Sono andata a vederlo, in un cinema palermitano, ovviamente. L’atmosfera era quella dell’8 marzo: tanti gruppetti di 3-4 ragazze, vestite, a loro modo, alla “Sex and the City”. Presenti anche gruppetti gay: “Io sono Carrie!”. “No, IO sono Carrie!”… Non mancavano le coppie, in cui il ragazzo, immolato, si scambiava con gli altri maschi occhiate di desolazione, mentre le ragazze, petulanti, si avviavano al botteghino mezz’ora prima dell’inizio del film. Qualcuna poi, si è subito fiondata dentro la sala: “Amore, non è ancora finito, non entrare, altrimenti vedi la fin…” . Lei esce: “Uffa, sta finendo, me lo potevi dire di non entrare!”. Il tutto in un trionfo di ballerine azzurre stampate a fiori, gonne ampie verde smeraldo di “seta”, pinocchietti improbabili e risatine isteriche. Ora, sarebbe già difficile a Palermo uscire con gli abiti estrosi originali di Sex and the City, pur se di ottima fattura e firmati da Ruiz De La Prada, Gucci, Versace, Vivienne Westwood e così via (che volendo si possono trovare qui), ma immaginate quale deve essere il risultato con degli equivalenti (o presunti tali) di pessima qualità e a (troppo) buon mercato. Ciò nonostante, il tentativo di imitare lo street style di Manhattan, rivisitato al sapor di caponata, è comunque da apprezzare perché, come diceva Estée Lauder, non esistono donne brutte, ma solo donne pigre: insomma, non è importante che tu sia Carrie, Samantha, Miranda o Charlotte, l’importante è provarci.
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