Poggioreale
Qualche settimana fa ho assistito al concerto di Francesco Guccini nella splendida cornice del teatro antico di Taormina. In quella performance, il cantautore emiliano ha eseguito uno dei miei brani preferiti, “Noi non ci saremo”. Non so chi di voi ha avuto la possibilità di ascoltarla. È uno dei primi brani scritti da Guccini nella sua lunghissima carriera e parla di uno scenario apocalittico. “Tra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà”, recita uno dei versi.
Qualche mese fa, invece, ho visto il luogo di cui parla la canzone. Poggioreale. Sono sicuro che Guccini non ha mai visto questo paese fantasma del trapanese, ma se lo vedesse sarebbe convinto di avere uno strano déjà vu.
Poggioreale, oggi, è un paese costruito negli anni ’70, dalle scarse pretese.
Poggioreale, un tempo, era una stupenda cittadina che contava diversi palazzi nobiliari, una piazza che sembrava uscita da una location cinematografica e perfino un anfiteatro. Poggioreale era una chiesa che sormontava una ripida e suggestiva scalinata e, dalla sua posizione, dominava tutto il paese. Poggioreale era un corso largo e luminoso dove si consumavano le passeggiate e la vita sociale degli abitanti del posto.
Poi ci fu il terremoto che sconvolse il Belice nel 1968 e che travolse migliaia di vite. Paesi, come Gibellina, sono stati completamente rasi al suolo. Poggioreale no. Lui, fiero della sua bellezza secolare, è rimasto lì, a presidiare la vallata. E ancora oggi si mostra a qualche curioso in tutto il suo decrepito splendore ed in tutta la sua inquietudine. Aggirarsi tra le strade deserte del paesino, infatti, ve lo assicuro, è un’esperienza davvero unica. Ricordo di essere stato ammirato dalla bellezza che, seppure deturpata dal terremoto prima, dal tempo e l’incuria dopo, è ancora evidente. Sono ancora presenti i segni di una vita interrotta all’improvviso, durante il suo quieto svolgersi. Un panificio, con insegna sbiadita, con il forno pronto ad entrare in funzione. Pronto da quarant’anni. La sala da barba, anche questa indicata all’esterno, con i sedili pronti ad accogliere il pensionato che, puntualmente, alla mattina, radeva il proprio volto. Il calzolaio con le scarpe da riparare sparse sul pavimento. E tante case. Tante abitazioni, molte delle quali con baglio, portico, dipinti sui muri. Abbandonate, distrutte. Aggirarsi tra le macerie, non so per quale motivo, non lascia tranquilli. Pensare che sino a qualche decennio fa, quelle stesse strade, quegli stessi edifici brulicavano di vite, storie, mestieri e passioni. Tutto spazzato via dalla furia della natura.
Immagino che in inverno, l’unico abitante di questi spazi, sia il vento, che percuote ancora le facciate dei palazzi. Ma in estate, quando l’ho visitata, la voce di Poggioreale era soltanto il belato di una pecora ed il suono del campanaccio che aveva al collo.
In quel silenzio, davanti a tanta bellezza in decadenza, l’unica domanda che continuavo a pormi era: perché hanno abbandonato questo posto a se stesso? Perché hanno preferito costruire il paese di sana pianta più a valle piuttosto che intervenite per rendere nuovamente agibili gli edifici del paese secolare?
Perchè hanno ricostruito tutto di nuovo? E’ una domanda, la tua? AHAHAHAH! Vivi in Sicilia, baby…
ciao alessio.. questi 2 link a href=”http://eddyburg.it/article/articleview/10484/0/127/” target=”_blank”>http://eddyburg.it/article/articleview/10484/0/127/ ti spiega e http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/01/15/belice-una-ricostruzione-fallita.html sono utili per chi ne vuole sapere di più sulla ricostruzione post terremoto
Io ci sono stata pochissimi giorni fa a poggioreale, a fare delle foto, cercando di fare venire fuori qualcosa che riuscisse a trasmettere al di là della semplice cronaca.
Non so se ci sono riuscita.
Quello che ti senti detro è molto pesante, si riesce a percepire quello che è rimasto intrappolato lì per 40 lunghi anni: i ganci del macellaio sono ancora lì, come una sedia abbandonata o i fili ancora esterni dei lampadari che penzolano sul nulla.
Il campanile della chiesa è ancora in piedi ma piano piano si sta sgretolando anch’esso.
Anche i cani che stanno davanti ai cancelli hanno una malinconia negli occhi diversa dagli altri.
E’ un posto da visitare, anche se in realtà è chiuso per sempre.
Perché è più facile guardare in un’altra parte, perché è difficile mettere i pezzi rimasti insieme e ricominciare. Ce ne sono fin troppi di piccoli Poggioreale.
saranno passati 15 anni dalla prima volta che sono andata a poggioreale. stesse sensazioni che avete avuto voi. e poi la scuola elementare con ancora i quaderni dei bambini, quelli con la copertina nera e dentro, con calligrafia incerta, i loro pensieri espressi nei temi. ne ho preso uno di un bambino con delle cose da dire sul suo mondo, ma i voti erano tutti zero spaccato e segnacci rossi a correggere gli errori, tracciati con forza, quasi con cattiveria.
chissà se quel bambino oggi è un uomo o se quel terremoto se l’è portato via troppo presto.
il suo quaderno nero pieno di brutti voti e belle idee è ancora con me.
La mia tesi di laurea in architettura aveva come titolo “Poggioreale: nel silenzio della memoria”, perchè è proprio il silenzio che ti colpisce e che ti riporta agli anni in cui c’era la vita. Potrebbe essere una delle “città invisibili” di Italo Calvino.
In effetti è un posto incredibile… triste, ma nello stesso tempo tremendamente affascinante.
Ringrazio Carmelo Tumbarello, abitante della vecchia Poggioreale, che mi ha inviato una mail per apprezare il pezzo e quello che gli ha suscitato. E’ il motivo per cui scrivo.