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martedì 19 nov
  • Quaderno di Palermo 9

    È cosa nota a ciascuno di noi che tutto nella vita ha un apice e un declino, come si evidenzia ad esempio nel corpo che abbiamo che a un certo momento del suo percorso vitale comincia a tramontare dietro un orizzonte formatosi da un sedimento fatto di glorie e di miserie. Così è successo, se diamo uno sguardo melancolico alla Storia, con tanti popoli e culture che con tutta certezza credevano di essere perennemente incandescenti, ma che prima o poi non solo sono stati spenti, ma anche ridotti in cenere, nella sconfinata polvere dei tempi e dell’oblio. Certo, dentro queste nazioni splendenti di solito si erano formati i luoghi dove si depositava tutto il sapere ottenuto, sia attraverso le razzie, sia attraverso gli scambi che i sudditi più aperti e raffinati, ma sopratutto più intelligenti o avveduti, riuscivano a stabilire. E questi luoghi erano poi anche centri di potere da dove contemporaneamente si irradiava un sapere ormai rielaborato e perciò anche nuovo o, per meglio dire, diverso. Perché questi luoghi, in genere le capitali politiche o culturali rappresentative della loro summa e che poi la storia ha più o meno mitizzato, questo spazio sempre più sovrano e importante col tempo si è trasformato nella città-cerniera che appunto raggrupava tutti i poli del sapere dell’impero, e che ha segnato in un modo o nell’altro il mondo fino ai nostri giorni.
    Per quel che riguarda Palermo –ai tempi del suo splendore una città-cerniera a giusto titolo tra oriente e occidente, ma pure tra modernità e tradizione– non è precisamente una traccia visibile della sua importanza strategica l’impronta innovatrice di alcuni dei suoi monumenti con tutto quell’insieme di stili sorprendenti ma innanzitutto coraggiosi? Ma il caso di Palermo non è proprio paragonabile con le altre metropoli che avevano acquisito un potere nevralgico di civiltà. Non lo è perché, rispetto per esempio a Roma e Parigi, la capitale siciliana dipendeva sempre da un’altra struttura statale straniera e non da sé stessa. Ecco, si può affermare che Palermo non ha mai imposto le sue coordinate ma, a differenza delle altre città, ha sempre ricevuto quello che gli altri popoli hanno voluto o potuto apportare e lasciare al loro passaggio per poi adattarlo al suo vero carattere isolano e isolato, se perrmettete questo elementare gioco di parole. In altri termini, non si tratta di aver subito le loro imposizioni quanto di aver voluto accettare la loro presenza con i loro falsi o veri cambiamenti che in fin dei conti si sono verificati più tardi. Ebbene, dopo tanto tempo che è trascorso da tutto questo, mi chiedo se oggi possiamo affermare lo stesso, ovvero: Palermo è ancora un punto di congiunzione tra culture diverse, tra il passato che rimane e il futuro che apre nuove strade, nuove sensiblità, altri punti di vista? Continuerà a chiudersi sempre di più come una conchiglia abbandonata dall’essere che l’abitava dentro o è già troppo tardi e si tratta ormai di un guscio che solo protegge l’ombra di un contenuto sciatto e vano e pago della sua memoria?

    Impasse.

    Ospiti
  • Un commento a “Quaderno di Palermo 9”

    1. Sarà. Ma nel mio declino aspetto ancora l’apice.

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