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  • Ecco come (5): giacimenti culturali

    Il concetto di “giacimenti culturali” è stato coniato qualche anno fa e rende bene l’idea che l’Italia è un Paese povero di materie prime, ma ricco di monumenti, opere d’arte e bellezze paesaggistiche e naturali che, come ha sottolineato l’attuale Presidente di Confindustria, i “temibili” cinesi, a differenza di molti prodotti industriali, non potranno mai imitare. Rappresentano quindi un vantaggio competitivo da sfruttare con intelligenza. La Sicilia, se non ricordo male, di questo patrimonio nazionale detiene il 20% circa (che fortuna: il 9% scarso della popolazione si ritrova quindi tra le mani il 20% di una risorsa strategica in questo millennio!). Come si potrebbe gestire in modo più adeguato ai tempi? Penso ad una soluzione a costo zero per le casse della Regione.

    Partendo dal presupposto che al settore pubblico competa soprattutto la difesa e la conservazione dei beni culturali a favore delle generazioni attuali e future mentre la loro fruizione non deve necessariamente essere gestita, pur con le dovute condizioni di garanzia, dallo stesso settore pubblico, si potrebbe indire una gara internazionale per individuare uno o più gestori del suo patrimonio culturale, riservandosene l’indirizzo e il controllo e ricevendo in cambio una congrua royalty. Il gestore, in regime di concessione, dovrà investire nella professionalità e nell’orientamento all’utente di tutto il suo personale (gli orari saranno previsti in funzione delle necessità dei visitatori e non della comodità di chi ci lavora, come si è preteso fare sinora) e nelle tecnologie multimediali funzionali alla migliore comprensione e valorizzazione dei beni culturali.

    Immaginiamo la scena: arriviamo nella Valle dei Templi (ma il discorso varrebbe anche per Piazza Armerina, Morgantina, Selinunte, Segesta, Siracusa, ecc.) e, dopo aver pagato un adeguato biglietto, veniamo introdotti in un ambiente fresco e pulito (penso ad una struttura leggera) dove viene proiettato un filmato (sottotitolato in altre lingue o tradotto in cuffia per gli stranieri) e dove, con rigore scientifico, ma con un taglio divulgativo tipo “Super Quark”, viene illustrata la vita quotidiana, le tecniche di costruzione, gli eventi storici che hanno segnato quel sito e la gente che vi ha vissuto (con gli opportuni raffronti: mentre qui si costruivano teatri e templi, nella mitica “Padania” come si campava?). Il percorso prosegue poi, magari con l’aiuto di un’audioguida registrata in più lingue se non di un visore di realtà virtuale, a spasso per il sito archeologico, per giungere poi all’eventuale museo e finire, con un’adeguata azione di merchandising, in un’apposita struttura di vendita (anche qui basterebbe una strutttura prefabbricata) dotata di servizi igienici, puliti e funzionanti, e di un servizio di ristorazione con inservienti sorridenti ed educati (dettaglio di professionalità). Sono previste anche visite personalizzate con guida competente e almeno bilingue, con un supplemento di prezzo, ovviamente! Di notte, una sapiente tecnica di illuminazione rende ancor più magici questi luoghi.

    Oltre al patrimonio archeologico tradizionale, ve ne è anche uno industriale da valorizzare. Prendiamo esempio da un Paese che ha saputo valorizzare non solo il paesaggio e i beni monumentali: l’Austria. Una città come Salisburgo deve la sua fortuna alle miniere di sale che, nei secoli passati, quando ancora non esistevano i frigoriferi, fornivano un elemento essenziale alla conservazione dei cibi. I Principi-Arcivescovi dell’età barocca trasformarono il sale in oro e marmi per quella splendida città che ancora oggi ammiriamo. La più importante miniera di sale del salisburghese è divenuta antieconomica nel 1989 ed è stata rapidamente trasformata in un’ industria turistica. I numerosi visitatori si addentrano nelle gallerie della miniera, vestiti di una tuta bianca, a bordo di un trenino, percorrono poi a piedi dei cunicoli dove, di tanto in tanto, vengono proiettati sulle pareti dei filmati in cui un attore che interpreta il Principe-Arcivescovo racconta la storia e spiega le tecniche di estrazione usate nei vari secoli. Si scende poi per dei divertenti scivoli in legno per dislivelli di decine di metri e si attraversa persino un lago sotterraneo a bordo di un battello con il sottofondo di musica classica e un gioco di luci che illumina blocchi di sale cristallizzato. Si attraversa persino il confine di Stato tra Austria e Germania per poi riaffiorare in superficie, con delle comode scale mobili, nel bookshop-caffetteria per visitare infine un villaggio celtico fedelmente ricostruito (pare siano stati i primi a sfruttare la miniera). Provate a guardare il sito in rete, date un’occhiata ai prezzi dei biglietti d’ingresso e pensate alle polemiche sorte quando si pensò – timidamente – di introdurre un biglietto per la Cappella Palatina. Pensate al defunto Ente Minerario Siciliano, alle miniere di salgemma di Petralia, Realmonte, Racalbuto o a quelle marine di Mozia e di Trapani, col polveroso museo del sale e i mulini a vento. Mentre scrivo, ho ripreso tra le mani un opuscolo edito anni fa da “Il Sole 24 Ore”, dal titolo “Il sale della terra” con foto di Ferdinando Scianna e presentazione di Leonardo Sciascia. Le foto sono impressionanti: ambienti enormi, cattedrali di sale, miniere oggi forse dismesse, ma sicuramente anche loro suscettibili di una intelligente riconversione nell’industria del turismo. Sciascia parlava di arricchimenti di pochi e di vita grama per molti. Nella miniera di Hallein i ragazzi che facevano da guida sembravano invece molto contenti del loro lavoro.

    Altre idee: come si può rendere turisticamente fruibile ed economicamente profittevole (oltre che fonte di nuova occupazione) un monumento dalla costosa manutenzione come un castello? Sempre in Austria un’idea me l’ha data il castello di Hohenwerfen nel salisburghese dove è stato allestito un interessante museo sulla falconeria e, nei pomeriggi della bella stagione, viene offerto ad un pubblico sempre numeroso (e pagante) l’indimenticabile spettacolo di una dimostrazione di addestramento di falconi, poiane, aquile ed altri rapaci. Ho immaginato lo stesso spettacolo di un pubblico sdraiato sul prato mentre rimane conquistato dal volo radente di questi meravigliosi rapaci all’interno del castello di Venere ad Erice (normalmente chiuso al pubblico). E pensare che il più famoso manuale di caccia con il falcone (De arte venandi cum avibus) lo ha scritto il più prestigioso inquilino di Palazzo dei Normanni, il re di Sicilia, l’imperatore Federico II di Svevia.

    E ancora. La statua del satiro rinvenuta nel mare di Mazara del Vallo o l’Annunciata di Antonello da Messina hanno fatto recentemente da ambasciatori del patrimonio culturale siciliano nei mercati turistici più promettenti e solo da poco presenti in Sicilia come quello giapponese. Visto però che i depositi dei nostri musei archeologici abbondano di materiale che o perché meno emblematici o per esigenze di spazio non vengono esposti, perché non selezionare musei o centri di cultura (e perché no, anche grandi alberghi e aeroporti internazionali) di quei Paesi da cui saremmo interessati a ricevere un maggiore flusso turistico per inviare loro una selezione di reperti da esporre in un’apposite vetrine? Sarebbero dei formidabili veicoli promozionali del turismo culturale in Sicilia. Probabilmente, si potrebbe negoziare con i musei ospitanti l’accollo totale o parziale delle spese di trasporto e di assicurazione.

    Impariamo a produrre e vendere conoscenza e stimoli culturali! Personalmente, per non fare solo teoria, con un gruppo di professionisti amici, ho voluto dare il mio contributo ad un’esperienza piccola, ma emblematica, restituendo alla fruizione pubblica di museo multimediale la torre della piazza di Mondello attraverso l’Associazione Aiamola.

    Palermo, Sicilia
  • 24 commenti a “Ecco come (5): giacimenti culturali”

    1. Semo già ar quinto
      e me dice l’istinto
      che s’è scelta la soluzione
      de investire sur “mattone”

    2. Mo’ aspettamo er sesto
      che speramo non sia lesto
      chè se arriva troppo presto
      ce risulta assai molesto

    3. So’ sicuro e nun ce piove
      verrann poscia gli “ecco dove”.
      Io mò se vede che sto scherzando?
      Non è che te n’esci con gli “ecco quando”?

    4. Pasquino e Natalina voi incarnate l’ “ecco perchè” e il fatto che siate in coppia lo conferma 😉

    5. Ma su ddai Donato resta al gioco
      chè noi resistemo n’artro poco
      mò me n’esco cor mio nome
      pe’ fa gli auguri agli “ecco come”

    6. E io pure me so scoperto
      e non c’è dubbio ne so’ certo
      che co gli “auguri” vien da sè
      non c’è bisogno degli “ecco perchè”

    7. recentemente sono andato con amici di firenze alla villa del casale a piazza armerina:
      niente custodi, avremmo potuto porta via pure la cassa.
      niente sedie per riposare
      video manco a parlarne
      e per andare in bagno ci hanno detto che il più vicino è in un orrendo bar vicino

      questo è quello che oggi è.

    8. Caro Donato,
      i nostri scantinati sono pieni di opere d’arte non catalogati, non studiati, non pubblicati. E non solo in Sicilia.
      Sai perchè? Perchè si parla tanto di fruizione e turismo culturale ma non si fa ricerca.
      Avessi mai sentito uno dire: dobbiamo conoscere quello che abbiamo, il prossimo anno si finanziano solo progetti di ricerca. Mai!
      In Sicilia abbiamo musei pieni di opere senza il nome dell’autore. E’ tanto che ci sia la datazione. Il nostro patrimonio sembra esser stato creato da una moltitudine di altissimi artisti anonimi e sconosciuti.
      Il grande accademico Paolucci disse che quando De Michelis parlò per la prima volta di “giacimenti culturali” (erano i favolosi anni ’80) fu come aver condannato per sempre i beni culturali.

    9. Cara Missy, qualcuno mi ha detto che il Governo ha tolto dai fondi per la ricerca previsti dalla Finanziaria 30 milioni per gli autotrasportatori …

    10. l’arte e la cultura non sono solo un bene da mercificare, ma sono un bene dell’umanità, perché per produrre arte bisogna attingere all’arte, quindi ogni volta che si pensa ad una struttura museale questa deve essere concepita per ogni uomo del mondo sia esso povero o ricco……una cosa che mi fa semplicemente impazzire è che i musei vengano concepiti per i turisti e non per i cittadini comuni, per i bambini delle scuole come luogo dove studiare, guardare e toccare il passato.

      esiste l’art 37 bis della legge sui lavori pubblici che prevede il progetto di un opera con finanziamento dei privati, ad esempio il posteggio del tribunale di Palermo… si potrebbe applicare questa legge anche ai musei per la ristrutturazione e gestione dei musei.
      La cosa però è molto rischiosa: un museo non è un ristorante, un luogo dove si comprano solamente dei gadget, ma è un luogo dove si produce cultura e questa naturalmente può essere solamente prodotta da professionisti del settore, storici, antropologi specialisti di vari settori di studi sui materiali etc. Pertanto ciò che secondo me è auspicabile per una sana gestione museale è la sinergia di cultura e menagement, una sola componete di questa sinergia fallirebbe il proprio compito.

    11. Caro Donato,
      ma cosa vuoi da uno come Rutelli che fa la guerra ai musei americani spacciandosi per paladino di una cosa che in America avevano già deciso da tempo… Fa l’asso pigliatutto, il divo da cinematografo, il radicale che si sposa in Vaticano non appena diventa sindaco, per poi perdere miserabilmente contro Berlusconi proprio per quell’aria da piacione romano.
      Ha pure fatto una legge pèer stabilizzare i precari nei BBCC, come dire una sanatoria edilizia. Con tutto ciò che essa implica, cioè il mantenimento dello scempio.

    12. Da noi c’è la tendenza a far diventare “private” le cose pubbliche avute in gestione. Ma non nel senso di valorizzarle per il pubblico ma proprio come “adesso che la gestisco, praticamente è mia e ci faccio quello che voglio”
      Mi piacerebbe invece che i nostri beni pubblici venissero gestiti come Solunto, che abbiamo a pochi passi, sopra Bagheria. Paghi un biglietto minimo (invece di venire vampirizzato), non ci sono bancarelle di ambulanti in giro, il piccolo museo è tenuto in ottime condizioni e le rovine le giri in libertà. Magari il tutto non sarà remunerativo più di tanto, ma lo preferisco alla valle dei tempi o a luoghi simili, trasformati in brutte copie di parchi divertimento a tema.
      Oppure Morgantina, vicino Enna. Non c’è quasi nulla da vedere, ma la semplice passeggiata sui prati vale la gita.

    13. Isaia, mi piace il tuo commento, ma dire che non c’è nulla da vedere a Morgantina….!!!!
      Pazzesco, non so che dire, è quantomeno bizzarro dire che a Morgantina non c’è niente, a parte i prati!
      Ma più di una città antica a cielo aperto e senza palazzi intorno cosa volete?

    14. Quando vado il Francia o Germania e vedo che sul nulla costruiscono musei, parchi culturali e quanat’altro mi mangio le mani. Noi abbiamo gia` un patrimonio meraviglioso, e davvero con pochissimo sarebbe fruibile e godibile anche in forma di intrattenimento da tutti e invece……mah..

    15. Per la verità (anche se qui l’ottimo Didonna si riferisce ad altro) la Regione Siciliana, insieme ad una società privata che opera nel settore, ha già costituito un Fondo per la gestione e la valorizzazione del suo patrimonio immobiliare…

    16. “Ecco come”, “ecco chi”
      Silvana Grasso fa così:
      “fuori i quadri, non si discute,
      opere note e sconosciute!”
      Certo i modi danno la scossa…
      ma che gli assessori si diano una mossa!

    17. Isaia, i parchi archeologi non servono a fare passeggiate o footing, ma dovrebbero servire a fornire stimoli culturali. Io non propongo di mercificare i parchi archeologici, ma solo di renderli fruibili con strumenti di divulgazione scientifica più adeguati ai tempi. A Solunto non ci sono bancarelle (e non è un male) perchè non ci va nessuno. La prossima volta che vai a Morgantina non mancare di apprezzare la rarissima fornace per manufatti fittili (Missy, si dice così?).

    18. E’ noto che del patrimonio archeologico siciliano, come ben sanno i tombaroli, gran parte ancora non è tornata alla luce. C’è senz’altro un problema di mancanza di fondi, ma, forse, anche di idee un po’ fuori dagli schemi consueti. Perché non riaprire importanti campagne di scavi, sotto la guida delle autorità preposte allo studio e alla conservazione dei beni archeologici, a studenti italiani ed esteri “gratis et amore … culturae” e, magari, con il finanziamento di sponsor privati? Si abbatterebbero i costi di scavo per quella parte del lavoro (sicuramente rilevante) che richiede un intervento solo di supervisione dell’archeologo e si alimenterebbe in questi ragazzi, magari per tutta la vita, la conoscenza e l’amore per il nostro patrimonio culturale. Una sorta di “Erasmus” di scavi.
      La Sicilia offre anche un rilevante patrimonio archeologico marino ancora da esplorare. In questo caso, grazie all’iniziativa di alcuni archeologi appassionati di immersioni subacquee, esistono già corsi organizzati per coinvolgere anche i non addetti ai lavori, come dimostra questo sito http://www.infcom.it:16080/subarcheo/ . Sicuramente, queste attività potrebbero veder partecipare in futuro un maggior numero di turisti italiani ed esteri se fossero pubblicizzate ed organizzate in chiave di moderna industria del turismo culturale.

    19. Prima di far volare Pindaro…, consiglio di dedicarsi all’analisi dei dati entrate/uscite per musei e siti archeologici e monumentali. Lo sbilancio costi/benefici è gigantesco, e non solo per insipienza gestionale. Accendere la luce o fare le pulizie a Palazzo Abatellis costa in un solo giorno l’incasso, e non ci basta, di un mese intero. I beni culturali, a meno di zone a basso costo quotidiano (Valle dei templi, area archeologica di Segesta, ad esempio) che hanno percentuali migliori, sono ovviamente destinati a non ricercare il profitto, non sono negozi che vendono merci o servizi. E’ tutto nei siti internet del Dipartimento regionale beni culturali, http://www.regione.sicilia.it/beiculturali, alla voce fruizione, e del bilancio della Regione. Cerchiamo di tenere i piedi per terra, grazie

    20. Giuseppe_60: finalmente un rilievo critico! Capisco quello che vuoi dire, sulla base della cruda esperienza, ma dovresti immaginare o almeno non escludere, senza scomodare Pindaro, un modo diverso di promuovere e gestire i BBCC. Io l’ho fatto nel 2004 con un docente di marketing dei BBCC della Bocconi e ti assicuro che i numeri e i risultati sarebbero molto differenti. Capisco anche che le gestioni di privati sperimentate in Sicilia non hanno mutato radicalmente la situazione, ma quaesto non significa che non si poteva fare meglio. Questa è la regione dove l’acqua non serve per bere, ma per … mangiare.

    21. D’accordissimo. Con una considerazione: conosco molto bene le vicende dei beni culturali siciliani, praticamente in prima persona, dal 1946. E posso dire che l’altezza degli ostacoli allo sviluppo è aumentata, anzichè diminuire, dal 1975, anno del trasferimento delle competenze in materia dallo Stato alla Regione. Quel che vale in Italia in Sicilia si complica, l’interlocutore non è il ministero dei beni culturali ma l’assessorato: la frammentazione delle competenze trasforma i territori in “bacini elettorali” a cui non restano estranee le “politiche” di gestione. Gli esempi possono essere tanti, verifichi lei stesso le “qualità” dei diversi soggetti che gestiscono i “servizi aggiuntivi” nelle diverse provincie. E dia uno sguardo, anche, agli assetti societari: troverà nessi pure con le indagini palermitane sul pagamento del “pizzo”. Non parliamo poi di cose “semplici” quali calendari coordinati turismo-beni culturali, o di cogestione regione-provincie-comuni dei beni (dal restauro alla fruizione, si fece qualcosa solo durante le giunte Orlando-Puccio). Possiamo sapere come il comune di Palermo (e con esso Agrigento, Taormina, Siracusa ecc) investe il 30% degli incassi dei musei e monumenti regionali presenti nel suo territorio e che le norme finanziarie regionali assegnano quali “diritti” locali? Si poteva far molto, ma molto, meglio.

    22. Giuseppe_60: “si poteva fare molto, ma molto meglio” significa, in una società evoluta, che chi ha la capacità di comprendere i termini di un problema pubblico ha poi la responsabilità di agire. L’imprenditore come imprenditore, il professionista come professionista, il comune cittadino, consapevole dei suoi diritti, come cittadino attivo. Qualcuno dovrà controllare, denunciare e pretendere, altri proporre modewlli e soluzioni, altri adottarli nel fare impresa: solo così una comunità migliora.

    23. SAlve sono Sonia Zarzana della “Società siciliana amicizia fra i popoli”, sono interessata alla pubblicità dell’associazione che penso sia un grande importante contributo per la cultura della nostra città. Potrebbe darmi delle delucidazioni?
      Cordiali Saluti
      Sonia Zarzana

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