La New York degli zii d’America
Era un sogno che si portavano dietro da decenni.
Molti di loro ancora ragazzini,con i pantaloni corti, salirono a Messina sul ferry-boat
per raggiungere il continente e poi Napoli, da dove attraversarono un oceano di speranze.
Li rivedo ancora, in piedi al freddo sui pontili delle navi a vapore per scrutare l’orizzonte,
e come in un malinconico film di Tornatore puntare il dito sulla bella Miss Liberty che svetta all’entrata del porto del fiume Hudson per poi gridare all’unisono “America!”.
I discendenti di quegli stessi Siciliani si sono in seguito ribattezzati Sam (Salvatore), Connie (Concetta), Joe (da Joseph, Peppino) ed oggi negli Stati Uniti hanno aperto bar e botteghini, industrie tessili e dolciarie, ristoranti e panifici.
“Mi ‘nni issi a’ Amierica” sospirava scherzosamente un mio zio, E in America ci andò davvero, dove aprì uno degli allora piú celebri ristoranti degli anni ’50 sulla quinta strada newyorkese.
New York è un esperimento di vita continuo. È ricca e incredibilmente povera, sporca e pulita, orribile e meravigliosa.
Lungo l’Hudson si respira tutta la frenesia e l’energia di Manhattan e dei suoi grattacieli. Qui è possibilie fermarsi un attimo, chiudere gli occhi e lasciare che un brivido ci percorra la schiena, perché questo è l’effetto che ti fa New York.
Ma l’America che sto cercando adesso è un’altra: è una America di foto sbiadite e vecchi ricordi, di parenti mai visti, di cartoline di Natale con le luci di Manhattan… L’America di tutti gli emigrati siciliani.
Dopo avere passeggiato per Central Park, fatto shopping a SoHo, visitato il Guggenheim e scattato la prevedibile foto sotto Miss Liberty, sono andata in cerca dei miei “zii d’America” o di ciò che fosse rimasto di quella fetta di famiglia emigrante.
Da Canal St. percorro la famigerata Mulberry St., meglio conosciuta come “Little Italy”, e l’atmosfera sembra essere quella di un modellino in scala di una festa del patrono italiana. Anche le persone sembrano fac-simili.
In realtà i veri quartieri italiani sono Bensonhurst e Dyker Heights a Brooklyn, ma questo suppongo lo sappiate già.
Durante il mio soggiorno newyorkese, nel continuo confronto tra italo-americani e americani purosangue, mi sono resa conto che purtroppo, secondo molti americani e in barba ai secoli di storia e cultura, ci pesano addosso secoli di fame, ignoranza e stereotipi infamanti. Perché questa è l’immagine attribuita ai siciliani grazie ai media, nonché alla identità culturale che ci lega proprio agli zii d’America.
Gli zii d’America arricchiti, che camminano col pataccone d’oro e l’abito nero gessato anche
per portare il cane a spasso.
Gli zii d’America dall’inglese napoletanizzato, che costellano il giardino delle loro villette nel New Jersey con inquietanti statuine in finto-liberty e fontanelle col l’enfant-qui-pisse tra i roseti in fiore.
Gli zii d’America che hanno lavorato sodo per costruirsi un tetto sopra la testa, e che partirono verso l’ignoto. Senza sapere quale sorte li attendesse, con il solo orientamento di un indirizzo di qualche parente o compaesano che li aveva preceduti.
Da Il padrino, a Gli intoccabili, Good fellas e per ultima la nota serie televisiva de The Sopranos.
L’immagine dei siciliani e degli italiani in genere si riduce, a “pizza, mafia e spaghetti a profusione”. Dove gli zii d’America sono circondati da madri invadenti, afflitte da un cattolicesimo superstizioso d’altri tempi e da sorelle nerastre e baffute.
Mi ritrovo a chiacchierare allo Starbucks tra la 29th e Park Avenue con un lontano parente,
che tra un “frappuccino” e l’altro mi spiega con orgoglio che, alla faccia degli americani, oggi sono ben lontani i tempi in cui i siciliani sbarcavano a Ellis Island con, nel fagotto, la speranza di un futuro migliore.
Secondo un censimento della fondazione “Sons of Italy”, gli zii d’America sono più colti della media degli statunitensi, abbandonando la middle-class per assumere sempre piú posizioni di leadership.
Ma se Hollywood continuerà a sfornare altri Al Capone e Lucky Luciano, davanti ad una simile propaganda televisiva, diventerà piuttosto difficile svincolarsi completamente daglle etichette sociali legate ai siciliani di cui non è del tutto aliena neppure una società multietnica come quella americana.
Etichette, peraltro, legate a un concetto di sicilianità davvero superato, dove persino
gli stessi zii d’America stentano a credere quanto più evoluta e cosmopolita la Sicilia, seppur portandosi dietro i propri antichi problemi, sia divenuta dai tempi dell’emigrazione dei loro padri e nonni.
Ma forse agli americani sembra “più colorato” ricordarci in bianco e nero.
Oggi il sogno americano rivive anche tra le nuove generazioni.
l’opportunità di studiare in prestigiosi centri universitari e lavorare in aziende ad alta tecnologia , o semplicemente l’attrazione di un nuovo stile di vita, continuano ad esercitare un affascinante richiamo per molti di noi, facendoci rivivere l’esperienze dei nostri zii d’America rivisitata in chiave contemporanea.
Le generazioni cambiano e si evolvono, ma lei è sempre lì: La stessa Miss Liberty che ha nel capo una corona a sette punte, simbolo dei sette mari e dei sette continenti verso i quali diffonde la libertà, che accoglie dall’alto i figli, nipoti e parenti di quei zii d’America, che oggi viaggiano naturalmente in aereo.
Pur non essendo mai stato a NY (è nella luuuunga lista dei posti da visitare) ed avendo visto come vivono i nostri “compaesani attraverso i servizi giornalistici, ho l’impressione che gli italoamericani siano paragonabili ad un vecchio un fim italiano degli anni ’50. Una fotografia in B/N di un’Italia ed di una Sicilia ormai lontana, di luoghi scomparsi (i cugini americani che ritornano a Cinisi stentano a ritrovare il paesello che avevano lasciato negli anni 50-60′) e tradizioni e costumi ormai inghiottiti dai tempi moderni. Ovviamente, quella che non è cambiata è la Mafia… anzi, dai tempi dell’immigrazione è diventata una multinazionale del crimine che non ha nulla a che vedere con la visione pseudo-romantica dei Sopranos.
Tutti doveva portarsi mio nonno in America e non lasciare la metà dei figli in Sicilia …. Chi è rimasto ha avuto la sensazione di trovarsi nella metà sbagliata (ricordate la barzelletta?) chi è andato dice che “in realtà l’America è in Sicilia”. Mi piace pensare ..o sognare.. il fatto che c’è mancato veramente poco perchè anch’io, figlio di chi si è ritrovato nella metà sbagliata, studiassiassi in quelle megagalatiche università americane (piene di …fate voi) anche se in realtà molto propabilmente mi sarei ritrovato dietro il bancone di un negozio di frutta e verdura e anche se è vero …. l’America è quì …a Palermo.
Versione romantica o Versione corporate che sia, Hollywood non sminuisce mica certi diffamanti stereotipi…
Saranno pure “diffamanti stereotipi” come li definisci tu, ma io mi chiedo in quale altra parte del mondo sia potuto accadere che siano stati trucidati presidenti di regione, dirigenti di partito, sindacalisti, giornalisti, magistrati, consiglieri comunali, semplici cittadini, onesti professionisti, donne e bambini inermi ed incolpevoli. E dove accade che opifici, negozi, alberghi e ristoranti vangano dati alle fiamme solo perché qualcuno ancora resiste alla logica del pizzo? E, poi, diciamola tutta: certi ingenui (?) reportage mi irritano abbastanza mentre indifferenti assistiamo alla apocalittica distruzione di un secolare ed inestimabile patrimonio ambientale.
Le piaghe del pianeta sono tante liolá…dai fermenti politici e crimini contró l’umanitá in Colombia, in Russia, alle oppressioni dittatoriali in Zimbabwe, ai baby-gangsters in Brasile, ai kamikaze mediorentali e molto sangue innocente continua a essere versato ogni giorno…Ma molto piú spesso di quanto immagini, quando si stringe la mano a un Colombiano raramente gli si dá ironicamente dello “spacciatore”…mentre a un Siciliano si erlargisce tranquillamente del mafioso. Come mai?
Ti invito a rileggere bene il mio post. Io non escludo i problemi piú che evidenti della mia Regione, piuttosto, ne ho fatto un ritratto visto dagli occhi di molti americani, reduci da bombardamenti dei MEDIA. Io alludo semplicemente alla satira hollywoodiana, ma se vogliamo continuare a gettarci fango addosso e raccontarci di essere tutti ignoranti e malandrini allora accomodati pure….
Reputo il resto della popolazione americana meno ingenua di quanto tu creda: se da un lato persiste, ahinoi, il fenomeno-mafia (hai ragione liolà, non lo si può ignorare), d’altra parte non posso credere che la descrizione hollywoodiana induca i più a crederla corrispondente ancora alla realtà. Preferisco compararla ad una matrioska: seppure ancora in circolazione quanti di noi immaginano che le donne circolino ancora così nei dintorni di Mosca? Mi sembra che ci si preoccupi eccessivamente di questi stereotipi che, invece, andrebbero visti con un po’ più di autoironia e, ogni tanto, perfino un pizzico di autocritica.
P.S. mi è capitato di vedere stralci del maxi-processo e restare allibita per l’atteggiamento grottesco di certi personaggi che, se fossero stati creati dalla fantasia di uno sceneggiatore, gli avrebbero procurato l’accusa di aver messo in scena delle caricature, ed invece erano tragici personaggi tristemente reali, ignoranti al punto da non avere contezzadella tragicità dei gesti per i quali stavano subendo un cotanto processo!
Hai ragione. Le piaghe del pianeta sono tante…e a Palermo quella del traffico rimane insanabile.
Tutti ignoranti e malandrini i siciliani? Non attribuirmi stupidaggini che nemmeno mi sfiorano. Conosco la Sicilia molto bene, quella vera, quella che voi della capitale definite dei paeeesi…(con la “e” strascicata all’infinito) per potere pensare simili stupidaggini.
Si tratta invece solo di un pugno di menti raffinatissime che tiene sotto scacco un intero popolo mite e che mai, nel corso dei secoli, ha fatto una rivoluzione liberale.
Da questa consapevolezza occorre partire, mia cara, senza complessi o code di paglia.
Non capisco poi tanta stizza.
Ed infine la “satira hollywoodiana” così come lo fu il tanto celebrato Padrino, da chi viene finanziata?
Mi trovo a New York da qualche giorno di ritorno da un’isola dei Caraibi. Nello scalo a San Juan di Portorico (praticamente la 51a stella) sono stato trattenuto dalla US Customs per controlli: avendo la fedina penale immacolata, devo dedurre che i sospetti sono stati indotti dal fatto che sul mio passaporto compare il nome di una localita’ inquietante … Palermo.
Liolá.
Viviamo in un paese (anzi paeeeeese!) democratico pertanto rispetto le tua opinione.
Stizza si, ma per caritá…nulla di personale. La stizza mi é venuta fuori dopo tanti anni trascorsi all’estero a confrontarmi con gli stranieri. E come per altri ospiti nel post precendente sulle magliette del Padrino, ti posso assicurare che a lungo andare certe battutine e allusioni al Padrino cominciano a dare fastidio.
🙂
:o)