Come si dice in italiano quando la palla va a finire oltre una cancellata e non è più possibile recuperarla? Non si può dirlo con meno parole di così: quando la palla va a finire, eccetera. Nel dialetto siciliano invece esiste un verbo per definire questa che, più che una situazione, è una condizione dell’anima: arroccare. Minchia, s’arroccò.
Gli scacchi non c’entrano. Negli scacchi l’arrocco è una scelta difensiva, e qui tutt’altro. È una cosa che succedeva da bambini. Si giocava in mezzo alla strada, in preda a una disperata vitalità. Disperata perché c’era in tutti, fin dal calcio d’inizio, una premonizione. Tutti sapevamo quale era il giardino circondato dalla recinzione più insormontabile, abitato dalla più acida delle signore, quella che, ignara di qualsiasi passione giovanile, il pallone non l’avrebbe mai restituito. Una sola volta magari (“che fa lo tagliamo?!”), e poi basta. Tutti sapevamo che bastava un calcio fuori misura e il gioco sarebbe finito per sempre. Perché quel mai significava mai più.
Minchia, s’arroccò. C’era in questa constatazione una malinconia composita, impastata di rabbia nei confronti del maldestro calciatore che aveva arroccato, ma anche di rassegnazione al peggio. Il Super Santos, maledetta sia sempre la sua fatale leggerezza, era ormai un ricordo del passato. Niente più partita. Fine del gioco. Continua »
Ultimi commenti (172.549)