Amazzonia
Immaginate di atterrare su un nastro di palme e mangrovie, sorvolando infinite distese di verde alternate da disegni spiralici di un serpeggiante fiume: benvenuti in Amazzonia.
Quando si apre il portellone dell’aereo si viene subito investiti da quel profumo tipico del clima equatoriale. Dopo venti minuti ci si abitua e quel profumo svanisce pian piano, ma lo si ricorda per sempre…
Il bacino Amazzonico comprende un’area di quasi 7 milioni di km², che si estende dal Brasile al Venezuela, Colombia, Perù, Ecuador, Bolivia e Guyana. La foresta tropicale, che rappresenta un terzo delle foreste dell’intero pianeta, oggi è in pericolosa diminuzione a causa del costante disboscamento degli ultimi anni.
Ma si sa: l’uomo deve sbattere la testa milioni di volte prima di capire le cose…
Dal versante peruviano, il volo da Lima a Iquitos è letteralmente terrificante.
Se da un lato si sopravvive al terrore di uno schianto contro le Ande, dall’altro si rischia il trauma psicologico nell’atterrare in un micro-aeroporto nel cuore della giungla.
L’aeroporto di Iquitos ha una sola pista, dalla quale atterrano e decollano non più di 5 aerei al giorno, dopodiche…chiude! E quando metti piede a terra, e baci il suolo per essere sopravvissuto, non puoi fare a meno di notare due carcasse bruciacchiate di due aerei precipitati in Amazzonia 10 anni fa…e lasciati in bella vista a mo’ di monumento al terrore umano.
Dall’aeroporto si prosegue con una navetta che dondola pericolosamente come il galeone della Fiera del Mediterraneo: Questa navetta è carica di passeggeri umani, animali e vegetali. Sì, perché la maggior parte degli umani puzza come un animale o nel peggiore dei casi, gli umani trasportano una gabbia di galline o qualche ortaggio maleodorante e non ben identificato.
Visto dagli occhi di una siciliana il sistema dei trasporti pubblici di Iquitos non è tanto differente da quello nostrano.
Molti ragazzini, ma anche adulti, salgono sulla navetta a scrocco e quando il controllore monta sul mezzo per il controllo dei biglietti è il panico generale. Il fuggi fuggi.
Ho visto anziani apparentemente paraplegici fare i centro metri olimpici in un nanosecondo.
Ad Iquitos, unico centro civilizzato alle porte del Rio delle Amazzoni, la prima cosa che sorprende sono le case: costruite interamente in legno, i tetti coperti di foglie di una palma chiamata yirapay.
Attraversiamo il centro per raggiungere il quartiere di Belen, una città galleggiante di case di legno, per metà dell’anno sommersa dalle acque: le case, le botteghe, le scuole, i bar di Belen sono di due tipi, galleggianti o fisse.
Il mercato di Belen è un luogo esotico nella più alta accezione del termine. Un groviglio di strade dove le bancarelle sono vicine l’una all’altra, la musica, le voci, le grida, gli odori tanto intensi da stordire. Esploriamo la zona dei curanderos, i medici-sciamani che secondo la tradizionale medicina indigena curano a base di piante, radici, liane, resine e pozioni di fiori ed erbe, sostanze animali e minerali dai poteri magici. Ci viene proposta una esperienza sciamanistica con formula “paghi 2 e prendi 3”. Sciamano + protezione spirituale + Ayahuasca: una pianta allucinogena il cui uso è legale in Perú.
Un indio mi racconta di come ha ottenuto i denti del jaguaro che porta appesi al collo e aggiunge che, proprio durante la cerimonia Ayahuasca, abbia visto l’animale in sogno e abbia capito dove andare per catturarlo e ucciderlo.
I grandi felini erano considerati guide spirituali, con i quali erano necessarie lotte leali per dimostrare il proprio coraggio.
Oggi invece molti indios, grazie al lavoro dei missionari, credono negli angeli, Dio e la Madonna.
I missionari hanno insegnato loro lo spagnolo, li hanno resi pacifici e sotto certi aspetti oggi gli indios vivono meglio di prima… Fin tanto che il denaro non comincerà ad attirali verso la disgregazione morale e la via dell’alcool, seguiti dalla fase della depredazione delle risorse del loro ambiente.
Domando all’indio quale fosse la religione prima del cristianesimo e lui risponde che semplicemente non si credeva a nulla, si viveva e basta. La vera maestra è la natura, non i “Signori” della chiesa.
Proseguiamo il nostro viaggio dalla regione del Loreto alla riserva di Pacaya Samiria, dove a tutt’oggi vivono tre delle principali comunità Indios: i Bora, gli Okayna e gli Jibares, indigeni dalle parti intime penducolanti in bella mostra.
Le donne Jibares lasciano solo i seni scoperti, che per quella stupida storia della forza di gravità, sono calati come le foglie di Kenzia. Si riuniscono ogni domenica sulle sponde del Rio delle Amazzoni per un banchetto che si estende a tutta la comunitá indigena. Mi ricordano tanto gli indigeni domenicali del parco Favorita, dove tra un cespuglio e l’altro abbondano donnine seminude dalla pelle scura…
Gli indios Jibares sono gente semplice, non corrotta dalle convenzioni della vita moderna.
Tiro fuori la digitale e un gruppetto mi sommerge a spintoni per ammirare con stupore il miracolo del monitor.
Bevono un intruglio che loro chiamano “birra della giungla” e ruttano come lavandini disgorgati dall’idraulico liquido. In seguito portano anche a me una coppa con un liquido bianco dentro…sapevo di incorrere in questo pericolo, e so anche di come sia poco cortese non berla.. Il beverone, o birra della giungla, è un composto di yucca masticata, sputata e fermentata, che sapeva di acido e rancido: una cosa davvero schifosa. Fingo alcuni sorsi, mentre arrivano gli altri compagni di viaggio e con raffinata perfidia passo subito la coppa ad un brasiliano. “Agua de coco” gli dico e gli strizzo l’occhio prima di eclissarmi. Noto che al primo primo sorso la faccia gli si scompone letteralmente,proprio come in un quadro di Picasso. Brucierò all’inferno.
Il nostro capanno all’interno della riserva è interamente sostenuto da palafitte in legno sopra la palude, dove oziava beata una intera famiglia di caymani. Premettendo che nella regione amazzonica vivono circa 2,5 milioni di specie di insetti; almeno tre quarti di questí si saranno infiltrati nella mia stanza, già precedentemente occupata da due rane tropicali, uno scarafaggio e una manciata di ragnetti nel bagno. E a causa della mia innata aracnofobia, sono costretta a dormire con l’occhio socchiuso da guardia giurata.
Ma in fondo siamo in Amazzonia…
La prima escursione in programma prevede l’attraversamento del letto di un’affluente del Rio Amazonas dove un impavido gruppetto di personaggi internazionali si apprestava a vivere l’esperienza traumatica: una siciliana, un australiano, una francese e un brasiliano “a bagnomaria” nelle melmose acque del fiume.
Ripetuti colpi di: “Minchia che schifo! Shit! Putan! Meu Deus! Riecheggiavano in un coro multilingue di esclamazioni poco gradevoli, tra il terrore dei piranhas e l’odore altrettanto poco gradevole dell’acqua stagna.
Ma in fondo siamo in Amazzonia…
Coloro che dell’Amazzonia conoscono esclusivamente i colpi di sole del coiffeur in via Principe di Villafranca, nella Amazzonia “vera” dovranno fare i conti col proprio spirito d’adattamento. Il sesso debole, infatti, dovrá mettere da parte trucco e parrucco e familiarizzare con ciò che la natura mette a disposizione. Le donne potranno finalmente smettere di strapparsi i peli, svernare in bagno come le talpe d’inverno e inchiodarsi le chiome con lacche e schiume per l’immutabile frangia alla Tatangelo. Parola d’ordine Nature.
I prodotti per capelli, ad esempio, vengono facilmente sostituiti con olii naturali super-nutrienti che le donne Indios usano da sempre. Dopo due settimane di estratti esotici i capelli appaiono lucidissimi, ma anche impiastricciati e uniti come dopo una settimana di influenza!
In Amazzonia ci si muove principalmente per fiumi, a bordo di improbabili zattere messe insieme da quattro tronchi legati tra loro. Qualche rara volta si puó disporre di una barchetta a motore, ma è essenziale partire ben organizzati da Iquitos prima di addentrarsi nella giungla, dove come per la selvaggia A29 PA-TP non esistono rifornimenti nel raggio dei prossimi 200 Km!
Al villaggio di Pacaya Samiria oggi sono scoppiate le fognature e con le zanzare ormai ci diamo del tu.
Ma in fondo siamo in Amazzonia… O forse era Mondello?
Ci mancava pure questa!
Sono a casa impegnato nei miei casi quando mi telefona, disperato, un mio carissimo amico Mario.
Stava preparando, assieme alla moglie, la valigia per andare a trascorrere il fine settimana (beato lui!) a S.Vito Lo Capo.
Mi dice: “Eravamo felici, io, la Sonia, Michelino e magari la nonna Rosina. Staccavo da quel ce.. di ufficio, avrei affittato il pedalò a San Vito. Magari avrei fatto una sosta a Castellamare per le cassatelle. Tutto era ok, quando la Sonia – prima di partire – decide di dare un’occhiata alla posta elettronica. Poi passa per Rosalio e che ti legge? Un post sull’Amazzonia! Sente di Iquitos, del Rio delle Amazzoni, etc, etc. E qui comincia la “sciarra”!
E tu dove mi porti? Quella lì che scrive cosa c’ha più di me? Sei il solito tirchio! Il solito morto di fame!
Il risultato è che si è barricata nel ripostiglio. Io attendo: almeno fino a quando non finisce la scorta d’acqua nel frigorifero. Dopodichè chiamerò i pompieri per forzare il camerino e tirarla fuori (e recuperare un’altra cassa d’acqua minerale!”
“Ed io cosa posso farti? Sono impegnato, ho da fare. E poi: ci potessi andare io a San Vito…”
“Ma sei o no il mio migliore amico? Allora devi venire qua a convincere la Sonia!”
Dico, con i casini che ho, ci mancava pure Mario e Rosalio…
sono appena tornato da sanvito locapo con la famiglia…. e tanti ma tanti anni fà mi trovavo ,in viaggio da solo, a Belem nello stato del Parà dove trovi la foce del Rio delle amazzoni,avrei dovuto prendere il barco per Manaus ma poi scelsi una piccola isola, Algodoal …
che posso dirti:
c’è un tempo per tutto,l’importante è mettersi in viaggio qualunque sia la meta e i compagni…
pequod
Sono stato quattro anni fa in Messico, sei anni fa in honduras e guatemala e ogni volta ho vissuto per lunghi mesi le esperienze più surreali che si possano raccontare. Questo bel post di Alice, divertente ed intrigante, mi fa venire voglia di rimettere le ali ai piedi come quando attraversai in autostop il messico per giungere nel deserto di Virikuda, o giù di lì, e accamparmi per una settimana col mio amico alex tra serpenti assonagli, coyote e scorpioni velenosissimi, turisti new age alternativi, altrettanto pericolosi, falsi sciamani e veri uomini di medicina huicholles (non mi ricordo come si scrive). Ora è meglio che mi fermo perchè se no scriverei un libro di getto. Il punto è che quando sei in viaggio, parlo del viaggio, e non del turismo, ti accadono gli incontri più surreali e straordinari, vivi le coincidenze significative più incredibili, la vita ti mette nelle condizioni di camminare senza sapere verso dove ma guidandoti e mettendo accanto a te angeli custodi che ti conducono dentro il cuore del mistero, il tuo percorso si disegna da sè attraverso il dono e la presenza degli altri, e quando torni alla tua vita di ogni giorno a Palermo (città, per altro, meravigliosa per un viaggiatore: Wenders ci sta facendo un film)ti ritrovi a girare sempre nei circoli viziosi di una vita che perde il mistero, perde le coincidenze significative, prende le tue energie, ritornandoti pochissimo. Allora ti sforzi di vivere con quello sguardo stupito del viaggiatore, ma è questo il punto: in viaggio non era uno sforzo, tutto accadeva spontaneamente, qui entri dentro un rompicapo che si costruisce con le tue energie che si dissipano dentro circuiti auoreferenziali e dinamiche comunicative cancerogene. Ti senti dentro una spirale parassita,il desiderio diventa una domanda a cui non c’è risposta,vorresti essere sorpreso dagli eventi e il massimo di imprevedibile che succede è vedere Cammarata che salta sopra il carro e grida “Evviva Palermo e Santa Rosalia”. (non c’erano soldi per farci salire un attore, un comico, un buffone e allora ci ha pensato da solo). Per rifarti puoi andare alla festa di liberazione la cui atmosfera e il cui motto “libera la sinistra dal basso” ti fa venire voglia di andare in bagno e liberarti veramente di un peso dal basso (ah se la sinistra stesse veramente nel basso, tra la gente!) Insomma per farla breve qui tutto (musica, esperienze lavorative, impegno sociale, politica, amore ecc.) finisce “a fischi e piriti.” E allora la vera terapia è l’ironia dell’amico la cui donna è chiusa nel ripostiglio. E’ meglio rirderci sù e sognare con Alice altri viaggi. A proposito ma che ne dite di questo mese di agosto senza concerti a causa della mancanza di fondi? Che città misteriosa per un viaggiatore, così intricante da farci un film, e così scontata per chi vive con questa amministrazione. Alice viaggia e scrivici, continua a farlo per noi che restiamo qui con Diego. Salta tu sopra il carro l’anno prossimo e grida la nostra voglia di incontrare ciò che è nuovo ogni giorno. A te crediamo. Ora basta. Io esco dal mio ripostiglio in cui sono rinchiuso, il bagno dove ho appena finito di liberare la sinistra dal basso,e, forse,perchè no, in attesa di vedere al cinema la Palermo di Wenders che stupisce, mi faccio una settimana a San Vito anch io. E se incontrassi Sonia, la moglie dell’amico di Mario?
Viva Palermo e Santa Rosalia!
Una idea e se proponessimo, per risparmiare i fondi sperperati per la campagna elettorla, a Cammarata un concerto con la sua nuova band di assessori e consiglieri?
Quali?
Adesso che è salito sul carro, vogliamo vederlo saltare su un palco e cantare l’inedito “adesso che sono stato rieletto so c…. vostri”