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martedì 19 nov
  • Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere (Gandhi)

    Il punto del non ritorno potrebbe essere vicino. Il collasso del sistema di regole e la crisi del patto sociale che lega gli individui oggi ci portano ad assistere a quanto accade nel nostro paese. Il caso Amia e la Barca di Cammarata, la tragedia di Messina ed il terremoto in Abruzzo sono uniti da un unico filo conduttore: il totale disinteresse del bene comune, in una corsa dissennata verso la ricchezza lecita o illecita che sia.

    Gli amministratori che a vario titolo hanno generato quanto è accaduto non sono da considerarsi, noi crediamo, i responsabili principali. Nessuna assoluzione per loro, sia chiaro. Ma il maggiore colpevole di quanto quotidianamente accade è la nostra incapacità di assumerci la responsabilità in prima persona, una inettitudine che ci impedisce di prendere provvedimenti, assonnati dal miraggio di vivere in una democrazia.

    “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”, smettere di auspicarlo, imparare a raccontare e costruire un modo differente di fare le cose, la mala gestione infatti si insinua nella latitanza delle nostre coscienze.

    La buona notizia è che dentro la massa informe che generalmente siamo, esistono decine di eccellenze, di cittadini, aziende, amministratori che provano ad essere questo cambiamento. Guardato da questa prospettiva il mondo è migliore perché è possibile individuare delle strade comuni da contrapporre al degrado civile, etico ed ambientale dei nostri tempi.

    Nel luglio del 2009 abbiamo cercato la nostra strada, abbiamo raccolto a Castelbuono, nel Parco delle Madonie, oltre 30.000 persone, circa 150 “uomini del fare”, architetti, agricoltori, imprenditori, politici, cittadini che si sono confrontati e che hanno provato a condividere emozioni ed esperienze. L’inadeguata presenza dei media non ha impedito un successo inaspettato che dà la misura di quanto ci sia bisogno, nel nostro tempo, di cominciare nuovamente a sognare e costruire il mondo nel quale vogliamo vivere.

    Per ogni amministratore che gestisce male una azienda pubblica, derubandoci e portandola al disastro, ce n’è almeno uno onesto che realizza risultati di eccellenza, mettendoci spesso del proprio. Per ogni imprenditore che inquina, c’è n’è almeno uno che ripulisce, per ogni contadino che ci avvelena con cibi scadenti infarciti di anticrittogamici ce ne sono altre decine disposti a investire sulla qualità del cibo e della terra.

    Il nostro entusiasmo per quei tre giorni sulle Madonie nasce dall’incontro di questo oceano silenzioso di gente seria e perbene.
    Da queste considerazioni prende avvio la nostra collaborazione con Rosalio. Crediamo che accanto alla necessità di rimanere vigili sulle nefandezze sia importante darci fiducia, raccontando le cose positive, informandoci ed affrontando la matrice dei problemi anche sul loro nascere. Intendiamo aprire un dibattito, non ideologico, su cosa fare e come agire per provare ad essere possibili attori del nostro futuro.

    Lavoreremo come collettivo perché vogliamo essere in tanti e vogliamo continuare a crescere. Utilizzeremo il nome della manifestazione perché crediamo che il fare sia il solo strumento a nostra disposizione. Nel curare questa sezione idealmente rimandiamo a quel grande momento di incontro e festa.

    Cureremo una striscia periodica e daremo spazio alle storie che ci hanno emozionato, focalizzeremo su argomenti importanti, troppo spesso sottaciuti, e inviteremo ospiti ed amici ad intervenire per raccontare le loro straordinarie storie di eccellenza.

    Ovviamente siamo felici di incontrare quanti intendano contribuire con i loro commenti, segnalando le loro storie e proponendo i propri argomenti: gestiremo questo strumento con l’elasticità che crediamo sia necessaria per garantire uno spazio comune di progetto, il collettivo SoLeXP intende contribuire a Rosalio come collettivo aperto, saremo felici di allargaci a quanti condividono le nostre idee e vorranno partecipare con le loro storie e suggestioni.

    Ospiti
  • 6 commenti a “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere (Gandhi)”

    1. La lettura di questo post di prima mattina contribuisce a darmi qualche speranza.

    2. chi di speranza vive disperato muore? purtroppo ogni giorno assistiamo impotenti ad una decadenza socio culturale che sembra nn avere fine. Forse il collasso di tutto sarebbe auspicabile per mettere un punto e ricominciare da zero

    3. Questa è il pensiero di un grande uomo, mi sembra a tema:”Mi piacerebbe riuscire a far passare diffusamente un messaggio di grande rispetto per l’ambiente. …spesso l’uomo si sente padrone dell’ambiente, padrone dell’area che lo circonda. E questa è la peggiore conseguenza del fatto che le grandi Potenze hanno indotto il singolo a sentirsi proprietario dell’area in cui abita e respira. Voglio, ciò nonostante, sperare che nel futuro mio, dei miei figli, di tutti, questo modo di pensare possa essere ribaltato, e che le grandi Potenze possano anch’esse sentirsi ospiti di un ambiente magnifico, in un nuovo contesto nel quale poter vivere meglio domani e in cui l’ospite rispetta prima di tutto chi lo sta ospitando. Noi ospiti della terra dovremmo imparare a rispettare la nostra terra”. Angelo d’Arrigo – Deltaplanista e scienziato del volo –

    4. C’è un piemontese che ha lanciato anni fa un messaggio che è insieme una visione politica ed economica nuova eppur antica:
      “Cercare, mangiare e promuovere un cibo buono, sostenibile, che sappia rimettere in moto grandi e piccoli meccanismi di giustizia sociale, non può prescindere dall’esistenza di comunità che sanno mettere al centro delle loro vite il cibo. La dimensione comunitaria realizza lo spirito conviviale nel suo significato più ampio. Soltanto in questa prospettiva può nascere una proficua alleanza tra co-produttore e produttore.

      Per realizzare e rendere sostenibile quest’alleanza, bisogna prestare attenzione alla dimensione locale, esplorare i nostri territori, prediligere gli alimenti di stagione, conoscere le persone del luogo in cui viviamo, conservare e tramandare la memoria e la storia del nostro “adattamento locale”.

      Da qui si parte, o meglio, si riparte: dai luoghi, dai territori. Il Terra Madre Day sarà una delle tante scintille che nel mondo potranno far partire un nuovo umanesimo: un’opzione che non è più soltanto una scelta, ma una necessità. Questo progetto forse può suonare ambizioso e titanico, ma in realtà è alla portata di tutti: perché parte dalla riscoperta delle cose semplici e non comporta sacrifici o mortificazione, ma inizia dal piacere e si svolge con piacere.

      Le comunità del cibo di Terra Madre mi ricordano le pievi durante la caduta dell’impero romano. Nei suoi ultimi tre secoli di decadenza, a Roma i senatori continuavano a legiferare, mentre nelle pievi nascevano spazi di autonomia, la popolazione eleggeva il proprio curato, nascevano forme di governo dal basso. È questa l’immagine a cui mi piace pensare quando penso al Terra Madre Day: alle comunità del cibo come pievi post-moderne. Mentre l’impero consumistico cade sotto i propri stessi colpi, sotto la propria spinta a crescere senza limiti mangiando noi stessi e la Terra, nelle comunità del cibo non ci si cura dei suoi diktat e si pratica l’austera anarchia di Terra Madre.

      Un’austera anarchia che si nutre del piacere di mettere al centro delle proprie vite il cibo: il piacere di una vita piena di stimoli, di gusti, di storie, di convivialità.

      Sono sicuro che ogni iniziativa del Terra Madre Day comunicherà al mondo questo piacere: sarà un nuovo modo di affrontare le crisi, un nuovo modo di costruire un futuro più buono, pulito e giusto”.

      Carlo Petrini
      Presidente di Slow Food Internazionale

    5. belle parole, belli ideali e grandi prospettive. Il problema è che appena il collettivo diventa politicizzato, e prima o poi lo sarà, allora si rompe il giocattolo. Interessi di partito, spartizioni e via dicendo. Questo comunque non sigbnifica che non bisogna aggire e sopratutto bisogna farlo in fretta per recuperare quel poco di buono che è rimasto….

    6. falena, io penso invece che vi sia tanto di buono e che occorra prendersene cura, questo si il prima possiible. Per prima cosa dobbiamo riprenderci il valore delle cose e delle parole, Politica è una parola bellissima, per Aristtele significava l’amministrazione della “polis”(città) per il bene di tutti. Oggi è sinonimo di interessi personali, conflitti, disinteresse del bene comune. Se fai una cosa nell’interesse di tutti il giocattolo non si può rompere, non c’è ragione.

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