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lunedì 23 dic
  • Condominio

    Il ragioniere Augusto De Ruggiero guardò la serratura e si preoccupò moltissimo. Benedetto, il portinaio, parlava. Ma lui manco lo sentiva, gli occhi fissi sulla normalissima serratura Yale, con quella gocciolina ormai rappresa che sembrava una lacrima. Ma può mai piangere una serratura, benedettiddio?

    “Ragioniere – stava dicendo Benedetto – ho chiuso la portineria ieri sera alle otto. Ma sono pure uscito per andare da mia suocera e sono tornato che era mezzanotte passata. E la serratura era a posto. E stamattina alle sette ho aperto per innaffiare la aiuole e ho visto il danno”.

    Già, il danno. Oddio, non era chissà quale danno, intendiamoci: un paio di centinaia di euro. Ai 48 condomini dell’edificio sarebbe costato neanche cinque euro a famiglia, compreso il costo delle chiavi nuove che ciascuno avrebbe dovuto farsi fare. Non era questo il problema.

    Il ragioniere, vincendo la cervicale, sollevò lo sguardo in alto quasi accarezzando il prospetto del grande edificio residenziale che già si stagliava per effetto del sole ancora basso che lo investiva da dietro. L’edificio si affacciava su un’area verde condivisa con altri due palazzi che formavano un ferro di cavallo con il lato aperto su una strada della città cresciuta negli anni Settanta. Ex nuova, diciamo così. Quarantotto appartamenti con tante diverse tipologie e relative quote millesimali. Gente sistemata: impiegati, insegnanti, commercianti. Tre medici, due avvocati. Famiglie per bene. Mai un problema. Tutti puntuali nel pagare le quote condominiali, mai una lite per i parcheggi giù nel garage. Ognuno, a sue spese, aveva arredato il proprio pianerottolo con piante e stampe appese alle pareti. Insomma: magari lì non abitavano ricconi. Ma neanche morti di fame.
    E Augusto De Ruggero amministrava questo piccolo sereno regno con scrupolo. Sempre pronto a spiegare, rappresentava un caso più unico che: quando c’erano le assemblee accordava tutti i presenti e riusciva a stoppare le questioni che si accendevano puntualmente tra il dottore Randisi e l’avvocato Di Marco che ne avevano sempre una ed erano “vinciusi”, volevano sempre averla vinta.

    Il ragioniere era un asso dell’amministrazione ma anche un grande collezionista di persone. Ne teneva un repertorio sterminato. Sapeva trattare con tutti i generi di inquilino ma anche con tutte le categorie di fornitori e di artigiani che, in un modo o nell’altro, possono avere a che fare con la gestione di un edificio. Sapeva tutto delle autoclavi, degli ascensori. Conosceva a memoria il contratto dei portieri, aveva elaborato un Regolamento che, anni prima, era addirittura diventato un modello.

    Insomma era uno di quelli che magari portano gli occhiali spessi ma, in un certo senso, ci vedono ancora benissimo. D’altra parte non può essere diversamente quando per cinquant’anni ci si è occupati di contabilità e amministrazione. Un piccolo studio dove i bottegai portavano i libri, ma anche il centro di raccolta di tante amministrazioni condominiali. Figuriamoci se non doveva occuparsi di quella di Largo Fiorito, dove abitava. Anzi, era la sua unica attività di pensionato, dopo che aveva definitivamente lasciato lo studio ai figli commercialisti con tanto di laurea.

    Ma proprio per questo il ragioniere si preoccupò. Sapeva come andavano le cose. Allo studio, quando ancora pensava a tutto lui, trovava sempre qualche buco nelle contabilità. I conti non tornavano come se il bottegaio non avesse registrato un incasso. Intendiamoci: Augusto De Ruggiero non era, fiscalmente parlando, uno stinco di santo. Non è mestiere per stinchi di santo il suo: è chiaro. Quindi nessuna sorpresa se si ricorre a qualche giochino per non pagare le tasse. Conoscete qualcuno felice di pagarle? Ma la regola è che si deve provare a fare fesso lo Stato. Non il proprio commercialista. Che per il bottegaio deve essere come il medico o come il prete: bisogna confessare tutto. Dunque quei buchi, i primi tempi dell’attività, lo lasciavano interdetto. Un giorno, a uno dei suoi clienti, spiegò che al consulente bisogna raccontarla giusta e che adesso lui doveva spiegare a cosa servivano quelle trecentomila lire che mancavano all’appello. Il bottegaio non aveva battuto ciglio: aveva messo una mano in tasca, aveva tirato fuori un grosso catenaccio rettangolare e lo aveva posato sulla scrivania. “Ho dovuto comprare questo”, aveva detto. Un catenaccio trecentomila lire? “Non le sembra un poco caro?” aveva chiesto il ragioniere. “No – aveva risposto il commerciante – Dipende che cosa compri oltre al catenaccio nuovo che mi hanno riempito di colla. Quelle trecentomila, caro ragioniere, le troverà ogni mese”. Ecco spiegato il busillis.

    Ora, di fronte a quella serratura piena di Attack, De Ruggiero avverti una montata di fiele direttamente dallo stomaco alla bocca. “Benedetto – disse al portiere – vai a comprare la serratura nuova e chiama a Mastro Vincenzo e ce la fai cambiare. Ma non ti rischiare a raccontare a nessuno di colla e cose varie. Che è successo? S’è sfasciata, e allora? Che fa, sono eterne le serrature? No, è giusto? Quindi: pipa. Vediamo che succede”.

    In realtà si era fatto convinto che nei giorni, anzi nelle ore successive avrebbe ricevuto una telefonata o trovato un pizzino nella cassetta del condominio. E immaginava pure che cosa gli avrebbero detto o scritto. E cioè che la zona non era più tanto tranquilla e che la sorveglianza del portiere non basta più, e che ci vuole qualcuno che sa come si tengono gli occhi aperti e che si sa fare rispettare così a nessuno ci viene in testa di sfasciare una porta e entrare in un appartamento il 15 agosto per fare un poco di pulizia…

    Questa proprio non se l’aspettava. Aveva trovato in migliaia di contabilità i segni inequivocabili di un’estorsione. Ma il pizzo al condominio, mai. Istintivamente i suoi occhi si posarono su Benedetto: nessuno dei due ebbe bisogno di dire qualcosa ma tutti e due archiviarono un discorso come se fosse stato fatto: sei stato tu? /No, che fa scherza? Io sono una persona onesta. Sono portiere qui da diciotto anni: mai una questione e gli inquilini mi lasciano le chiavi di casa quando d’estate vanno a villeggiatura./ Vero è, ok non ci pensiamo più./ Fine.

    Il ragioniere salì al quarto piano dove viveva. Appena a casa si tolse la giacca, slacciò il nodo della cravatta, si prepara un caffé. Quando fu pronto portò la tazzina sulla scrivania dello studio e bevve il caffé guardando il telefono come se i mafiosi dovessero telefonargli da un momento all’altro. Ma il telefono rimase muto per tutto il giorno se si escludono due telefonate dei figli, una di una Finanziaria che insisteva per prestargli soldi e una di una partita di questi che ti vogliono fare un contratto nuovo del telefono e ti dicono la metà delle cose in inglese.

    La giornata passò così. Ma la nottata fu agitata. Almeno quella del ragioniere che si svegliò tante volte, un po’ per la prostata, un po’ per il pensiero. Ogni tanto si affacciava al balcone e dava un occhio giù nel piazzale col prato e le grandi aiuole. E pensava a quanto aveva dovuto combattere, insieme agli amministratori degli altri due edifici, per convincere i condomini che il prato serviva per i bambini e non per posteggiarci i motorini, e nemmeno per portarci i cani a fare i bisogni.

    La mattina (per lui voleva dire le sei: ah, i vecchi….) si spicciò prima possibile e scese. Aprì il portone con lo scatto elettrico dall’interno e guardò subito la serratura nuova montata la mattina precedente.

    Un’altra lacrima di colla gli gelò il sangue, gli annebbio la vista e gli fece tremare le gambe. Forse sarebbe caduto come un sacco di patate se non lo avesse sostenuto Benedetto arrivato proprio in quel momento. E, anche lui, con lo stesso pensiero.

    “Benedetto – disse – la cosa è seria. Qua qualcuno ci vuole tastare il polso. Ma non si fa avanti”.

    “Io che devo fare, ragioniere?”.

    “Niente. Chiama di nuovo a Mastro Vincenzo e chiedigli dove ha passato la notte”.

    “Ma che sta dicendo, ragioniere?”.

    “Niente Benedetto, sto scherzando. Chiamalo e fagli portare un’altra serratura ma digli che si deve stare muto che qui stiamo pensando a come uscircene da questa situazione”.

    “E come ce ne usciamo?”

    “Ancora non lo so”.

    “A posto siamo….”.

    “Non ti preoccupare Benedetto. Non ti preoccupare”.

    Come tutte le persone di una certa età, il ragioniere De Ruggiero adorava camminare. Prima di ritirarsi in pensione andava a piedi allo studio due volte al giorno. Adesso non rinunciava mai a una passeggiata ogni mattina. Di solito se ne andava al giardino inglese dove si sedeva al bar e leggeva il Giornale di Sicilia da cima a fondo. Cioè dieci minuti. Quella mattina, invece, scese sino in via Libertà. Aveva intenzione di andare a trovare un vecchio amico. Più giovane di lui di almeno dieci anni. Ma negli ultimi venti si erano visti spesso, si erano incontrati nel quartiere e, quando era possibile, non rinunciavano mai a una bella chiacchierata sul tempo e sui tempi.

    “Augusto qua sei? Ma che bella sorpresa. Vieni vieni. Te lo prendi un caffé? Sì? Gargiulo! telefonia al bar e fai portare due caffé. Tre, se te lo prendi pure tu”.

    “Subito Maresciallo”.

    “Allora Augusto, che ci fu? Due chiacchiere o ti serve qualche cosa da questo vecchio sbirro?”.

    Vincenzo Scibilia era un ispettore di Polizia. Comandava la squadra investigativa del Distretto. Era tutto occhi. Nel senso che a guardarlo ti sembrava un anziano lavorante di sartoria. Ma gli occhi… ah quegli occhi! Erano grandi come sempre pronti a farsi meraviglia, ma sapevano diventare stretti come quelli che non si meravigliano più. Erano morbidi come una carezza ma sapevano diventare appuntiti e torti come una trivella. Il Maresciallo, come tutti lo chiamavano, era uno all’antica: non guardava mai l’orologio, l’aveva sempre con lo Stato per il quale si sarebbe fatto uccidere, era implacabile ma non dimenticava che, per quanto feroci, scaltri, disonesti fossero molti di quelli che gli passavano per le mani, sempre di persone si trattava. Allora quelle mani restavano sempre basse. Per un altro uomo all’antica come il ragioniere De Ruggiero, il Maresciallo era l’ideale. Così gli racconto tutto, ma proprio tutto, compresi i suoi sospetti subito abortiti su Benedetto.

    “Augusto – disse il Maresciallo – non lo so. Un’estorsione a un intero condominio? Non lo so…non mi suona…”.

    “Se è per questo neanche a me…”.

    “Vedi qual è il problema? Se ti vengo a fare il danno nella tua bottega, ho un rapporto con te e basta. Tu sai quanto sono pericoloso e io so che tu una certa cifra la puoi e la devi pagare. Amen. Questo diminuisce la possibilità che qualcuno sgricia, si fa convinto di venire qui o dai Carramba. Mi spiego? Bene. Ora, in un condominio – invece – i tuoi potenziali chiamiamoli così, clienti sono quanti? Quaranta? Cinquanta?. Il pizzo al condominio – e tu lo sai meglio di me – non è tanto facile. Tanto per cominciare: chi decide di pagare o no? Una bella assemblea…. te lo immagini Augusto? Un’assemblea di condominio per decidere di pagare il pizzo, tanto l’uno ogni mese. I condomini, che se fosse per loro, butterebbero in mezzo alla strada tutti i portieri del mondo e il pianerottolo ce lo farebbero lavare al filippino e no all’impresa. E se le cose stanno così, quante sono le possibilità che pure il 5 per cento di cinquanta non se l’accolla e se la canta? Ma quale 5 per cento. Basta uno, uno solo che pensa che con questi infami non vuole avere a che fare. Se ci pensi, è proprio quello che è successo. Anche se sei venuto direttamente tu che sei l’amministratore. No Augusto, non ci credo”.

    “Mah… Vincenzo, sarà come dici tu. Sei tu lo sbirro. Ma io non riesco a immaginare altro”.

    “Intendiamoci: io dico che non è cosa di pizzo, ma la mano sul fuoco non ce la posso mettere. Una volta c’erano certe cose che le faceva un certo tipo di gente e basta. E se non c’era un certo tipo di gente, nessun altro faceva un certo tipo di cose. Non so se rendo…. Ma ora? Chi lo sa? C’è molta confusione …”.

    “Appunto Vincenzo. Appunto. Io questo dico”.

    “Comunque quello che posso fare e di vedere che si dice piedi piedi e ti faccio sapere”.

    “Ma io la denuncia la devo presentare o no?”.

    “Per ora no. Anzi non fare sapere in giro che sei venuto qua, va bene?”.

    “Ah no?”

    “No, meglio di no”.

    “Bah Vincenzo, mi devo spaventare?

    “Ma no Augusto. È solo per l’effetto sorpresa. Stai sereno”.

    Il ragioniere se ne tornò a casa avvinto da mille pensieri. Quel pomeriggio riposo di un sonno breve e agitato costellato da fiamme e botti. Sognò Benedetto con la coppola e la lupara, il professore Giannilivigni con una cicatrice da orecchio a bocca, l’avvocato Mollica che difendeva Binu u Tratturi in un tribunale dove i giudici avevano il panciotto di velluto a coste. Perfino la signorina Lo Coco, la maestra di pianoforte in pensione del primo piano, la sognò tutta vestita di nero con un rosario in mano a una veglia funebre.

    La sera se ne andò a cena da sua figlia, la più piccola, la mollichina sua (sposata e madre di tre figli dei quasi uno già al liceo) che abitava poco distante. Verso mezzanotte tornò a casa e infilò la chiave nella toppa. Chiedo scusa: tentò di infilare la chiave nella toppa perché la chiave non entrò. Guardò l’orologio: mezzanotte e un quarto. Lui era uscito alle nove. Bussò da Benedetto per farsi aprire. Era troppo tardi per telefonare al suo amico maresciallo. Lo avrebbe chiamato l’indomani mattina. Ando a dormire ma tornarono i sogni terribili: il palazzo era circondato dai parà mandati dal governo. C’erano i blindati coi cannoni, i sacchi di sabbia, i controlli con il passaggio a livello. Nel prato c’era perfino una tenda della Forestale. E ogni tanto suonava una campanella e tutti dovevano rientrare in casa al più presto: driiiinnnnn , driiinnnnnn, driiinnnnn….

    Il ragioniere si rese conto di essersi svegliato ma il campanello continuava a suonare. E certo. Era il suo telefono.

    “Pronto?” disse guardando l’orologio: erano le sette e mezzo. Aveva dormito fino a tardi dopo la nottataccia

    “Pronto Augusto, Vincenzo sono. Scusa se ti ho chiamato così presto”

    “Ma no Vincenzo, anzi. Ti avrei chiamato io. Stanotte di nuovo e…”

    “Senti Augusto, non posso stare molto ma ti volevo invitare a venire stamattina verso le undici e mezzo al distretto. Ho organizzato una bella riunione”.

    “Una riunione? non capisco”

    “Sì, sì. Una bella riunione: vieni tu, il portiere di casa tua e poi gli amministratori e i portieri degli altri due palazzi di Largo Fiorito. Ho pensato che forse è meglio vedere la cosa da più lontano. Magari qualche cose così è capitata pure a loro”.

    “Ma no: lo avrei saputo”.

    “E no che non l’avresti saputo. Perché, loro lo sanno quello che è capitato a voi?”

    “No, infatti. Hai ragione. E comunque ti dicevo di stanotte…”

    “Più tardi ne parliamo”

    “Più tardi… Va bene, come dici tu”

    “Sereno Augusto. Stai sereno”

    “Vorrei vedere a te…”

    Alle undici e mezzo Il ragioniere si presentò al distretto. Lo fecero entrare in una stanza dove c’era un tavolo lungo lungo con otto sedie attorno. Non c’era ancora nessuno ma, poco dopo arrivarono nell’ordine: il ragioniere Occhipinti, amministratore del condominio dello stabile al civico 7, Stefano, il portinaio del civico 11, Benedetto, il colonnello Anfuso, amministratore del civico 11, Giuseppe, portinaio del civico 7. Tutti si conoscevano, tutti si salutarono, tutti scambiarono due parole d’occasione, tutti si sedettero. E a quel punto arrivò l’ispettore Scibilia con un assistente.

    “Signori, buon giorno. Grazie per avere accettato il mio invito. Sia chiaro che questa non è, come si dice, una convocazione. È, appunto, solo un invito. Al quale comunque avete risposto tutti e di questo vi ringrazio”

    “Non c’è di che – disse col suo vocione il colonnello Anfuso – ma se ci spiegasse pure il motivo di questo invito, credo che apprezzeremmo”.

    “Certo, è giusto. Allora non perdiamo tempo. Nella vostra zona si è verificato un fatto spiacevole. Qualcuno si è divertito a riempire di colla la serratura del portone principale del civico n. 9”.

    Scibilia li guardò tutti uno per uno ma da nessuno di loro venne un benché minimo segno di reazione. Poi continuò

    “L’amministratore del condominio, il ragioniere Augusto De Ruggiero che tutti qui conoscete, ci ha informati degli episodi e, su mio consiglio, non ha ancora presentato una denuncia”.

    “E perché mai – insorse il colonnello Anfuso impugnando minacciosamente il bastone che si portava sempre appresso – Perchè mai dare anche un piccolo vantaggio a questi mafiosi. Che succede? Ora se la pattia pure lo Stato? Caro Maresciallo, mi meraviglio. Conosco bene il Dirigente del Distretto e le preannuncio che mi rivolgerò a lui”. E si sedette con l’aria di uno che dice: tieni qua, mangia!

    “Faccia pure – disse il maresciallo senza fare una piega – Lei è un uomo libero e può parlare con chi preferisce. Ma intanto, sia gentile, ascolti me”.

    “Giusto dice Colonnello – mormorò il ragioniere De Ruggiero – sentiamo com’è il fatto così ci mettiamo un punto. Perché un punto ce lo mettiamo, giusto maresciallo?”

    “Penso proprio di sì – disse Scibilia – Allora: quando il ragioniere De Ruggiero mi ha raccontato la storia, gli ho spiegato che difficilmente la mafia tenterebbe di chiedere il pizzo a un condominio…”

    “E perchè no – disse il colonnello Anfuso – Mi dica a chi non lo hanno chiesto…”

    “Non a un condominio – insistette il maresciallo – troppa gente, bassa garanzia di riservatezza. Alto rischio che qualcuno se la canti. E poi: due azioni una dietro l’altra. Anzi tre visto che stanotte… di nuovo. Non sono sistemi della mafia. Quelli quando fanno un’intimidazione alla vittima la fanno cuocere a fuoco lento, ci vanno, gli fanno capire che.. lo vedi che succede?. Invece qui stavolta niente: nessuno spunta, nessuno si fa sentire.

    “E allora – chiese con voce un po’ angosciata il ragioniere Occhipinti – come siamo combinati?

    “Siamo combinati – riprese Scibilia – che mi sono convinto che questa non è roba di malavita. Il resto non è stato tanto difficile”.

    “E…. – disse il colonnello Anfuso – ora ce lo dice pure a noi? Sì?”

    “Certo colonnello – disse il maresciallo – così al Dirigente ce la racconta tutta. Allora: ragioniere De Ruggiero…”

    L’anziano contabile fece quasi un balzo sulla sedia: “Sì?”

    “Al settimo piano scala B del civico n. 9 chi ci abita?”

    “Al settimo B? Il signor Raccuglia e l’architetto Amato. Ma che c’entra?”

    “E mi dica un’altra cosa: com’è composta la famiglia dell’architetto Amato?”

    “Lui – rispose il ragioniere – la moglie signora Federica, il figlio Fabrizio e la figlia Giulia”

    “E basta?

    “Certo, marito moglie e due figli”

    “No ragioniere. Si sta scordando a qualcuno…”

    “Ma no, sono in quattro… ah… ho capito. Al Capone…

    “Lo avevo detto io! – esultò il colonnello Anfuso – Lo avevo detto io che c’entrava la mafia”.

    “Be’ – sorrise Scibilia – in un certo senso… Il fatto è che Al Capone è un cane”

    “Un cane? dissero in coro il colonnello Anfuso e il ragioniere Occhipinti.

    “Esatto – spiegò il maresciallo – Al Capone è un bellissimo cane di razza boxer”

    “Va bene – disse il colonnello ormai confuso come un frappé – ma che c’entra il cane con la colla nei catenacci?

    “Questo – disse il maresciallo – ce lo facciamo spiegare da uno che sta seduto attorno a questo tavolo e che lo sa. Signor Lo Cascio Stefano, ce lo racconta lei come fu e come non fu?”

    Ci fu un movimento di occhi che sembravano i fari della sigla della 20th Century Fox. Tutti diretti verso Stefano, il portiere del civico 11, quello amministrato dal colonnello Anfuso. L’uomo, di statura minuta, era però tracagnotto e la sua quasi obesità era accentuata da un cranio completamente calvo. Si guardò attorno spaurito. “Ma io – bofonchiò – che c’entro? Che state dicendo? Io non so niente di tutte queste cose”

    “Oh sì che lo sai, signor Stefano – disse con calma serafica il maresciallo – e se vuoi ti faccio vedere subito il filmino che abbiamo fatto stanotte mentre mettevi la colla nella serratura del portone del tuo collega Benedetto. Con la corporatura che hai, è difficile scambiarti per un altro”.

    “Brutto figlio di buttana – ringhiò Benedetto che cercava di alzarsi a stento trattenuto dal ragioniere De Ruggiero e dal suo collega Giuseppe, quello del civico 9 – Tu fosti? Mi volevi rovinare, pezzo di cornuto. Lo sai che la stavano accollando a me? Non lo dicevano, ma era chiaro che loro pensavano a me in primis… disonesto che non sei altro”

    “Lei maresciallo – disse senza tanta boria il colonnello Anfuso – naturalmente può provare le sue accuse, giusto?

    “Le posso provare sì – disse il sottufficiale mostrando un dischetto – qui c’è la registrazione della telecamera di sorveglianza dello sportello bancomat della Banca Popolare Cooperativa che inquadra pure l’ingresso del civico n. 9”.

    Stefano era una statua di sale. Il colonnello Anfuso puntò il bastone verso il suo petto: “Ora devi spiegare….”

    “Un momento – disse il maresciallo – solo un momento. Quando stamattina ho visto il filmato non c’è voluto molto per identificare il signor Lo Cascio. Solo che volevo capire perché. La domanda era: che problemi poteva avere il portiere del civico 11 con i condomini del civico 9? E poco fa, proprio prima di venire qui, ho avuto la risposta. E mi hanno raccontato di Al Capone e dell’architetto Amato….”

    Stefano, a questo punto, sbottò: “Era lui il vero mafioso, altro che…. Ci pareva che quando passava lui e quel canazzo, tutti ci dovevamo levare il cappello. Una volta ci dissi che lui il cane libero non lo doveva scendere. Che lo doveva tenere al guinzaglio perché nel prato c’erano sempre i picciriddri e quello si poteva fare convinto di prenderli a muzzicuni”.

    “E che successe? – chiese il ragioniere De Ruggiero pensando che, per dirla tutta, quel borioso di architetto non lo aveva mai potuto addolorare.

    “Successe – disse Stefano – che una volta portò il cane davanti alla mia portineria e quello, tranquillo tranquillo, si fece una bella cacata. Io ero entrato dentro a distribuire la posta nelle cassette e quando uscii vidi la coffa di merda sopra il tappetino e lui che si allontanava. Lo chiamai e manco mi rispose. Dopo due giorni io stavo dando acqua alle piante della portineria quando lo vedo passare col cane davanti all’ingresso. Lo vedo mentre porta il cane proprio sul teppetino e, tappete!, un’altra bella cacata! Esco come un pazzo e ci dico: ora deve pulire e la prossima volta il cane lo deve portare in un altro posto… E lui lo sapete che mi disse? Pulire io? E che faccio il portiere? Tu devi pulire. E se ne andò. Io sono un padre di famiglia, maresciallo, ma ci giuro che se ero armato ci avrei sparato”.

    “Menomale che non ero armato, allora – disse Scibilia – ma come ti sei persuaso di mettere la colla?”

    “Perché se lui era mafioso con tutta quella prosopopea, ci facevo vedere che le cose della mafia le sapevo fare pure io”.

    “Lo Cascio – disse il maresciallo – sei un pezzo di scemo e non ne sai un cazzo, con rispetto parlando, delle cose della mafia. E quello di dove lo doveva capire che eri tu a mettere la colla? Che danno facevi a lui, proprio a lui?”

    “C’è pure – disse Stefano – il fattore che nel suo palazzo tutti sapevano che quel cane andava cacando di qua e di la. So che qualcuno si era lamentato. Ma nessuno ci diceva niente. Tutti appattati erano….”

    “Ma che dici Stefano – insorse il ragioniere De Ruggiero – Abbiamo fatto tre circolari proprio dedicate alle regole quando si portano gli animali fuori. Abbiamo spiegato che bisogna portarsi dietro la paletta e il sacchettino….”

    “Sì – disse Stefano scuotendo la testa – me l’ho visto questo firm…”

    “Comunque – tagliò corto Scibilia – Adesso tocca a voi. Se il ragioniere De Ruggiero, o chiunque altro di voi, presenta una denuncia, io devo dare seguito. Che mi dite?”

    “Ehm – si fece avanti il colonnello Anfuso – Ehm….certo la cosa è grave e sicuramente l’assemblea dei condomini mi chiederà di licenziare il signor Lo Cascio. E forse questa è una punizione sufficiente. Ma la denuncia penale…”

    “Lo Cascio – disse Scibilia – tu perdi il posto. Ma mi pare di capire che finisci anche denunciato perché il colonnello deve raccontare tutto al mio Dirigente e allora, sai, non si può evitare. Bene, io ho finito, arrivederci a tutti….”

    “Un minuto, un minuto – disse il colonnello – senza avere premura. Ma quale Dirigente maresciallo? Non c’è bisogno di parlare con nessuno. Qui siamo tutti uomini d’onore. Sì insomma non in quel senso. Persone per bene, va.

    “Benissimo – disse il maresciallo – allora ora licenziate a Stefano e prendere a uno che la merda dal tappetino la leva senza fare discussioni. Ho capito bene?”

    “No cavaliere, che c’entra? – disse a questo punto il ragioniere De Ruggiero – Il mio collega Anfuso licenzia uno che ha commesso un reato penale ed è già tanto se non lo fa andare in galera”.

    “Mah… ragioniere – disse il maresciallo accarezzandosi i pochi capelli in testa – Magari Stefano si accolla tutte le spese sostenute, paga i danni e questa cosa la consideriamo come un incidente stradale e la chiudiamo qui così nessun padre di famiglia ci appizza il posto e nello stesso tempo capisce che sono cose che non si fanno. Come vi sembra? Facciamo così?”

    Tutti, tranne Stefano, si guardarono in faccia l’un l’altro. Alla fine tutti consegnarono negli occhi del ragioniere De Ruggiero un cenno di assenso.

    “Va bene – disse il contabile – facciamo come dice lei e non ne parliamo più. Stefano, tu domani passi da me che ti dico quanto mi devi dare”

    Alla fine tutti se ne andarono. Ma il ragioniere De Ruggiero si fermò ancora un po’.

    “Vincenzo – disse passando al “tu” adesso che erano rimasti soli – ti volevo ringraziare. Anche se forse il licenziamento se lo meritava”.

    “Forse, Augusto – disse Scibilia – Forse. Ma in fondo non è cattivo. E nel palazzo ho saputo che tutti lo vogliono bene e che pure lui è in servizio da tanti anni. Perderebbe il lavoro ma pure la casa e sicuramente pure la dignità. Mi pare esagerato, francamente”.

    “Sì, forse hai ragione…”

    “Lo penso anche io Augusto. Abbiamo fatto la cosa giusta. Ah, a proposito di cose giuste….”

    “Dimmi amico mio….”

    “Spiega al signor architetto Amato che da domani io levo un uomo dall’antiscippo – e sottolineo dall’antiscippo per dirti che sarà un picciotto di quelli che non sono tanto teneri di muso – e lo metto fisso nel prato davanti al palazzo tuo. Spiegagli che ogni cacata del suo cane gli costerà centinaia di euro di multa. Quindi lui scende il cane e si porta paletta e sacchetto. E la merda di Al Capone la coglie lui. Anzi lo sai che ti dico? L’uomo non lo prendo dalla squadra antiscippo ma dalla squadra antimafia. In fondo si tratta di dare la caccia alla merda di Al Capone, è giusto?”

    Solo a Palermo
  • 19 commenti a “Condominio”

    1. questo racconto mi solleva dalla depressione. Peccato che è solo un racconto “di fantasia”

    2. E’ bellissimo, grazie!

    3. Notevole, sembra una storia vera, ma è vera?

    4. Diciamo che ha preso spunto da una storia vera

    5. Si vede che molti lettori di Rosalio non leggono i giornali!
      P.S. Billitteri è l’unico autore di questo Blog che riesco a leggere anche dopo la decima riga. (ma forse c’è qualcun’altro)

    6. Che piacere leggere un post così! Bravo!

    7. Grazie Billy, assolutamente STRATOSFERICO!
      e se penso che è a gratis …….. mi emoziono. grazie.
      @ Zelig
      grazie anche a te, di sapermi apprezzare .. 😀

    8. “Billitteri è l’unico autore di questo Blog che riesco a leggere anche dopo la decima riga1
      @zelig, escluse rare eccezioni concordo con te.

    9. Caro Daniele ti faccio ancora una volta i miei complimenti per questo come per gli altri regali che fai a noi, tuoi lettori!
      Grazie!

    10. Bella storia, gradevole da leggere. Complimenti.

    11. @stalker
      le rare eccezioni sono quelle dei post sul Gds? O di quelli su Contrada? Eh eh eh eh. E cmq mille grazie

    12. Ci stai abituando “troppo male”, Billi.
      Io te lo dico: se poi mi viene di nuovo una “crisi di astinenza” è colpa tua! 😉

    13. @Daniele Billitteri, a farti un complimento ti metti al centro del mondo???
      per rare eccezioni intendevo altri pochi ospiti o autori di rosalio che riesco a leggere (con piacere) oltre la decima riga!!!!
      e poi ho un carateraccio ma non sono rancorosa…è troppo faticoso 😉

    14. Daniele ma come fai? Un vero maestro!
      E’ un piacere collegarsi la mattina e leggerti!!

    15. Complimenti, sig. Billitteri: bella storia veramente.
      A quando la prossima puntata delle imprese del “Maresciallo Scibilia”? 😉

    16. Scusate allora ditelo chi sono queste rare eccezioni oltre Billitteri no? Così ci facciamo una idea.

    17. Billitteri, io ti avverto: ho saputo che Camilleri e Montalbano ti vogliono denunciare: dicno che le storie del Maresciallo Scibilia sono più meglio assai delle loro storie. Ora sono uccelli senza zucchero per te 😀

    18. @giovanni, il primo che mi viene in mente è davide enia, anche se a volte alla decima riga non ci arriva lui….a scriverla!

    19. Un grandissimo. A quando un nuovo libro ?

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