A Palermo, è risaputo, certe tendenze, certe mode arrivano in ritardo. Siamo così noi. Conservatori. Prima lasciamo che siano sperimentate là fuori e poi proviamo a importarle pure noi. Almeno questa è un’ipotesi del perché alcune cose arrivino in Sicilia, quando nel resto del mondo sono un po’ superate.
Anni fa (almeno 10) a Milano, provai la cucina giapponese. Ora con tutto il rispetto per lo sfincione, a pasta o’ fuirno, il brociolone, la meusa, le panelle, le crocché e la ravazzata, le melanzane ammuttunate e i carciofi con la toppa dell’uovo, mi piacque moltissimo. Non solo i piatti in sé, ma la cura nel preparare rolls e nighiri, la presentazione dei piatti. Tutto bello, non c’è che dire, anche l’atmosfera rilassata, tranquilla, lontana dalla vucciria mediterranea. Tornata in terra sicula, trascorsero altri 10 anni più o meno, prima che io potessi riassaporare quelle delizie di pesce crudo. Perciò, mi vesto sapurita, mi pitto e vado bel bella con un pugno di amici in un ristorante specializzato in cucina dal mondo, felice che anche nella mia città ci sia tale scelta… Bene, come fu e come non fu, forse fu colpa del vino costoso, usciamo da lì chi più chi meno soddisfatto (Valeria come primo boccone tastò una pappata di wasabi, che è tipo halls mento liptus, ma più forte, si sdegnò e restò diuna), ma un po’ perplessi per il conto…cazzarola 60 euro a cranio forse assai sono. Continua »
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