un senso al nostro futuro, tutto questo non può scivolare via dal nostro cuore, dalla nostra mente, soprattutto per noi siciliani che ad ogni angolo di strada troviamo una lapide che ricorda un uomo ucciso perchè credeva nella legalità, nella giustizia, ed è stato lasciato solo. tocca a noi fare in modo che non ci sia solitudine, abbandono, dimenticanza. per noi stessi, per la nostra vita, e per quella di chi non c’è più.
      magari ad alcuni potrò sembrare retorica, non lo so, però troppo poco si riflette e ci si confronta su temi che riguardano il senso generale della vita, della nostra presenza e del nostro impegno.

    6. Bravo Puglisi, un racconto in punta di piedi per una tragedia grande, troppo grande. Anche dopo 27 anni.

    7. Ustica l’apoteosi dell’essere italiani

    8. Grazie per questa memoria condivisa.

    9. Quel volo è un libro che nessuno ha letto, un’antologia di storie che hanno lo stesso epilogo. Una la conosco pure io, ha a che fare con due amici ed un cane. Tante pagine splendide ed un finale tanto stupido quanto una guerra in tempo di pace.

    10. vi invito a leggere questo fumetto
      http://www.beccogiallo.it/?pagina=pagina_generica.php&id=104
      della stessa collana di “Brancaccio – storie di mafia quotidiana”

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