Awful e very awful
Non è che non lo vorrei in classe con mia figlia perché è malato, solo che i ragazzi si traumatizzano.
No, non è una storia come quella di Fulvio Frisone, anche se queste due dialoganti avrebbero dovuto vederlo il film su questo eroe in carrozzina. Questo dibattito me lo sono sorbito al supermercato, cercando di ricordare se le ciliegie a casa c’erano oppure no.
Sì, vero, in gita come te lo porti uno così? E dove si deve mettere? Con chi si siede? Chi se lo deve accollare come compagno di studi?
In pratica un compagno non conforme alle regole è disturbante, impedisce ai ragazzi di viversi la loro sacrosanta scuola media, costringendoli a responsabilizzarsi e a comprendere una serie di parametri lontani dalle loro abitudini.
Ho capito che il ragazzino era “tipo down”. Storie di periferia, tutti conoscono tutti. Dice che ce l’aveva avuto il figlio di Lina alle elementari, come compagno. Io, in attesa che la giustizia divina facesse franare sulla loro testa l’intero reparto di deodoranti “un po’ così”, ho cercato di ricordare la mia prima media. No, a memoria nessun down, nessun “tipo down”, nessuna carrozzina. Una classe perfetta, età media 11 anni, tutti sani, fino a novembre. Poi un giorno la prof ci parlò di un ragazzo “difficile”, da togliere dalla strada per provare a dargli un senso civico. Aveva 16 anni, molti tic nervosi, l’aria dissociata, sofferta e si esprimeva molto a fatica. Le madri esplosero in un dissenso assordante. Le madri non volevano parametri lontani dalle loro abitudini. E neanche io. Io dissi: mettetelo in terza E, che un paio di sedicenni ci sono già.
Non dimenticherò mai il giorno in cui arrivò in classe; era molto impaurito e la sorte me lo piazzò nel banco dietro al mio. Strano era strano, mica dico no. E io lo odiavo. Non c’entrava niente questo con la barba, che disturbava un’ora sì, l’altra pure, nella mia classe. Io lo guardavo con sufficienza: con me non devi scherzare. E lui ci rimaneva male. Lui era così: scherzava. Mentre la prof temibile snocciolava l’Iliade lui se ne usciva con una frase tormentone e tutti ridevano. Io no. Una volta spacciò un suo compito d’inglese come mio, firmandolo col mio nome. E la prof me lo consegnò: Vassallo, very awful. Allora mi toccò spiegare che non era il mio, che il mio compito era un altro, che forse la pensione era alle porte perché: potrei mai fare un compito del genere? Alla fine usciva fuori, il mio compito e lui si avvicinava col banco per vedere quanto avevo preso e poi commentava: tutto ‘stu bordello e pigghiasti awful. Sei awful. E poi quando ero fuori e c’erano i malacarne bastava essere con lui e sparivano tutti. Io poi l’ho capito che questo mi voleva proprio un gran bene. Io ero serioso, snob e tutto griffato e a lui ‘sta cosa non andava giù. A modo suo cercò di spiegarmi che l’abito non fa il monaco e che lui si poteva grattare i vestiti firmati quindi non c’era nessuna differenza tra me e lui. Col passare del tempo non diventò un’icona, né una mascotte, né un totem, né un fratello maggiore, né una qualsiasi cosa detta giusto per escluderlo con carinerie di sorta. Lui diventò uno di noi, ma veramente. Ancora oggi penso che tanti, illustri e cotonati consigli non valgono una cicca davanti a ciò che lui poteva dirti, a modo suo, con le sue massime di vita, che venivano dalla sofferenza pura. Era giusto un angolo che dovevi girare, per capire come a volte il mondo gira stronzo. E tu lì non ci devi andare mai. I nostri posti erano spesso vuoti: lui per le cure dal neurologo, io perchè m’abbuttava ad alzarmi. Lui era un very awful.
L’anno dopo non c’era più; evidentemente non aveva sviluppato il senso civico. Anni dopo lo incontrai in piazza, io passavo con la moto. Lui mi urlò uno dei suoi soliti tormentoni. Io ho fatto finta di niente e appena girata la curva sono scoppiato a ridere. Gli avrebbe fatto piacere sapere di avermi strappato un sorriso ma noi awful siamo fatti così.
Samuele, un’esperienza del genere non può che trovare l’approvazione e il consenso di tutti.
Il problema però, è che spesso, troppo spesso, le cose non vanno esattamente così.
Quest’anno, mia figlia ed i suoi compagni(seconda media) hanno avuto un ospite ingombrante, in tutti i sensi. Un ragazzo “con qualche problema di adattamento” di 1,85 metri di altezza per 90 chili di peso. Naturalmente, il problema non era lui, o almeno non solo lui, ma la scarsa assistenza e presenza del povero insegnante di sostegno, che veniva regolarmente malmenato dall’energumeno. Il ragazzo insomma era quasi sempre abbandonato a se stesso e quindi concentrava le sue “attenzioni” sui compagni: ogni giorno era un bollettino di guerra di botte, spintoni e quaderni strappati per le vittime di turno. Gli insegnanti, da parte loro, cercavano di fare del loro meglio, anche se “far finta di nulla” come sostenevano spesso, non otteneva risultati apprezzabili: insomma è stato un anno scolastico molto difficile per i ragazzi e per noi genitori.
Sono perfettamente d’accordo di quanto sia importante l’integrazione dei cosiddetti “diversi”, ma è fondamentale che ci sia, da parte delle istituzioni, piena consapevolezza che l’impegno deve essere di tutti.
Film consigliato: fuga dalla scuola media di Todd Solondz.
Storia bella e profonda, come è tuo costume. Nel rifiuto della diversità, c’è la paura della contaminazione: di assorbire il dolore, o la puzza, o la sfortuna. Da militare, mi toccò una notte di guardia con uno che odiavo – riodiato – per classismo e razzismo. Dopo i primi minuti, mi parlò delle stelle e delle sue notti da pastore con tali accenti di verità e poesia che io ricordo ancora quella notte come una delle più belle della mia vita.
Purtroppo per capire “certe cose” bisogna trovarcisi dentro fino al collo…ma per fortuna queste stesse “certe cose” prima o poi toccano tutti.
Samu bravo come sempre ( ma ormai non vale, tu la cubito e..qualche altro andreste bene nella categoria fuoriclasse).
Riguardo al tema del post, bè mi astengo da commenti perchè troppe e tante sono le cose che vorrei dire (il problema ha mille sfaccettature).
Una però ( la più “leggera”) te la scrivo (anche se magari non ti fà piacere), menomale che con gli anni sei cambiato (credo), e menomale che l’ho fatto anch’io; menomale che ci separano 10 anni perchè….io in classe con tè…” dù PAPAGNUNI n’tà facci ti l’avissi ratu”.
Spero apprezzi almeno la sincerità. 😉
“Ai miei tempi” ancora di queste cose non se ne parlava. Io 22 anni fa facevo la prima elementare. Non se ne vedevano di “persone scomode” nelle classi, non se ne parlava, forse anche si sconosceva l’esistenza. Erano mosche bianche. Di insegnanti di sostegno nemmeno l’ombra, ed i genitori preferivano “tenerli a casa”, protetti dal silenzio di tutti, o lasciarli per strada, che tanto il loro destino era quello della “vita difficile”.
Però ricordo che allora si temevano le scarse condizioni igieniche. Era il terrore delle mamme, il tutto riassunto in un’unica parola: “pidocchi”.
Ed era vero, quella mia compagna di classe li aveva, ed era vero, la sua famiglia e la sua casa non erano pulitissime e lei nemmeno. Però era una bambina. E ricordo che quando arrivò da noi non sapeva ancora leggere e la maestra pensava a far andare avanti noi. E lei si vergognava. E ricordo che io le diedi una mano. Perchè quando lei era sola, in fondo alla classe, e nessuno voleva sedersi accanto a lei, i suoi occhi, di bambina, si bagnavano di lacrime che dava a stento a vedere.
I bambini, spesso, sanno essere cattivi tanto quanto i grandi. E questo l’ho scoperto presto.
Ciao, l’insonnia mi porta da voi e vi rispondo con piacere.
Fabrix, innanzitutto un plauso a voi genitori e agli alunni: avete provato, avete resistito. Anche questo ragazzo, sicuramente, “non aveva sviluppato il senso civico”. E non ve ne fate una colpa. Confido, speranzoso, nei prossimi giorni, nell’intervento di un insegnante.
Roberto grazie, per le parole e per questo colpo di tacco che mi sono ritrovato tra i commenti…
MariaLuisa, “purtroppo” hai ragione
Tommaso, i papagnuni, a ripensarmi con l’Henry Lloyd e la faccia da schiaffi (per l’appunto eheehhe) me li darei pure io. Però ero in una fase di studio… avevo le Timberland e mi commuovevo ascoltando Albergo a ore e una canzone di Venditti, Ciao Uomo. P.S. Categoria fuoriclasse non me la sento… awful va bene 😉
Lixia, i pidocchi, la puzza (come diceva Roberto)e il cinismo dei bambini. Se mai ripasserai da qui, ti consiglio un libro, ci vuole molto fegato per leggerlo, però: si chiama “Bambini assassini” edito da Stampa Alternativa.
Ciccio, come ti ho già detto… nì … ricordo qualche passaggio, perchè quella sera c’era Moretti (la birra dico eheheh).
Grazie Samuele…
prendo nota del libro e a questo punto lo metto in coda a quelli già in previsione di lettura e lo comprerò quanto prima. Non riesco a resistere ai consigli letterari…