Sono veramente curioso di sapere quanti dei lettori di Rosalio non hanno mai avuto a che fare con la realtà dei call center. In altre parole, chi non ha mai lavorato, o non ha un amico che lo abbia fatto, all’interno di quella batteria per polli che, con un raffinato inglesismo, viene chiamato “open space”. Uno di quei luoghi esteticamente anonimi ed insulsi, dove regna incontrastato l’inquinamento acustico. Intrepidi caporali guidano le proprie truppe al grido di “Accorciamo i tempi di chiamata!” oppure “Usciamo tutti dal wrap up!!”. Dove il wrap up non è una trincea scavata di fronte le linee nemiche, nella quale valorosi soldati sono appostati, in attesa di assaltare le truppe di cattivi, per liberare la propria Patria dal giogo della tirannia. Nossignore. È, sempre per dirla in maniera raffinata, un piccolo intervallo di tempo utile a “tracciare” la lavorazione della chiamata, sempre più spesso utilizzato per riposare le martoriate orecchie e la provata psiche. Anche per pochi istanti.
Lì, i meriti, si misurano a colpi di acr, tmc, rec, ret, ddt, wwf e pipipì.
Lì, dopo che la gente ti pigghia a mali paroli, per colpe non tue, cìà diri puru “Grazie per averci chiamato, le auguro una buona giornata”, mentre pensi “ma va scassicci a m….!!” e ti senti decisamente frustrato.
Io lavoro in un call center.
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