Anniversari tra dubbi certi e certi dubbi
Sono trascorsi 17 anni dalla strage di via D’Amelio e ieri ho letto sulle agenzie che i palermitani che hanno preso parte alle manifestazioni erano “pochissimi”. Oggi l’Italia intera si convincerà che questa è una città irredimibile, che a un palmo dal nostro culo può crollare il mondo. Una città dove le panelle si impastano col cinismo, dove il tira a campare è la bibbia, dove triste è il popolo che ha bisogno di eroi e che ci possiamo fare se questo Borsellino non si faceva i cazzi suoi.
Ora, con tutto il rispetto, io credo che questa sia una lettura superficiale della realtà, una di quelle letture “politicamente corrette” che finiscono col diventare l’intepretazione standard che scatta come un meccanismo automatico bene oliato.
Ho visto le foto dei cortei, quei tantissimi giovani venuti da tutta Italia con gli striscioni. Molto carini, tanto edificanti, ben vengano. Onore a loro e benvenuti in città. Onesti ragazzi, pieni di buone intenzioni ma, ahimè, scarsi di conoscenze della complessità del fenomeno e con una certa tendenza a semplificare. Per cui tutte le stragi sono “di stato”; la verità vera (sic!) non verrà mai raggiunta perché c’è sempre un intrigo dei servizi deviati e della P2; perché la mafia è nelle istituzioni; etc etc.
Naturalmente so bene che queste semplificazioni affondano le radici in avvenimenti che appartengono alla storia di questo Paese a cominciare da Piazza Fontana o dall’attentato alla stazione di Bologna.
Penso tuttavia che vicende così gravi avrebbero bisogno di ragionamenti al posto di questa sorta di “dubbi standard” che somigliano di più a incrollabili certezze. Pietro Grasso, che certo non può essere sospettato di essere un tipo tiepido con cosa nostra, ha detto che ogni ipotesi investigativa dà il suo contributo alla verità in quanto e quando viene verificata con scrupolo. Uno scrupolo fatto di professionismo investigativo, di capacità di ragionare, di competenza e di esperienza. Non può bastarci una teoria. D’altra parte che la strage di via D’Amelio sia una “strage di stato” ormai lo dice pure Totò Riina. Una strana forma di Pensiero Unico.
Io non mi voglio rifiutare di ragionare. Anche se i ragionamenti confliggono, in prima intenzione, con i miei sentimenti e con le mie idee. Ma coltivare il dubbio senza farne mai una certezza, mi pare ancora un buon modo di ragionare. Dunque vediamo.
1) L’ipotesi che la strage di via D’Amelio sia scaturita da un “idem sentire” tra cosa nostra e pezzi dello Stato perché Borsellino sapeva della “trattativa” di cui al famoso “papello”, mi pare francamente una bella trama. E basta. Credo di più a un Ciancimino che millanta ruolo di “collegamento” che non ha più (per pararsi il culo in tempi in cui la perdita di ruolo si paga con la morte, vedi Salvo Lima), oppure a qualche ufficiale dei Carabinieri che traccheggia giusto per non perdere l’abitudine e per cercare di arrivare così a qualche cattura clamorosa che produca prime pagine e aperture dei tg. La domanda semplice è: perchè non può essere stata la mafia e basta a massacrare Borsellino e i suoi? Che bisogno c’era della complicità di chicchessia? Forse Riina e i suoi avevano bisogno che qualcuno spiegasse loro quanto irriducibbile fosse Paolo come nemico giurato della mafia? Gente che ha fatto fuori da Giuliano a Chinnici, a Terranova, a Piersanti Mattarella, a Pio La Torre, a Dalla Chiesa e ai cento altri “vip” del settore, ha veramente bisogno che qualche sbirro segreto l’aiuti o – peggo- gli spieghi come si fa?
2) L’obiettivo era togliere di mezzo un eventuale ostacolo della “trattativa”? Ma non è forse vero che la trattativa consisteva, appunto, nella concessione ai mafiosi detenuti di un carcere meno duro in cambio dello stop allo stragismo? E allora com’è? Si fa una strage per consentire la prosecuzione di una trattativa che, da parte dello Stato, mira a interrompere la strategia stragista?
3) Nei comizi di ieri c’è chi ha detto che da Castel Utveggio partì la telefonata con l’ordine di premere il bottone. Ma dico io, ma ci vuole coraggio. Perchè mai il fuochista di via D’Amelio avrebbe dovuto aspettare quell’ordine remoto visto che tutto era pronto, che l’obiettivo era visibile e che il “Go!” era unicamente legato al momento del passaggio delle vittime accanto alla 126-bomba?
4) Borsellino, nei cento giorni che lo divisero dalla morte di suo “fratello” Falcone, non smise mai di sottolineare, parlando con i cronisti di nera e di giudiziaria quanto “poco tempo” gli rimanesse per fare ciò che doveva, che la sua morte era stata decisa già al momento di quella di Falcone. Nessuna “improvvisa scoperta”, dunque, di quanto fosse diventato ostacolo perché sapeva del “papello” Ostacolo lo era già da molti anni. Dai tempi dell’Ufficio istruzione “targato” Rocco Chinnici.
Questi sono i miei dubbi, credo, onesti. Le equazioni le lascio alla matematica perché la storia e la ragione le usino quando serve e quanto basta. Ma sulla scarsa affluenza dei palermitani alle manifestazioni dell’anniversario mi permetto di esprimere una valutazione diversa.
Penso che, a diciassette anni di distanza dalla strage, il palermitano sia stanco di partecipare a manifestazioni in cui la ritualità e lo “sloganismo” spesso prevalgono sull’emozione che si vuole sollecitare in chi viene richiesto di partecipare. Come se ci fosse una sorta di “messale” degli anniversari. Come ha giustamente detto Rita Borsellino, quasi rispondendo al fratello Salvatore che parlava invece di “tradimento”, il ruolo della città nelle vicende dell’antimafia è leggibile nel fiorire delle associazioni antiracket, nel cambiamento di passo di tante istituzioni (la Confindustria, per esempio) nei confronti della consapevolezza della gravità della situazione, nei risultati che gli investigatori hanno ottenuto nell’azione di contrasto per quanto li compete e malgrado l’insufficienza dei mezzi: la cattura dei super latitanti, la disarticolazione di famiglie mafiose perfino ancora in formazione in sostituzione di famiglie già debellate ,
Certo, c’è il ventre molle della politica. Ma anche lì ormai tutti sanno come si fa. Al giornale in questi casi i telefoni diventano incandescenti perchè arriva la pioggia dei comunicati “caldi” “solidali” “partecipati” “affiancati”. E che lamentele arrivano se qualcuno finisce dopo qualcun altro nella “scaletta”. Insomma l’importante non è vincere, ma partecipare. Questa evidenza vi pare più confortante rispetto al fantasma dei “servizi deviati e della P2” che mi fanno tanto pensare alle “0scure forze demo pluto cripto giudaico massoniche” che muovevano le fila dell’opposizione antifascista durante il Ventennio?
I palermitani forse sono solo stanchi delle lunghe liste di politici che si cospargono il capo di cenere, di piccole forze politiche che cercano visibilità e si pongono ancora il dilemma tra partito di lotta e partito di governo, dei movimenti dell’antiopolitica, del piove governo ladro dove un posto in europa si può sempre scattiare. Sono passati diciassette anni e chi non va alla manifestazione per Borsellino non per questo è traditore, non per questo è contiguo a cosa nostra, non per questo è concorrente esterno. Secondo lo stesso principio basta non mancare nella “lista dei solidal”i per garantirsi la patente antimafia. Il popolo palermitano è invece’ – forse – solo stanco di ovvietà e di teorie che improvvisamente, miracolo miracolo, diventano fatti inoppugnabili. Non mi vedrete mai davanti alla tomba di mio padre il 2 novembre. Ma questo non vuol dire che l’abbia dimenticato. Anzi, forse mi ricordo di lui ogni giorno quando cerco di fare quello faccio come lui mi ha insegnato a fare: distingeure le ombre dagli oggetti veri con la luce della ragione e del buon senso. Penso a tutti i palermnitani che in questa città senza governo ogni mattina escono di casa e vanno a lavorare, penso agli studenti, penso agli insegnanti, penso agli impiegati, agli operai, ai precari, a tutti quelli che vorrebbero una città migliore ma che non se ne vanno. Alla faccia dei palermitani cui invece va benissimo che Palermo sia così. Che sono tanti. Ma gli altri sono di più. È bene che lo sappiano i boy scout venuti da San Benedetto Pò a guardarci come fossimo tutti iene. Perché noi, che diamine, siamo i Gattopardi.
Ottimo post.
Grazie per il post. Tranne l’ultima frase.
Ho letto su Repubblica (se ricordo bene) di un gran traffico telefonico di un’utenza clonata un’ora prima e di una chiamata inviata subito dopo l’attentato verso un cellulare clonato che si trovava a Villa Igiea, dunque c’è da indagare e infatti hanno riaperto le indagini.
qunado io non riesco a capire una cosa adotto il metodo di cambiare la distanza di messa a fuoco: o mi avvicino o mi pongo ad una distanza maggiore. per avere ragione del perchè delle stragi penso che ci voglia ancora tempo. una cosa però è certa la gente sta cambiando, le dennuce amunetano, essere mafioso non è più una medaglia da portare con orgoglio. potrebbe essere che qualche pezzo dello stato sia stato deviato e che con la mafia si siano utlizzati a vicenda per raggiungere fini comuni, ma pesno pure che ormai questo legame si sia definitvemtne rotto, e questo mi da una speranza per me, per le persone a me care e per tutti i siciliani.
Condivido.
Il problema, con le stragi di Falcone e Borsellino, sono questi maledetti pentiti o collaboratori che dir si voglia. Che rivoltano le carte in tavola, modificando scenari già acclarati e che facevano dormire sonni tranquilli a noi così come a certi personaggi ormai ben annidati nelle istituzioni. E quando questi collaboratori si dimostrano affidabili ed i loro racconti vengono riscontrati, tutto il castello di carte costruito con cura finisce per subire uno scossone.
E allora saltano fuori, o per meglio dire ri-saltano all’attenzione quei piccoli dettagli che con tanta cura avevamo provveduto a rimuovere.
E così ci si ricorda delle agende, dei papelli, dei presunti incontri del vicepresidente del csm, di Contrada. Saltano fuori tabulati telefonici che non erano stati controllati e che sono stranamente coincidenti coi tempi delle stragi e così via dicendo.
E noi, che stavamo tranquilli, dopo 17 anni dovremmo rimettere tutto in discussione? Dovremo ricominciare a ricordarci di quelli che brindavano a champagne la sera dell’attentato?
No, grazie. Abbiamo già dato.
Borsellino è morto. O è vivo. Fate voi.
Non ci interessa più. Non ci interessano più le dichiarazioni di “eroismo senza tempo” fatte da ministri o da politici ai quali sappiamo bene quanto fastidio dia dover recitare ogni anno la stessa pantomima.
Non ci interessano più le dichiarazioni sibilline di Genchi, che sapeva qualcosa avrebbe dovuto dirla quando l’ha scoperta anni fa (visto che è un pubblico ufficiale) e non tenersela per se.
Non ci interessa sapere oggi, che Borsellino forse è stato ammazzato dallo Stato. Lo sapevamo già 17 anni fa.
[…] si crive qua, e come “ha sottolineato ancora Rita Borsellino, quasi rispondendo al fratello Salvatore […]
Falcone e Borsellino sono stati uccisi, o dalla mafia o dallo stato, o da entrambi, comunque sia da criminali disonesti che non amano la legalità, la giustizia,ma tramano per avere il potere e il controllo sul territorio e si cibano di cadaveri, quindi sono stati uccisi da iene.
I colpevoli pagheranno comunque, perchè il male alla fine si ritorce contro chi lo fa.
Alle manifestazioni i palermitani erano pochi !?!
La Borsellino smentisce,perchè le manifestazioni erano diverse, e comunque credo che i palermitani siano stanchi dopo tanti anni di partecipare a “veglie funebri”.
Falcone e Borsellino vivono nella coscienza dei siciliani onesti,e la nostra lotta ormai forse è più silenziosa, ma non meno vera , e la consapevolezza di tutti è aumentata.
Ai giovani non fa male documentarsi e partecipare.
Come dice Isaia Panduri, noi abbiamo già dato.
Falcone e Borsellino sono morti anche per colpa dei palermitani. ricordo a quanti l’avessero dimenticato che un gruppo di cittadini aveva proposto di spostare i giudici in un luogo lontano dal centro città. Falcone e Borsellino sono stati lasciati soli a combattere contro la mafia e contro lo stato. e quando le bombe devastarono Palermo, la città fu svegliata solo dall’emozione dell’evento, ma anche e soprattutto dall’esasperazione. i guidici non sono mai piaciuti ad una larga fetta di città
Mafia e stato spesso sono state vicine. Molto vicine. Ma l’italia è il paese dei segreti di stato. Segreti ufficiali e non. E quindi scoprire la verità e buttarla in faccia agli italiani non è possibile. Fra anni riparleremo delle stesse cose, ma la verità non sarà ancora detta.
Non sono d’accordo, e non lo sarò mai! davanti la morte di Borsellino, l’ennesimo omicidio di stampo mafioso, ci siamo impegnati a non dimenticare a portare le loro idee sulle nostre gambe, mi sta bene che la “memoria” non è solo partecipare alle manifestazioni commemorative, ma è anche questo. questa città dimentica troppo infretta, se non manteniamo salda l’attenzione almeno nei giorni delle stragi presto dimenticheremo il sacrificio che ha portato a questo. Per la manifestazione di Falcone il 23 maggio c’è sempre molta più gente perchè le scuole sono aperte e gli “studenti” sono presenti e così la città “sembra” ricordare. Il 19 luglio le scuole sono chiuse e quelli che vogliono mantenere l’attenzione su tutto l’irrisolto sono troppo pochi, ieri neanche un centinaio. Io non voglio dimenticare l’indignazione sentita e corale di quegli anni, quando sembrava che le cose stessero davvero per cambiare. Sono felice per la nascita delle associazioni antiracket, ma la nostra terra ha bisogno di ricordare.
mi piace!
perchè è stato cancellato il mio commento?
NonSo hai violato la policy dei commenti. Ti prego di utilizzare l’e-mail per ulteriori richieste di chiarimenti (qui è fuori tema).
Riformulo le domande, o meglio le ripropongo senza aggiungere i miei commenti violatori nei confronti dei personaggi che ci tengono sotto scacco e che affamano la nostra terra.
Quali benefici ha tratto la Mafia dall’uccisione di Falcone e Borsellino? Nessuno…tutti arrestati a carcere duro.
Quali benefici ha tratto lo Stato dall’uccisione di Falcone e Borsellino? Tutti…nessuno è stato coinvolto e le indagini che i due magistrati stavano portando avanti, con nomi eccellenti sono state insabbiate…
A Voi le conclusioni.
osservazioni che possono essere condivise o meno ma che in ogni caso esprimono una chiave di lettura da rispettare e da approfondire.
Una sola cosa mi lascia perplesso. Il “popolo” palermitano non esiste. Esistono tante catene più o meno solidali di gente legate da valori affettivi, o economici, o lavorativi. Ma non siamo un popolo che si riconosce in maniera unitaria e univoca in qualcosa. Tranne, forse, che nelle emergenze e in casi eccezionali.
La logica del clan da noi è elevata all’ennesima potenza a tutti i livelli sociali e per ogni esigenza. Quando si ha bisogno di qualcosa il riferimento non sono mai le istituzioni o i rappresentanti dello stato e dell’amministrazione , ma l’amico, il cugino, il parente, il potente che è amico del conoscente e così via. E questa mentalità che si è sedimentata nei secoli in un modo di agire del tutto particolare ci porta a quella rassegnazione, amara o cinica a seconda dei casi, che tu citavi all’inizio.
Una somma di individui non fa un popolo.
E questo comunque in linea generale vale per tutti gli italiani
Forse Borsellino ha sbagliato a farsi uccidere d’estate, si sa che a luglio i palermitani sono al mare! A parte la battuta , caro Billi (bentornato), sono d’accordo con te anche sull’ultima frase.
Cara Titti, non essere superficiale e frettolosa nel dare giudizi !
Qui a Palermo, abbiamo pianto, quando è morto Falcone,
abbiamo pianto quando è morto Borsellino, abbiamo pianto quando è morto Dalla Chiesa,abbiamo pianto quando è morto Boris Giuliano,abbiamo pianto quando è morto Chinnici, abbiamo pianto quando è morto Peppino Impastato, abbiamo pianto e sofferto anche se d’inverno faceva freddo, e d’estate faceva caldo.
Ieri sera c’ero anch’io alla fiaccolata, ma che vuol dire? che io penso di piu’ ai nostri morti perchè ero là? c’era tanta gente,che magari poi nella vita, chi lo sa, se lotta in prima persona contro i comportamenti mafiosi ,e omertosi, e arroganti.
Sai, in ufficio, quando devi lottare per la sopravvivenza, contro il mobbing e i mafiosi che stanno pure lì, sai, fiaccolate non ce ne sono, le istituzioni non ti aiutano,sei solo ,e hai solo la tua pelle contro la loro,che vale di più.
Per questo per me vale di più il coraggio della tua vita, che puoi condividere con quelli che sono morti,
e per continuare la loro lotta. Questo sì,che è rendere loro onore, poi chi vuole andare alle manifestazioni ci vada pure, male non fa.
L’analisi di Daniele Billitteri mi sembra la più sensata fra tutte quelle che ho avuto modo di leggere in questi giorni. Sono d’accordo sul fatto che i nostri morti si onorino giornalmente con il ricordo, l’affetto, i comportamenti onesti, il lavoro costante, con i fatti, camminando a testa alta sui sentieri che hanno tracciato per noi. Siamo stanchi di parole ed ipocrisie. Anch’io ho partecipato, da giovane mamma, ai funerali dei nostri eroi ed ho pianto tanto, ma non ho mai partecipato ai cortei, per una mia scelta personale, perché troppo spesso diventano la passerella dell’uomo politico del momento e la cassa di risonanza di troppe ovvietà.
Grazie, Sig. Billitteri, per aver dato voce ai miei pensieri ed avermi aiutata a spiegare a mio figlio ventisettenne come la penso veramente sulle “stragi di Stato”.Lui è nato nell’anno in cui fu ucciso l’eroico Generale Dalla Chiesa, che fu lasciato troppo solo dallo Stato, che aveva sottovalutato il “mostro” mafia equiparandolo al terrorismo.
Billitteri Sindaco di Palermo! Trionfa l’amore autentico e viscerale per la città e per i Palermitani onesti, di colui che di fronte al mostro mafia non tira conclusioni affrettate per la serie ok va tutto bene o siamo nella merda non c’è via di scampo. Il Sig Billitteri ci ragiona su, va in ordine con tanto di elenco numerato, così si fa. Lo dico perchè aimè in questo blog si leggono tanti professoroni che disinnamorati forse da sempre della propria città si servono dei post per sfoggiare le loro tesi illuminanti…basta !!! E’ un’offesa per chi la mafia la combatte sul campo e per tuuti i Palermitani che non smettono di credere fidandosi comunque delle Istituzioni.
Insomma, ragioniamo, formiamoci delle idee e poi lasciamo fare a chi di dovere tutto il resto. L’unica cosa in cui dobbiamo esprimerci al meglio è fare bene il nostro dovere di lavoratori e di cittadini onesti.
Grazie ancora Sig Billitteri.
@ peppe p : ma tu chi sei? e cosa hai fatto? mi sembri un professore da strapazzo.
Vi invito a essere rispettosi nei confronti degli altri commentatori. Grazie.
Una volta mi ritrovai al Charleston in anticipo sull’ora di cena. I camerieri stavano apparecchiando i tavoli. Tovaglie bianchissime, rigide di amido, tavaglioli arrotolati con cura a forma di cono su piatti splendenti. Vedevo le ruote dei carrelli viaggiare silenziosamente sul pavimento lustro. Intanto i garzoni, che avevano una divisa diversa dai camerieri, arrotolavano i tendoni e l’ultima luce invadeva la sala e la terrazza facendo brillare le vetrate, i bicchieri ed il vasellame sui tavoli. La spiaggia si stendeva quieta, come tutto l’ambiente, ed il mare sembrava respirarci sopra, appena appena. Però a tratti giungevano delle leggere folate di aria salmastra. Dapprima gustosa poi forte, troppo forte. Pensai che fossero le alghe. Vive e carnose come tentacoli di animali.
si billi, vabbuò, tra certi dubbi e dubbi certi hai detto tutto e non hai detto niente…secondo te come mai riina si è svegliato proprio adesso?
se puoi a parole forti e chiare, le mie “deliranti” non passerebbero la policy, confido nelle tue.
attendo…..
@Stalker: non so perchè Riina si è svegliato proprio adesso. Dico che se io fossi Riina proprio adesso cercherei di approfittare della situazione perché mi sentirei di avere, in questa teoria della strage di stato, un inatteso alleato. Quando aero ancora al giornale l’Ora e alla fine degli anni Settanta il giornale era già amministrato da ua cooperativa ed Etrio Fidora, se non ricordo male, ne era il direttore. Un giorno in piazzetta Francesco Napoli si presentò Vito Ciancimino. Ora, detta così pare niente ma per il clima di allora era come quando Giorgio Almirante si presentò alla camera ardente di Enrico Berlinguer accompagnato da Giancarlo Pajetta. Don vito, elegantissimo come sempre, si presentò offrendo per la pubblicazione un succulento “memoriale” sulle vicende che riguardavano lui e la sua breve sindacatura. La pubblicazione del memoriale, che Ciancimino voleva “trattare”, fu respinta. Don Vito se ne andò al Giornale di Sicilia che invece pubblicò il memoriale a puntate.
Era una stagione torbida e l’acqua opaca dello stagno consentiva a qualsiasi pesce di nuotare tranquillo. Inbtendiamoci: io non nego la possibilità che in vicende così gravi si possa essere mossa la squadra degli imbroglioni che funesta da 50 anni questo Paese: sbirri segreti, faccendieri e millantatori. Non nego che qualche “uomo dello stato”, che meglio definirei come “impiegato statale” se ne sia andato in giro per vedere di rascagnare qualche cosa. Con tutto il rispetto per un’altra Croce Rossa dell’antimafia, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa era iscritto alla P2 col fratello Romeo in odore di tentazioni golpiste. Dalla Chiesa disse, ovviamente, che lui si era iscritto allamloggia di Gelli “per indagare dall’interno”. E il terrorismo lo affrontò pescando nel sottobosco dei mitomani personaggi come “frate mitra” che fu il pilastro dell’operazione che portò alla cattura di Renato Curcio. IQuesto non fa di Dalla Chiesa un personaggio meno significativo di quanto non lo fu nella lotta contro la mafia nella quale pagò il prezzo più alt0. Resta dunque un uomo dello Stato davanti al quale io mi tolgo il cappello. Senza però lasciarmi congelare il cervello. Ma per tornare a Riina, mi pare semplicemente più credibile che uno come Cianciminoi possa avere capito di avere una possibilità vantando una rappresentanza nei confronti dei suoi sodali corleonesi che forse aveva o forse semplicmente millantava. E offre, in nome di cosa nostra, una rudimentale trattativa: fermare lo stragismo in cambio della fine del carcere duro per i boss i galera. Lo Stato trattò? Non mi pare. Forse trattò qualche colonnello nella speranza di acchiappare qualche latitante importante e fottere gli odiati cugini della polizia. Io non lo so se è andata così. Ma mi chiedo perchà no. Perché un’ipotesi del genere deve essere sdegnosamente rigettata e si debba invece pensare “per forza” che, in definitiva dietro tutto c’è sempre uno stati imbroglione con gli occhiali di tartaruga e la gobba. MNi pare come la dottrina Reagan sull’impero del male. Alla fine perfino lui dovette accordarsi col diavolo e firmare i trattati per la riduxione degli armamentiu nucleari. Aveva ragione Falcone: la mafia è una cosa umana e come tutte le cose umane, ha un inizio e una fine e nel frattempo si ammala, si riprende, invecchia, cambia. Tutti questi stati vanno monitorati, capiti, compresi laicamente, analizzati professionalmente. E’ come in una coppia. Quando uno tradisce, l’altro può fare due cose: accollare al partner mefitico tutte le Colpe più infami oppure cercare di capire come è potuto succedere e dove sono stati commessi errori, chiunque li abbia commessi. Ogni volta che il confronto con i fatti è diventato un teorema, la lotta alla mafia ha fatto passi indietro, mai in avanti. E questa è storia. La mafia fa fatti ed è con i fatti che bisogna combatterla. Pio La Torre, che era un uomo semplice (e per questo perfino sfottuto all’interno del Pci di allora) aveva capito una cosa semplicissima e cioé che il cuore pulsante di cosa nostra sono i soldi e che un boss squattrinato è già mezzo boss per quanto feroce. La legge Rognoni La Torre fu, ed è, un colpo di maglio contro la mafia perché per la prima volte si legiferò un principio giuridico fondamentale: l’inversione dell’onere della prova. Non è più lo stato che ha l’onere di dimostrare che un capitale è mafioso ma spetta al suo possessore dimostrare che non lo è. La confisca toglie potere, impedisce il riciclo dei soldi sporchi in attività lecite. La Torre pagò con la vita. Boris Giuliani,. di cui oggi ricorre il trentesimo anniversario dell’uccisione, aveva capito una cosa sempolicissima: che c’era una mafia sola e che questa mafia doveva essere combattuta nel suo complesso. E il giudice istruttore Rocco Chinnici aveva caito una cosa semplice: che se c’è una mafia sola, ci deve essere una sola magistratura nel senso che il lavoro contro il crimine organizzato deve esserecondotto da un apparatoi organizzato. E’ così che nacque il pool antimafia dove sono “cresciuti” Falcone e Borsellino. Pierasni Mattarella, presidente della Regione, aveva capito una cosa sempolicissima: che bastava guidare co rigore l’attività ispettiva della Regione nel settore degli appalti per sbarrare la strada al malaffare. Insomma, in definitiva, i migliori successi nella lotta a cosa nostra vengono da intuizioni semplici ma fondamentali. No nda teoremi affascinanti degni più del giornalismo “memorialista” degli anni Sessanta che di un apparato moderno di contrasto. I pecorari ci provano, gli spetta anche visto che il “diritto di fuga” è garantito perfino dalla Convenzione di Ginevra. I pecorari sono furbacchioni, cervelli fini se sono sopravvissuti al clima tossico di cosa nostra sventando intrighi e congiure di palazzo. Non mi meraviglia affatto che ci possano provare pure coi papelli e che trovino qualcuno che gli dia, o finga di dargli, ascolto. Ma la cosa importante è la risposta corale, la richiesta di massa che ciascuno faccia quello che gli spetta di fare e chen sa fare meglio. Mai a nessuno venga in mente di voler fare il lavoro di altri. Qualsiasi supplenza è dannosa. Provate a camminare sulle mani quando siete convinti che le gambe non funzionano come dovrebbero. Legislatori che giudicano, giudici che legiferano, giornalisti che indagano, investigatori che “inpupano” blitz pensando ai titoli dell’indomani come se dovessero scrivere articoli: non è così che funziona. Scusate, so di essere “politicamente scorretto” ma ho quasi sessant’anni e ne ho viste di tutti i colori. Ho pure conoscuto personalmente tutti quelli di cui si parla adesso dal procuratore Scaglione in poi. E se una cosa ho imparato è che per andare dalla statua alla stazione, per un pronto accomodo, si fa la via libertà, poi la via Ruggero Settimo e poi la via Maqueda. Poi, se a uno gli va, si può anche fare il giro da Torretta. Negarele cose semplici solo perchè sono semplici non mi pare una cosa saggia. Tutto qui.
Billitteri, il rasoio di Okkam 🙂
@billi, grazie per la risposta, sei stato chiarissimo.
solo una cosa, sinteticamente: credo che un BUON giornalismo d’inchiesta possa fare la sua parte.
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(mattiniero eh! 🙂 )
Davvero un bel post! complimenti!
@ s pister : Sono un comune cittadino, non ho fatto nulla. Ho espresso il mio pensiero. Posso? Se ti sei risentito vuol dire che mi riferivo anche a te. Bene. Forse credi di poter agitare la bandiera dell’antimafia più e meglio degli altri? Giro le domande che mi hai posto. Chi sei tu? Cosa fai di tanto unico per pretendere di fare a gara con gli altri palermitani onesti? Io credo che basta essere antimafiosi nelle azioni quotidiane di ogni giorno, il lavoro dell’antimafia quella è un’altra cosa e non lo facciamo ne io ne te, quello richiede competenza scacrificio e coraggio non arroghiamoci pretese.
Caro Daniele,
ero a Palermo. Sono sceso da Menaggio, Lago di Como, estremo Nord del paese, da solo. Perché credo che Paolo Borsellino sia stato un eroe siciliano, palermitano ma soprattutto italiano.
Quando qualcuno dei tuoi concittadini presenti alla manifestazione si è messo a gridare “chi non marcia un mafioso è” mi sono risentito e incazzato. I palermitani non hanno reagito in toto, ma hanno reagito eccome, in questi 17 anni. Posso dire che Palermo sia la città più antimafiosa tra tutte le città che subiscono le mafie? Gli esempi di questa ribellione civile non è il caso che sia io a enumerarteli.
Ma come io mi sono rifiutato di trarre conclusioni sui palermitani assenti alle manifestazioni, vorrei che anche tu ti astenessi dal giudicare i presenti, non tutti boy-scout e non tutti “scarsi di conoscenze della complessità del fenomeno e con una certa tendenza a semplificare”. Non mi riconosco in queste categorie, e non dovresti permetterti di etichettare così centinaia di presenti.
Io sono sceso per ricordare un grande uomo, e per chiedere verità e giustizia, perché si parli di tutte le zone d’ombra riguardanti la sua morte. Non mi sento meno autorizzato a farlo solo perché vivo ai piedi delle Alpi. E soprattutto, il fatto che nella strage di Via D’amelio abbiano avuto un ruolo dei mandanti occulti, non solo mafiosi, legati alle istituzioni è opinione dei magistrati che hanno svolto o stanno svolgendo indagini: Ingroia, Lari, Di Matteo, Tescaroli, Scarpinato… E lo dicono sulla base di qualche fatto che vado a elencare, senza la pretesa di essere completo né esauriente:
1) I familiari di Borsellino rivelano che Paolo, poche settimane prima della sua morte, affermava: “mi uccideranno, sarà la mafia a uccidermi ma saranno altri ad aver voluto la mia morte”
2) L’agenda rossa su cui il giudice annotava tutto è stata sottratta da un carabiniere con puntualità quasi chirurgica, dopo pochissimi minuti dalla strage.
3) Gioacchino Genchi, peraltro collaboratore e amico di Borsellino, ha rilevato attraverso lo studio dei tabulati dei movimenti telefonici più che sospetti tra gli ambienti dei servizi segreti.
4) Riina ha fatto la sua sparata, ma a parlare di Via D’Amelio come strage di Stato sono stati moltissimi pentiti.
5) Le vicende che ruotano intorno alla “trattativa” fanno riflettere.
Ora io sono sceso a Palermo per stare vicino a quei due straordinari fratelli di Paolo Borsellino, così diversi tra loro eppure accomunati da una passione, un cuore e una vivida devozione nei confronti del fratello e delle sue idee, che fanno commuovere. E con loro ho voluto chiedere giustizia e verità. La lotta alla mafia, infatti, deve essere un movimento collettivo che unisca comportamenti retti e democratici nella vita di ciascuno e di ciascun giorno, studio e interpretazione multidisciplinare del fenomeno, repressione giudiziaria, educazione alla legalità fin dalle scuole, leggi efficaci, selezione intransigente del personale politico, gestione sociale dei beni confiscati e tante altre cose anche alla ricerca della VERITA’ storica.
No. Scusami, ma non mi va di essere preso per un cretino incapace di cogliere la complessità del fenomeno mafioso solo perché non sono di Palermo e sono venuto a ricordare Paolo Borsellino chiedendo che si parli di questa possibile verità.