Giocatori di pallone
Le case in cui siamo nati hanno probabilmente condizionato i percorsi delle nostre vite. Gli occhi hanno preso confidenza con un paesaggio e hanno finito per scambiarlo col destino. C’è chi si è alzato ogni mattina in una stanza col sole in fronte e le nuvole, come Heidi nella baita del nonno. C’è chi ha visto perennemente lo stesso zoom del medesimo albero spoglio a un passo dal balcone, perciò ha saputo inventarsi una primavera di reazione oppure è rimasto inghiottito dalle zolle del suo autunno infantile. La finestra del mio soggiorno dava su un campo di calcio immaginario. Era una cupa lingua d’asfalto con le macchine, con un cancello verde. La sagacia dei ragazzi che dovevano inventarsi la partita quotidiana, quando ancora non esisteva il “calcetto”, riusciva a compiere l’impresa della trasformazione. Il cancello verde diventava così la porta da difendere o da violare. L’asfalto finiva col somigliare al tappeto argentato di San Siro. Le macchine in transito assumevano le sembianze di avversari sbucati all’improvviso, arcigni stopper di lamiera destinati a frenare la corsa della fantasia lanciata a rete.
Le abitazioni hanno messo i nostri anni in rotta, seguendo la mappa degli sguardi. E molti giocatori di pallone della mia generazione sono cresciuti come sono cresciuti perché hanno calcato quei campetti aspri e magnifici, pascoli di sogni gratuiti e abusivi. Il dribbling difficile, tra bluff e prodigio, è la nostra specialità olimpionica più acclamata. Continua »
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