Ogni ufficio ha la sua caffettiera, anzi no, ogni piano ha la sua caffettiera, meglio ogni gruppo che si rispetti, ogni cerchia di colleghi. Non so come sia cominciato il rito, forse qualche secolo fa, ma ogni mattina chi arrivava prima in ufficio aveva il compito di preparare la caffettiera sei tazze e metterla sul fornello elettrico.
Pian pianino nell’archivio, nel bagno per disabili, attorno all’armadio incassato nel muro si formava un capanello di estimatori. Ognuno raccontava la sua: mia madre ieri sera…., mio figlio…., sai cosa è successo ieri al terzo piano…., la tizia oggi è più bona del solito. In quei dieci minuti la giornata cominciata triste, veloce ed affannata, ricominciava a prendere un ritmo umano, normale goliardico, e poi succedeva un miracolo tutte le razze presenti in ufficio: dirigenti, funzionari, istruttori, asu di seria A e B, dimenticavano i ruoli e riuscivano a parlarsi serenamente come uomini liberi dagli schemi. “Sono arrivato tardi”, esordiva un altro pretendente alla tazza, ed il capo cerimoniale di turno: “non ti preoccupare ce lo dividiamo (nu spartemu)”. La tazza di caffè condivisa secondo me permette fino in fondo di entrare in una profonda intimità di pensiero. Continua »
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