Le macchine ci rubano la vita
Percorrevo via Puccini con la mia fida bicicletta. All’improvviso un acuto stridore di gomme d’auto in frenata, dietro le mie spalle, ha bloccato istintivamente la mia corsa e mi ha fatto girare indietro. Un bambino di 3-4 anni era a pochi centimetri dal paraurti di una macchina, mentre con un grido lacerante la mamma lo afferrava e se lo stringeva al petto coprendolo di baci e gridando parole, insieme, di disperazione e di conforto. Un attimo, e una signora attempata irrompeva dalla porta di casa urlando e chiedendo che era successo al bambino. Alla guida della macchina c’era una signora cinquantenne; al suo fianco un uomo più giovane che immediatamente è sceso dalla macchina ed è andato ad aprire la portiera della guidatrice. La signora era inerte sul sedile, sotto shock. Dopo un po’ è uscita lentamente dalla macchina e si è appoggiata sul cofano di un’auto lì parcheggiata, piangendo a dirotto. Il giovane la confortava amorevolmente. Il bambino era sempre stretto al petto della mamma che continuava a baciarlo dicendo: “Mi è scappato! Non è successo niente! Niente!”. Io guardavo impietrito la scena. Mi è venuto un groppo alla gola. Sarò vecchio, ma due lacrime mi sono scese sul viso. Bastava un attimo, e il bimbo poteva essere morto. Io buona parte della mia infanzia l’ho passata giocando sulla strada. Gli idolatrati mostri meccanici non se n’erano ancora impadroniti. Le macchine ci rubano la vita.
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