La nostra scuderia era a Paterna, dalle parti di Terrasini, a un centinaio di metri da una falesia che ci faceva intuire il mare, sentire il frangersi delle onde, senza che potessimo vederlo. Il suo lontano azzurro sfumato, in ogni caso, era inquadrato dalla sagoma della antica torre quadrata messa a sentinella della costa cinque secoli prima. Eretta in quel posto a picco sul mare per incutere timore ai “saracini”, anche se non era servita a granché. Però era bella da vedere come scenografica quinta prima del mare. Delle onde che s’infrangevano una cinquantina di metri più in basso, giungevano le folate salate che accarezzavano per prima cosa i limoneti e dopo i vigneti che provvedevano a trasformare quella nebbiolina salmastra in fragranze e aromi che si ritrovavano poi nel bicchiere.
I cavalli ci stavano bene in quell’angolo di paradiso terrestre. Le stalle erano ampie, ognuna con la sua bella mangiatoia in marmo grigio di Billiemi; l’abbeveratoio rettangolare, grande quanto un letto, prendeva il centro del grande cortile su cui si affacciavano i cavalli per raccontarsi i fatti loro. Quando noi non c’eravamo. Continua »
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