Vedere il tempo che passa è uno dei miei hobby preferiti. Adoro scrutare i minimi cambiamenti che un giorno ha lasciato in eredità all’altro, in una catena a cui non so dare un inizio, ma che certamente per me avrà fine. Credo sia questa la cosa più bella di continuare a vivere nella città in cui sei nato: ti accorgi, come fai con un figlio, quanto cresca di più ogni giorno. Ma io, che devo cercare sempre il pelo nell’uovo, guardo Palermo come guardo mia nonna: cerco di coglierne le crepe, le rughe, i cedimenti. Per questo cammino sempre a piedi. Uno dei miei osservatori preferiti è Piazza Indipendenza, l’antica Piana di Santa Teresa, il cui nome è mutato dopo la costruzione dell’obelisco ai caduti che adesso domina il centro della piazza. I bambini, se potessero, certamente abolirebbero il monumento o quantomeno le grate che lo attorniano, vero e proprio cimitero dei Super Santos.
Da qui posso vedere le mie tre età che cambiano. C’è l’età della mia città, con la Piazza che si evolve, l’assetto viario che cambia, le fermate del bus lì dove prima c’erano le carrozze, molti alberi e negozi che spuntano come funghi e poi scompaiono, illuminati dall’insegna a intermittenza del Bar Santoro. Ci sono lo Stradone dei Porrazzi (ora Corso Pisani) e lo Stradone di Mezzomonreale (Corso Calatafimi) che quasi non si riconoscono più affollati come sono di automobili e motorini; c’è il Palazzo dei Normanni (che forse dovrebbero rinominarlo degli Inganni o degli Affanni, a seconda del punto di vista da cui vedi la cosa) che mi saluta mentre attraverso la strada; ci sono le lunette lignee delle edicole davanti il Papireto che hanno perso la loro battaglia contro lo smog e c’è l’aquila, lassù, sulla Porta Nuova che ogni giorno mi rammenta la fierezza di essere palermitana. Continua »
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