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mercoledì 20 nov
  • Quaderno di Palermo 8

    A quanto pare Palermo e bellezza è un’equazione scontata per tutti quanti vivano a migliaia di chilometri dall’ombelico del mondo dove io e te lettore ci troviamo – come sappiamo bene ce ne sono tante di queste città-cerniera e non è il caso di cominciare a nominarle adesso – o per quanti permangano arrotolati nel suo cordone senza essersi mossi dalla loro nascita (sempre te, caro lettore capitalino e isolano).
    Per i primi anzitutto, le persone che abitano in paesi benestanti, avanzati e ordinati in mezzo a una bellezza anche antica e conservata in modo impeccabile, ma che a forza di asepsi può diventare disgustosa perché svuotata di ogni senso (addirittura di quello più importante, come le traccie lasciate dal passare del tempo su ogni pietra e poi cancellate con una patina leziosa); per quelli dunque Palermo viene interpretata come un posto esotico, saturo di echi, di voci, di parole lette in tanti libri di storia o letteratura o ascoltate in quasi tutti i film a sfondo mafioso; parole magari pronunciate da loro stessi quando si incontrano per evocare nel loro immaginario un viaggio che nella loro quotidiana mollezza capitalista appare più che affascinante, diciamo pure sfacciatamente intrepido nonostante abbia a che vedere con una crociera per il Mediterraneo o con un pacchetto turistico per famiglie con tanto di alberghi di lusso e di gite fantastiche e, certo, di acquisti inutili (non è un segreto per nessuno che ormai siamo quasi tutti diventati dei viaggiatori più che fasulli, degli avventurieri da marciapiede in questa nostra società marcia e decrepita e agonizzante). Questo per quel che riguarda i borghesi stranieri mettiamo occidentali, ma anche giaponesi, che sono mossi dallo stesso impulso consumistico.
    Per quanto concerne le persone che in un modo o nell’altro non hanno mai smesso di aggirarsi per la capitale siciliana da quando sono al mondo, cioè per tutti quelli che non hanno avuto il bisogno di capire né l’altro né quanto ci fosse attorno a loro, la bellezza del loro spazio è più che mai prevedibile- almeno uno come me, che viene da fuori, ha questa strana sensazione. Tale bellezza si direbbe naturale e come tale va lasciata com’ è, quasi fosse un dono che un qualsiasi Dio gli avesse concesso sulla loro terra, sotto il cangiante cielo, davanti a questo mare che non ha il colore del vino (nella loro mente non si pongono tanto la necessità di girare il mondo quanto di accettarlo come qualcosa da rimandare per più tardi e che non offre nessun paragone con quello conosciuto). A questo punto io mi domando se i palermitani sono consapevoli che se da una parte è importante (come fanno con la loro città) non nascondere dietro la bellezza i segni determinati dal passaggio del tempo perché essi sono portatori del senso tout court e riecheggiano nella loro memoria, dall’altra prima di ogni altra cosa il tempo non fa altro che spingere in avanti e aprire a tante bellezze nuove che possono essere in arrivo e che in vece sono continuamente ostacolate dalla presenza perenne di un tempo che ormai solo fu.

    Confronto.

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  • Un commento a “Quaderno di Palermo 8”

    1. Se ti riferisci al lodo Alfano, non capisco se sei favorevole o contrario.

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