I vegliardi nel piccolo paesino di provincia si svegliano, fanno colazione, si lavano, si vestono e si danno appuntamento in piazza per dispensare saggezza. Chi ffici, carìu Prodi? Ah, se? Buono! ‘U broccolo a quant’è? Due parole tra una briscola e l’altra sui cofani delle automobili, il matto uscito da uno studio di Rambaldi ti saluta, ti stringe la mano non senza interesse: qualche spicciolo ed è contento. Su’ tutti uguali, è ‘bbiero, ma è miegghiu ca sti comunisti sinni vannu a casa. ‘Un si po’ accattare cchiù nenti. ‘U Palermo cu pigghiò? La fontanella perde da settimane, facendo da sfondo muto ad un’assemblea di cappelli e sigarette che discute degli affari nazionali. Il pensionato porta fuori il cane e da sotto la visiera mi scruta e butta l’occhio sul giornale che tengo sottobraccio, preoccupandosi di capire quale sia la testata e di etichettarmi politicamente, fino al richiamo del guinzaglio. Uomini importanti sentono odor di elezioni e osservano e reclutano. Il ciclista della domenica si allena con due giorni d’anticipo, attento a evitare le auto guidate da gente impassibile. Bene non approfondire, nella convinzione che tutto, nonostante il cambiamento, resti uguale a prima. ‘U viristi chiddu ca sbinìu? Mah, sunnu tutti ‘na manata ri buffuna. Ti saluto, mi va pigghiu ‘u cafè. Po essere ca calò.
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