Fango!
“Cazzocazzocazzo”. Esattamente questo stava pensando al ricordo delle immagini viste alla tv: fiumi di munnìzza nella disperata città-col-nome-di-porto che lui stava amministrando.
“Cazzocazzocazzoeancoracazzo”.
E poi quella frana di fango così… così… così fangosa.
Cose di disgusto.
Gli stava passando tutto il prìo per il bello cocktail che s’era fatto preparare lì, in quello che chiamava con affetto “il mio ufficio” e che era in realtà un locale che serviva pesce crudo (e, sempre per amor di verità, era davvero l’unico luogo in cui era possibile incontrarlo visto che altrove, soprattutto nei luoghi istituzionali, era praticamente impossibile trovarlo). Osservare il ghiaccio dentro il bicchiere del cocktail era da sempre la sua terza attività preferita al mondo (la prima era ridere; la seconda era colpire con un pezzo di legno e nylon quelle palline che rimbalzavano così gialle e veloci). Ma adesso neanche il sottile tintinnìo del ghiaccio contro il vetro del bicchiere gli dava gioia. Era tesissimo. Aveva fatto una (altra) minchiata, ma questa era così colossale che se ne era reso conto perfino lui. Sì, certo, c’era voluto del tempo per comprenderlo appieno, ma ora ne aveva la certezza. Doveva andare a Belmonte Chiavelli e invece non c’era andato. Doveva andarci e davanti alle telecamere sporcarsi di fango i prestigiosissimi mocassini che foderavano gentilmente i suoi nobili piedi. Doveva offrire a tutti di sé l’immagine di primus inter pares, il sindaco di una avvilita città-col-nome-di-porto che va in carne, ossa e mocassini sul luogo del disastro e, sprezzando eroicamente il pericolo, si dimostra stoicamente capace di immergere i costosissimi mocassini nel fango cattivo e sporcone. Doveva, per una volta tanto, essere un sindaco presente, insomma. “Cazzocazzocazzo, ho fatto un errore di sbaglio”. La maledetta, comodissima abitudine alla latitanza l’aveva fottuto, unitamente all’amore per i suoi fascinosissimi mocassini. Ma non è che stava diventando un sentimentale? Cazzocazzoeancoracazzo. Eppure la lezione di Suo Cugino era di una chiarezza esemplare: succede un bordello? E tu ci vai a lampo, spari quattro minchiate e ti fai fare dai tuoi servi una bella diretta dalla piazza del paese distrutto mentre dai le chiavi delle case nuove ricostruite (coi soldi della croce rossa, mica con quelli del tuo governo, eh eh eh, ma tanto chissenefotte) così quel gran bacino elettorale noto come “gli sfollati” è al momento appagato. Culto dell’immagine. Creazione del consenso. Lavorìo sui sentimenti. In questo, Suo Cugino era un maestro. E lui invece, lui, il sindaco della rompiminchia città-col-nome-di-porto, lui non si era fatto vedere nemmanco a Belmonte Chiavelli. Stupidi mocassini delicatissimi! E cazzocazzocazzo.
Sorseggiò il cocktail con amarezza e cenò tristemente. Il pesce crudo non sapeva di niente. Non poteva essere un caso: tutta quella pioggia, tutta quella munnìzza per strada, tutto quel fango: era un fottuto complotto contro di lui. E lui odiava i problemi. Era un sindaco, mica uno che doveva disbrigare problemi. Bevve un altro sorso ma niè, l’angoscia non diminuiva. Provò allora a pensare alle palline, così gialle e rimbalzine, ma niente neppure adesso. Nessun sollievo, nessuna requie. Che vita infelice. E non poteva neanche farsi un giro in barca. Non era il caso. Sdilluvviàva, infatti. Ditemi se questo non è un complotto, uffff.
Eppoi, come se non bastasse, a dimostrazione che piove sempre sul bagnato, era sopraggiunta la notizia di una ulteriore e solenne rottura di coglioni: i giudici della contea avevano bocciato l’aumento della Tarsu fatta nel 2006 da lui e dalla sua accolita di adepti (i quali, va ricordato a futura memoria, continuavano imperterriti a governare la massacrata città-col-nome-di-porto con sfacciata sfrontatezza, appoggiandolo in tutto e per tutto. Questo, ricordatelo sempre: non c’è mai “un uomo solo al comando”, questa è una puttanata retorica. C’è un intero sistema che lo sorregge, fatto di nomi, cognomi e collusioni). Il vero ingargio, tanto per cambiare, ruotava attorno all’annoso problema di ogni era geologica: i pìccioli. “E ora come li restituiamo tutti ‘sti piccioli della Tarsu? Questi sono davvero uccelli per diabetici”, pensò tra sé e sé (visto che nessuno faceva più battute, visto che Suo Cugino non trovava più tempo per le sue esilaranti barzellette sui tedeschi-nazisti perché troppo impegnato nel lettonegrande, regalo dello Zar di tutte le Russie, ecco: provò a farsi una battuta da sé ma non riuscì a sorriderne. Peccato però, la battuta era bella e pure un po’ allusiva). Eppure le cose non andavano in fondo così male: i suoi sudditi ancora non l’avevano contestato seriamente, ma proprio per niente. Si stavano dimostrando quello che erano: carne da macello, bestie da soma, animali da tasse, rassegnati alla munnìzza ed ai soprusi, incapaci di vedere lo sfascio o -e questo era davvero il suo punto di forza- ancora indulgenti nei suoi confronti, tanto era l’odio per “gli altri”, l’altra parte politica. Sì. L’odio. Benedetto, santissimo, necessario odio. Lui era ancora lì soprattutto perché la politica -ed in questo Suo Cugino era un maestro (egrazziealcazzo, pensò anche, controlla TUTTO)- si basa non sul bene comune, ma sull’odio comune. Pensare agli altri come un nemico. Noi contro loro. L’odio, così forte, così sanguigno, così presente. Fa sentire vivi e porta persone in cabina elettorale (insieme alle carte da 30 denari, ovvio). L’odio, che fa preferire la merda conosciuta a boh, infatti recita l’adagio: mègghio ‘u tinto canosciùto che eccetera eccetera eccetera. L’odio, così vivo che, dopo sette anni quasi otto di amministrazione della sprovveduta città-col-nome-di-porto (e con la provincia e la regione e lo stato a favore), bastava evocare il nome di quello che c’era prima che “aaaah, gràpiti cielo”, era tutta colpa sua. Sì. Odio e cultura delle colpe altrui. Cazzo, ma quanto è bello in fondo il Potere, no? “Ah, mi sento già meglio” riflettè “sono qui, in un locale che mi servono il pesce crudo, fuori sdillùvia e c’è fiume di munnìzza, c’è stata frana e fango e io non ci sono andato a testimoniare la mia solidarietà ma il fatto che io posso venire qui in ufficio a farmi i sacrosanti cazzi miei senza che nessuno apertamente mi contesta, beh: un punto a mio favore. E che punto! Che bello avere non dei sudditi ma degli schiavi rassegnati. È proprio vero: la lezione delle catene e delle bastonate lo insegna: l’elefante bambino va subito incatenato e subito bastonato non appena si muove, così per il resto della sua vita da circo basterà legargli la caviglia con una catena sottilissima che basterebbe sputarci per spasciàrla, ma lui, l’elefante, abituato alle bastonate è ormai convinto che se si muove sono bastonate orbe e che la catena è indistruttibile, quando in verità basterebbe un piccolo, misero, minuscolo passo. Ah, benedetto fatalismo dei meridionali! Perché ci sarà chi dirà: ce lo meritiamo. Ci sarà chi pontificherà che nulla può cambiare. Ci sarà chi affermerà che siamo irredimibili. Sì. Bellissimo. Amo il fatalismo e la sua logica. È lo specchio di quanto è davvero in salute il Potere. Ed è, al contempo, il mio punto di forza, la mia àncora, il mio salvaculo”. Sì, adesso ne aveva la certezza: aveva fatto bene a non infangare i flautatissimi mocassini di pelle chiara che cingevano il suo regale piede. Non ce ne era davvero bisogno. In fondo, la classe non è fango. Eppoi, mica era solo! C’è tutta una giunta che avrebbe continuato ad appoggiarlo. “Ah, la saldante bellezza della collusione!”. Recuperò così la sicurezza propria di chi è al timone della barca e sorseggiò con rinnovato gusto il cocktail. Era ancora bello agghiacciàto. Poi, guardandosi attorno ebbe la conferma che nessuno -per vigliaccheria o, meglio ancora: indifferenza o, ancora meglio: rassegnazione- che nessuno lo avrebbe contestato. Allora recuperò sicurezza e per un attimino piccino picciò si dimenticò di che essere umano lui fosse in realtà e così commise un (altro, l’ennesimo) imperdonabile errore: si soffermò a pensare. E pensò una domanda. Cazzocazzocazzo, le domande no. Suo Cugino era stato categorico: “nessuna domanda, nel mio e sottolineo mio e ripeto mio paese, nel mio paese non c’è spazio per le domande, c’è posto solo per la pubblicità!”. Ma ormai il danno era fatto. Aveva non solo pensato, ma addirittura pensato una domanda. Cazzocazzoeancoracazzo. La domanda era semplice ma al contempo era potente. E ciò non era cosa buona e giusta. La domanda era: “ma che ne sanno le persone di quanto è difficile il mio lavoro?”. Il disastro. Una domanda era entrata nella sua testa. Non c’era più il leggiadro suono di pallina che rimbalza gialla e veloce. No. Non c’era più il melodioso suono del ghiaccio che sbatte contro il vetro del bicchiere. No. Nessun suono felice nella sua testa. Solo una domanda che rimbombava forte come lo sdillùvio. Fu un attimo ma bastò perché il panico si impossessasse di lui, e parve divorarlo. Sbiancò. Perché le domande generano altre domande. E urgono risposte. Una frana di fango, continua ed implacabile. E lui odiava le domande e le frane e il fango. Ma oramai il suo Oreto interiore era in piena, e nulla poteva fermarlo. Così pensò una nuova domanda, e tremò. Perché si domando: “Ma quale è il mio lavoro?” e non seppe dare nessuna risposta. Un vuoto bianco e assordante nella sua testa. Nessuna pallina, nessun ghiacciosuono, nessuna risata. Tentò di chiamare qualcuno, un essere umano a caso nel suo ufficio ma non riuscì ad emettere alcun suono. Rimase così, il cocktail in una mano, il pesce crudo nel piatto, la bocca aperta, immobile. Ma non era un sorriso, non c’era gioia. Il suo viso era un urlo di agonia, muto e straziato. Pareva Palermo.
grande
sei un grande! davvero! meriterebbe maggiore risalto!!
COMPLIMENTI!!!!!!!!!!
dati:
circa 500 persone alla manifestazione delle barchette di carta per LUI o lui.
circa 100 persone all’incontro di sabato 3 ottobre su come riciclare i rifiuti con PAUL Connett ( oggi consigliere di obama per il riciclaggio in america)
liberiamoci!!!! SVEGLIAMO l’ELEFANTE.
Complimenti..riesci a esprimere con drammmatica poeticità e ironia il pensiero di ..molti (spero!!??)..complimenti anche per sabato sera alla festa della legalità!
Bravo Davide.
davide enia sei troppo forte.
ti ho scoperto per caso ascoltando alla radio rainbow
grazie e ti auguro tanti successi personali e professionli.
Bravo!
“Cazzocazzocazzoeancoracazzo”sei troppo forte complimenti ;o)
Rosicone, fazioso, prevenuto e acido.
Bir Haikeim e perche’ non scrivi tu che ammiri, sei obbiettivo, distaccato dai fatti e dolce?
Bravo!
..forse avrà visto in tv il sindaco di messina coi suoi bei jeans firmati e gli stivali della forestale infangati accanto alla bellissima ministra prestigiacomo di bianco vestita e avrà pensato ma guarda un pò quello con gli stivali abbraccia i sudditi senza casa ed è riuscito a far dimeticare che ha stornato i soldi per loro nel suo fondo per le spese di rappresentanza,e quella di bianco vestita accarezza addolorata,pare una madonna,ed è riuscita a far dimenticare che i soldi del suo ministero destinati a messina per il rischio idrogeologico li ha spostati alle isole eolie per vacanze più di lusso…e manco jeans e tailleur si sono sporcati…e avrà pensato turbato che forse anche lui, rispolverato il suo mitico sorriso durbans a belmonte si anche lui la poteva passare liscia e spuntare su tutte le tv amorevole e operativo e,poi…ma che fa gli stivali non li potevano dare pure a lui ah?
cosa rimarrà di Palermo dopo Cammarata? Davide sei bravissimo complimenti
Idem.
Dopo questa intensa lettura ho pensato di creare nel mio blog, una pagina in cui raccogliere tutti gli articoli di protesta contro il grande concussore, quasi tutti vengono dalle pagine di Rosalio. Sembra l’unico spazio libero.
Vi lascio il link
http://www.pensierinblu.com/blog/il-grande-concussore/
Bravo Davide.
Bir etc. dovresti quantomeno tacere.
Viene da pensare che la vostra posta in gioco è troppo altra e avete paura di perderla.
Sembrate gli adepti di una setta è incredibile!
pardon *troppo alta
“Questo, ricordatelo sempre: non c’è mai “un uomo solo al comando”, questa è una puttanata retorica. C’è un intero sistema che lo sorregge, fatto di nomi, cognomi e collusioni”
Ricordiamocelo sempre!
Cammarata è solo un prestanome.
Hai le palle di bronzo! sincericomplimenti!
Sottoscrivo assieme all’amica Sandra Spaich.
Mitico!
Il caro Davide riesce a comunicarci, in modo eccezionale e senza fronzoli,semplicemente quello che è la semplice realtà di una città, per taluni semplice ma sfortunata, costretta da atavici problemi a combattere e arginare problemi storici ereditati quasi in toto da quel farabutto di Leoluca.
Il grande Davidù è cantore, e mi sembra già di sentirlo monologare da un palco con il fido chitarrista, di una città alla deriva, con l’ equipaggio concentrato a poppa, pronto ad abbandonare la nave prima del completo naufragio. Con l’orchestrina che suona imperterrita, come in Titanic….
Cosa aggiungere ? Un accenno alla munnizza che ci sommergerà ? I palermitani che hanno elevato il piccolo cugino del grande Papi al gradino più alto della città-col-nome-di-porto sono talmente abituati alla puzza dei sacchetti che mettono in terzo, o quarto piano il decoro della quinta città d’Italia.
Splendida, superba e ubricante nella sua bellezza, tinta, meschina e disgraziata nella sua classe politica che, ricordiamoci, hanno scelto i cittadini di Palermo nella loro maggioranza.
constato con amarezza che la situazione palermitana, calza perfettamente con quella disastrosa del comune e della provincia di messina… per cambiare le cose bisogna mettersi in gioco in prima persona perché i primi conniventi siamo noi cittadini: accettiamo passivamente qualunque cosa perché, chissà, magari la prossima volta potremmo essere noi ad averebisogno dell’aggancio giusto con buona pace del bene pubblico!… la politica a servizio della città e non viceversa i politici infangati – di qualsiasi bandiera e colore – a casa a calci nel culo!
non capisco a chi si riferisce il nostro Davide…… non vorrai mica parlare di…….. si può dire??
Nella città-col-nome-di-porto lui gioca con le palline che rimbalzavano così gialle e veloci. Alla parola “fango” non si è girato, pensava lo dicessero a lui.
Sei bravo, Davide.
bravo, bravo, bravo, hai sublimato la mia rabbia..sarà consolatorio?
‘nchia che bello il tuo pezzo! E ti assicuro che per chi vive lontano dall’amata città-col-nome-di-porto come me, è più o meno come ricevere pugni sullo stomaco! milioni di complimenti!
Sai che una mezz’ora fa è arrivato l’uomo dai mocassini curati giusto nel suo ufficio con tanto di scorta? Avrà ordinato il pesce crudo? povera palermo, non dico poveri palermitani, quelli sono i propri carnefici.
la vera tragedia di tutto questo è che tutti ci troviamo sempre ad applaudire ( giustamente) interventi forti e sensati come questo che non fanno sconti a nessuno, ma poi sembriamo quattro carbonari di una società segreta che parlano dei problemi di una ipotetica città che non esiste , e invece siamo praticamente nel fango e nella cacca che ci sommerge, e ci sommergerà, fino al midollo. “Cu è fissa si sta a casa” questo è il cinico motto ispiratore di chi guida questa città e del suo apparato, e gli stiamo dando purtroppo ragione. I palermitani: forti con i deboli e deboli con i forti. Da sempre.
Ma dov’è il suo “ufficio”? voglio incontrarlo… non ho nulla da dirgli… solo vederlo, solo la mia personale curiosità di vedere come regge lo sguardo dei suoi “sudditi”… se li guarda in viso… come li guarda… come non prova vergogna.
Forse sono l’unico a non sapere dov’è sito questo strano ufficio… qualcuno può “illuminarmi”? se non chiedo troppo e se qualcuno lo sà, può dirmi gli orari probabili nei quali posso trovarlo “al lavoro”? grazie
P.S.: Bravo Davide… unico ed inconfondibile il tuo modo di raccontare le cose… lo riconoscerei tra mille…
Se i palermitani fossero davvero inca*zzati si darebbero da fare direttamente, come natura crea. In realtà sono solo pappemolli in gran parte collusi col bacato potere, buoni solo a parlare, parlare, e riderci sopra diverititi. Si, perchè la cosa che più sollazza chi assiste a questa operetta da due soldi, è che i palermitani, più sono fottuti e più sorridono diveriti. E poi scrivono, e scrivono a destra e a manca, su come la sanno prendere bene in quel posto e, risate e risate.
Invece che mobilitarsi aspettano. Aspettano l’uomo del monte che dirà basta a tutto questo. Che illusi, che cogl*oni… Sarebbe più dignitoso un doveroso silenzio.
@Matteo
La stessa cosa che fai tu!
Ed anche se non sei di Palermo fai una cosa simile:
Ti lamenti di quello che succede qui e non fai nessuna azione concreta.
Quindi citando le tue parole ti invito ad un doveroso silenzio.
Matteo ti invito a essere rispettoso nei tuoi commenti. Grazie.
Nello scatologico povero nostro paese la malapianta del cattivo esempio la si coltiva su su, tra coloro che per nascita o elezione dovrebbero guidare la nazione. Mariuoli e affabulatori, puttanieri e mestatori, il fior fiore del paneperso alloggia le terga sulle più alte poltrone
matteo ha pienamente ragione, io ho detto la stessa cosa in termini più edulcorati e sono palermitano fino al midollo. Ma è la pura e semplice verità che però va estesa anche al panorama nazionale dove si sta ripetendo la stessa cosa nel rapporto tra gli italiani e il presidente del consiglio
Ma il messaggio promozionale a pagamento che và in onda sulle reti private, chi l’ha pagato?
Un bel monologo del nostro sindaco stile “Porta a porta” con l’ anchorman del tg1 (e viri chi manci) Attilio Romita nei panni di Vespa. Almeno qui a differenza del format originale nazionale c’è scritto bello grande che si tratta di un messaggio promozionale.
In alto a sinistra campeggia il simbolo del comune, non vorrei che pure questa grandissima opera di propaganda sia fatta a nostre spese!
Perché si domando: “Ma quale è il mio lavoro?” e non seppe dare nessuna risposta.
…fare il pupo nelle mani del burattinaio
Grazie!!!
Scateni il riso amaro, con l’acredine di iterazioni (celestiniane?), con il paradosso “podologico” di un dimenticato Parini; e titilli il neurone del piacere.
Ma, soprattutto, risvegli l’offesa, come la rampogna e l’arte congiunte sanno fare, intramontate.
Resta, angosciante, l’abisso dell’immobilità che ci sveli; l’anestesia dei nostri giorni.
Angosciata, mi domando da dove cominciare, adesso, subito.
E dell’inquietudine – mi auguro duratura – ti sono grata.
Davide sei stato veramente un grande, rappresenti l’unica consolazione ormai nel sentirsi oggi palermitani (io non lo sono piu’), siciliani (lo sono purtroppo), italiani (idem), la consolazione cioe’ che esistono ancora risorse intellettuali e morali anche se ormai sempre piu’ circondate e sommerse, tanto per rimanere in tema, dal fango di quest’Italia oggi agli abissi della sua storia….quando lasciai palermo quasi vent’anni fa la lasciai nel fango e speravo di trovar rifugio in un italia pulita…oggi invece di essere palermo diventata italiana e’ l’italia che e’ diventata palermitana….che tristezza profonda, che sensazione di essere circondati da fango e da elefanti con la catenina che potrebbero (forse) ancora salvarsi ma che invece vi sprofondano dentro per la loro rassegnazione di schiavi…..grazie comunque davide
meno male che si leggono ancora scritti così potenti ed intelligenti
grande, grandissimo scritto!
complimenti!